I demagoghi. Cesare Monteverde
i dadi?
—I dadi ed un bicchier di veleno; la cosa è comodissima. Voi vedete, signor uffiziale, che non vi è bisogno di padrini, non si fa chiasso: questa sera stessa, in mezzo ad una festa, ritirati in un salotto appartato, noi ci mettiamo tranquillamente a sedere su di un sofà; si ordina un punch e da me o da voi vi si versa una dose di veleno; nessuno se ne avvede, oh! al certo nessuno bada ai segreti che possono avere un uffiziale e una mascherina. Da uno dei tavolini prendiamo i dadi, ne gittiamo la sorte, chi perde ingola il punch, si asside sul sofà ed attende tranquillo, come fece Socrate, di passare all'altro mondo. Chi vince si allontana cantarellando un'arietta di Rossini e si reca alla sala delle danze.—
Il militare guardava stupefatto la mascherina; e con voce di meraviglia:
—Voi scherzate.
—Non scherzo mai, replicò questa ed alla voce soave che aveva usata fino a quel momento fe' succedere un accento grave e severo. Non scherzo, no, mai non ho scherzato al mondo, e molto meno lo farei con voi; ma se mai credeste in me viltà, mirate (e in così dire trasse dal dominò due pistole). Voi vedete, aggiunse riprendendo la solita vocina flebile, che io potrei fare uso delle armi da fuoco, potrei, rimettendo l'affar del duello a domani, eludere la vostra vigilanza, i vostri desiderii; ma no, le cose vanno fatte subito, o non mai.—
Alfredo non sapeva che dire, tanto il linguaggio della maschera lo sorprendeva altamente.
—Giovane capitano, la maschera continuò, ora che conoscete con qual'arme io intenda di battermi, sul che non mi potete contradire, è giusto che io vi dica il mio nome.—
Qualunque idea di straordinaria visione cessò in Alfredo alla curiosità di conoscere finalmente il suo bizzarro antagonista.
—Ebbene? proseguì.
—Ebbene, disse la maschera, sono pronto a sodisfarvi; ma prima permettetemi ancora due parole. Giovine ardente, continuò, ed è così che tu vai violando i giuramenti più sacri? Quella vita che tu hai consecrato al più santo scopo tu la cimenti per una risata da tutt'altro prodotta che dalla volontà di offenderti? cimenti la tua vita per voler sodisfazione da un incognito il quale ti parla di alcune tue debolezze forse chimeriche? È così che….
—Mascherina, interruppe il giovane impaziente e tutto caldo di sdegno, tu perdi un tempo prezioso.
—No, signor maestro, questo tempo non è prezioso perchè è tempo di danza; e tanto val consumarlo facendo sgambetti, quanto ciarlando, siccome facciamo noi; altra volta l'ho perduto con te un tempo prezioso.
—Con me?
—Sì, con te. Dimmi: se il veleno tocca a te?… Perchè, vedi, non ho bisogno di ricorrere allo speziale; questa è una boccetta (e trasse un astuccetto dalle vesti), questa è una boccetta che ne contiene tal dose da avvelenare non solo te ma quanti sono alla danza.—
Alfredo retrocedè come atterrito; fino a quel momento egli aveva creduto che il suo antagonista fosse uno di quei belli spiriti che s'introducono nelle danze e nelle società per motteggiare, e sperava che avrebbe terminato per chiedergli scusa e nulla più; ma il contegno della maschera diveniva sempre più freddamente minaccioso.
—Gran Dio! esclamò il giovine, chi siete voi che tranquillamente intervenite ad un festino, danzate e vi assidete al tavolino da giuoco con armi da fuoco ed il veleno in tasca?
—Io? lo saprai, proruppe in tono di confidenza e di sdegno il dominò bianco; lo saprai quando avrai risposto ad una sola interrogazione che sono per farti. Alfredo, la mezzanotte di domani radunerà tutti gli amici nelle catacombe di San Iacopo…. Tu sai di quali argomenti sarà trattato, e quanto interessi nei supremi momenti che ogni generoso amante della patria si trovi al notturno convegno.
—Che ascolto! E come sai tu tal segreto?
—Per me non vi hanno segreti ove il bene della patria lo richieda. Tu vedi in me un nemico generoso il quale non avrebbe duopo del duello per perderti, denunziando i tuoi obblighi, i tuoi progetti, le tue trame, i tuoi abboccamenti; ma no, la sfida è corsa, uno solo di noi andrà alla misteriosa adunanza.
—Ah! no, o maschera, o nume, o demonio, cessa deh! cessa, disse Alfredo; io rinunzio alla sfida, ad ogni progetto di vendetta, di particolare sodisfazione; sacro è il dovere di figlio della patria. Ben tu dicevi, la mia vita è venduta. Essa la comprò, ceda il mio orgoglio di fronte a tanto dovere: ti prego a scusarmi, o mascherina.
—Scusarti? Ci sarebbe forse un poco di viltà?—
A tali parole Alfredo sentì montarsi il sangue al viso per eccesso di collera e,
—Viltà? replicò, mal ti apponi; lo saprai, o ardito incognito, quando la sorte della patria sarà decisa. Io ho un conto di morte da saldar teco: se hai onore, palésati onde io possa sodisfarlo.—
La mascherina, cacciandosi addietro il cappuccio del dominò, lasciò cadersi sulle spalle la più bella treccia bionda.
L'uffiziale trasalì; ma più crebbe la sua maraviglia quando il personaggio incognito, toltasi la visiera, lasciò contemplare uno dei più angelici volti dell'universo.
—Esmeralda! gridò Alfredo, mia Esmeralda!
—Taci, taci, amabile pazzarello, riprese la maschera rannodandosi la treccia e riponendosi in fretta la visiera; vien gente, non voglio esser conosciuta. Conducimi alla sala del ballo.—
E gli porse la mano.
Alfredo, coprendola di mille baci, si accompagnò coll'adorato avversario avviandosi alla sala delle danze.
In cima al corridoio incontrarono una folla di maschere tutte in dominò bianco sul quale era trapunta una camelia rossa; costoro si misero in cerchio intorno alla coppia canterellando un'aria plateale in guisa da impedirle di dirigersi verso il ballo, e dopo due o tre giri si misero a gridare:
—Sei de' nostri? sei dei nostri? su su, un balletto.—
Ed a vicenda afferrata Esmeralda, la fecero danzare.
Alfredo, impaziente, attendeva che lasciassero libera la giovinetta, e fissamente teneva dietro ad ogni suo movimento, temendo di confonderla colle mascherine sopraggiunte, ma erano esse tanto simili fra loro che nell'intreccio non gli fu più possibile di ravvisare quale di esse fosse la sua Esmeralda. Questa però, che avrebbe potuto staccarsi dalle compagne e ritornare al braccio dell'amante, bizzarra e capricciosa, volle aumentarne il malumore e, spiccando un salto in mezzo al gruppo coi dominò compagni, precipitò nella sala da ballo, ove a forza di strepiti carnevaleschi produssero uno di quei piacevoli disordini che sogliono animare il brio in tali circostanze.
Ma, durante la festa che già incominciava a declinare, noi abbiamo perduto da qualche tempo Rosina; non ci dispiaccia perciò di farci innanzi tra la folla a ritrovarla. Prima per altro non sarà male passare in rivista alcune signore e signori che incontreremo nelle sale che andiamo a percorrere prima d'imbatterci nella vezzosa fanciulla.
Nella sala del thè una fila di sedie coperte di damasco a spalliera dorata accoglie una dozzina di vecchie mamme e zie, le quali stanno a mirare i danzatori e le ballerine, cianciando fra loro di cuffie e di mode, di pettegolezzi amorosi e di piccoli scandali; ma coteste quinquagenarie declamatrici contro un lusso che non potevano più fare, contro l'amore cui avevano dovuto dire addio, contro la bellezza per esse passata, lasceremo in cura ai servitori in livrea che, di quando in quando passando innanzi al venerabil consesso coi vassoi pieni di biscottini e confetti, sapranno empire quelle bocche d'inferno, le quali almeno per qualche tempo cesseranno di qualificare le amabili zitelle per pettegole e scimunite, ed i bei giovani per sguaiati e monelli.
Nella sala da bigliardo e della bambara noi osserveremo quei visi di signori nei quali, invece dell'allegria, vediamo dipinti il burbero ed il cagnesco. Costoro, ognun se l'imagina, sono giuocatori sfortunati, mariti gelosi, amanti non corrisposti.
Prima peraltro di passare oltre fa duopo arrestarci una diecina di minuti in un salotto di transito e precisamente presso una portiera che copre colle cortine il vano di una finestra