I demagoghi. Cesare Monteverde

I demagoghi - Cesare Monteverde


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cioè fatto avere misteriosamente, ma non mi sgridate; voi sapete quanto io vi ami.

      —Prosegui….

      —Ebbene, questa mattina è venuto all'uscio un povero a me ignoto. Costui, dopo le solite nenie, «Dio la rimeriti, Dio la rimeriti», mi si è accostato, ed avendo levato una scatoletta di sotto il giubbone, me l'ha mostrata dicendo: È per la signorina, e quindi me l'ha gettata ai piedi.

      —Ah Mary!…

      —Io non volea prenderla: ma colui facendo un ceffo terribile mi ha troncata la volontà di rifiutarmi. «Mary, mi ha detto con una vociaccia, se vi è cara la vita, date ciò che contiene la scatola alla signorina, datela, non temete; si tratta del volere di chi comanda a me e a voi.» A me? ho risposto, oh!… Ma l'incognito si allontanò fuggendo; allora io per curiosità ho aperta la scatola e, vedendo che conteneva un fiore, mi sono, confesso il vero, tranquillizzata. Ah! ah! ho detto fra me, sarà qualche zerbinotto pretendente a fare il grazioso con la signorina, e non ho avuta più paura delle minacce del messaggero; ma siccome ho pensato certo non essere ben fatto disgustare il poveruomo (tanto più che chi ha una bella padroncina dee trovarsi spesso a simili faccende), ho fatto la cosa a metà, togliendo cioè il fiore dall'elegante scatola, che ho ritenuta per me, e mettendolo su quel mobile.

      —Incauta!

      —Perdonatemi, ma giacchè nell'inverno tali fiori sono rarissimi, non sarebbe bene approfittarsene? Se non lo sdegnate, vel porrò io con uno spillo sul camicino.

      —Mary….—

      Ma la cameriera, senza frapporre indugio, corse a prendere il fiore e presentollo alla signorina, la quale facendo atto come di ricusarlo, percosso con la mano il calice di quello, ne uscì e cadde in terra una piccola carta ripiegata.

      —È destino! è destino! esclamò la fanciulla, anche un anno fa…. anche un anno fa!!!—

      E dalla ritrosìa passando a senso diverso, prese il fiore dalla cameriera, adornossene il seno, mentre, leggermente curvandosi, raccolto il caduto involto, vi lesse vergato da mano a lei ignota:

      Nel virginal tuo petto

       Serba il filiale amor,

       Ma non spregiar l'affetto

       Di lui che per te muor.

      La patria adoro anch'io,

       La coprirò di allôr:

       Chi sa che all'amor mio

       Non pieghisi il tuo cor?

      —Ahimè! riprese Rosina, ecco il metro della mia favorita romanza.

       Destino! destino! tu mi perseguiti.

      —Incominciano a circolare le carrozze, si popola già la casa, volete discendere, padroncina? o desiderate che io mi ritiri? disse Mary.

      Ma Rosina, collo sguardo fisso sui versi testè ricevuti, non dava segno di udirla; ella era immersa in una folla di riflessioni e di reminiscenze. Onde Mary mormorò fra sè: Eh! feci pur bene a non rimandare il povero. Caspita! dieci zecchini di mancia! L'innamorato dev'essere un gran signore.

      —Mary, Mary, proruppe Rosina uscendo da un'estasi, io l'ho veduta; era l'ombra del padre mio, sì, l'ombra del padre mio…. e questo fiore? qual coincidenza! Ah! esso deciderà della mia vita.—

      Ed appoggiatasi al braccio dell'ancella, discese nell'appartamento delle danze.

      Mary era cameriera intelligente; in materia di cognizioni sulla toeletta, sulla moda, sui teatri, sulle feste da ballo, sugl'innamorati che davano generose mance, non aveva l'eguale. È peraltro vero che ella amava di cuore la padroncina; ma bisognerebbe che le mamme a cui interessano le figlie, ed in specie le mamme signore, fossero un poco più caute nel mettere intorno alle figlie una cameriera. La cameriera è per le donzelle di alto ceto quel che sarebbe per il sultano un favorito. Spesse volte avviene che questi nei dispotici regni orientali comandi più del padrone e regni in effetto sui popoli soggetti. Quanti errori dei sultani del Mogol non furono loro ma dei loro favoriti! Quanti e quanti malanni non hanno elleno commessi agiate donzelle di cui tutta la colpa sta nelle loro cameriere! Ma ahimè! i favoriti e le cameriere sono esseri indispensabili. Ed in fatti un poveruomo che vuol chiedere una grazia, come è possibile che la ottenga senza cattivarsi la benevolenza del favorito? Un giovanotto che vuol far intendere i caldi sentimenti di eterno affetto alla nobile ed agiata sua Dulcinea come sperare di giungervi senza il benefico influsso della donzella di camera? Vivano dunque i signori favoriti e le signore cameriere, ed in ispecie le belle, le quali sono il perno su cui ruota la macchina amorosa della scelta società. Io consacro ai loro meriti questa mezza pagina senza pretendere nè ringraziamenti nè regali.

      La signora Maria Guglielmi, madre di Rosina, aveva una fiducia grandissima nella cameriera Mary. Madama Guglielmi era di una cospicua famiglia francese del tempo di Luigi XVI. Restituita da Napoleone al suo primo splendore, se non alle prime fortune, ne erano rimasti due rampolli nel fratello di madama ed in essa, la quale, invaghitasi dell'amabile e prode colonnello Guglielmi non ancor generale, avevalo sposato con poca sodisfazione del giovane conte Brienne, il quale, tuttora tenace dell'antica aristocrazia, sentiva qualche ribrezzo a vedere il sangue degli antichi feudatari mischiarsi a quello di un soldato, foss'egli pure il primo guerriero del mondo. Ma siccome il bellicoso imperatore prediligeva il merito militare, il signor contino dette l'assenso e ne raddolcì l'amarezza al rilevare che il generoso monarca aveva egli stesso elargito nella dote della contessina, senza che i feudi assai debilitati dal lusso del fu vecchio conte ne risentissero detrimento. Caduto il dominio napoleonico, cadde il benessere di coloro che avevano brillato durante quel regime, ed a fatica la Guglielmi potè, mercè l'influenza del fratello, ottenere dal nuovo governo la pensione come vedova del fu generale. L'ebbe per altro, e col prodotto di quella e di alcuni considerevoli beni di sua dote riuscì, se non ricca, almeno assai agiata. Il caldo amore di patria le avrebbe fatto preferire la dimora di Francia, ma d'altronde come sodisfare alla brama di primeggiare? L'adito della corte era chiuso ermeticamente ai partigiani napoleonici. Che fare dunque? Piuttosto che vivere negletta in Francia, pensò esser meglio viver considerata in Toscana, ed a Livorno patria di suo marito, che non avea lasciato parenti, fissò il proprio domicilio. Le sue grazie, poichè tuttor giovane e bella, il suo lusso, le crescenti attrattive della figlia, i divertimenti che dava aveano attirato in sua casa la miglior società livornese, ed in specie la frequentavano coloro che puzzavano un po' di liberali. I personaggi stranieri non mancavano d'intervenirvi nel loro passaggio per la città marittima, ed i suoi connazionali vi si trattenevano piacevolmente, senza punto curarsi delle antiche o moderne idee politiche della signora. La casa era tenuta splendidamente e potea dirsi l'unica montata su quel treno in quella città, non essendo allora colà nessuna di quelle numerose famiglie che adesso danno principeschi trattamenti e festini. L'ottimo abate Grand, uno dei più scelti ingegni del clero francese, vi aveva introdotto gli ecclesiastici più distinti della città, e presso madama Guglielmi si vedevano alla conversazione negozianti, uffiziali, scienziati, giudici, avvocati, medici e notai. Nulla mancava in quel delizioso recinto. La Guglielmi avea affidata l'educazione letteraria di Rosina al brillante Grand, la donnesca a certa madama Germil.

      Nella sera del 16 febbraio cadeva un anniversario di famiglia, e questo era celebrato con molta solennità: nel giorno vi era stato pranzo, a cui avean preso parte le più scelte persone della città e i più distinti stranieri. Nella sera doveva aver luogo l'accennata festa di ballo, nella quale, perchè maggiore fosse il brio, era stato permesso l'accesso delle maschere. Fin dal mattino erano stati accaparrati quei mezzi di trasporto detti timonelle, specie di vetture modestissime e che davansi a nolo, composte di una cattivissima cassa di legno con peggiori molle, tirate da un solo cavallo; poichè all'epoca in cui comincia il nostro racconto non si vedevano formicolare nella città di Livorno quelle superbe ed eleganti carrozze di svariatissima forma, con cocchiere e servitore in livrea, le quali in oggi talmente sono frequenti per le pubbliche vie da essere stato necessario il fabbricare i marciapiedi alle strade onde tutelare la sicurezza dei cittadini. In allora Livorno, che aveva molta ricchezza senza punto nobiltà, era proprio meschina città di provincia con tutti i costumi provinciali, in cui mercanti ricchissimi, nella loro opulenza, non si vergognavano di andare a piedi portandosi nella


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