I demagoghi. Cesare Monteverde

I demagoghi - Cesare Monteverde


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      —Cane, interruppe la cuciniera, che tirava il fuoco sotto la padella, cane! mi fai le corna con Sandrina.

      —Dio m'acciechi se è vero, le rispose il ganzo, bella mi…. (E qui non è lecito ripetere il gentile epiteto dell'amante….) Dio mi acciechi! Sandrina ha tanti anni quanti il brodetto.

      —Ma ha dei quaini*.

      * Denari nel vernacolo livornese.

      —E che m'importa a me? ho bisogno dei suoi? e che? raccolgo io forse nespole?—-E cavò fuori una manciata di zecchini d'oro.

      —Uh belli! da' qua, facciamo la pace.

      —Non minchioni? mezzi.

      —Li vo' tutti.

      —Mezzi to', Concetta.

      —Li vo' tutti.

      —Pigliali, ruffianella.—

      E così dicendo se li rimesse in tasca. La bella, istizzita, lasciò il manico della padella, la quale sdrucciolando si empì di cenere.

      —Accidenti! gridò la vecchia, mi tocca tutto fare da me.—

      E rialzando l'utensile, vi ricacciò il fritto ceneroso.

      —Qual deliziosa innocenza di costumi! mormorò Bruto conservando tutta la gravità dottorale.

      —Sicuramente, replicò Catone, ed è perciò che la plebe dee trionfare nella grande lotta.

      —Oh bei tempi di Cincinnato!—E guardò non volendo Topo.

      —Cincinnato? parla meglio, Bruto, prese a dire Topo. Io non voglio altri soprannomi, o ti taglio la gola.—E levò fuori il formidabil coltello.

      —Animo, ragazzi, gridò infuriato il padrone dell'osteria, destandosi dal grave sonno ed alzandosi di sopra d'un canile che era nella stanza. Non fate chiasso, lasciate riposare i galantuomini: voi, sapienti, continuò, avete la ruzza; eh! lo credo; a te, Bruto, non mancano persone da imbrogliare, carta da insudiciare, matasse da arruffare; e tu, Catone, hai buon babbo che ti fa le spese: di voialtri canaglia è inutile discorrere, chè il denaro non sapete cosa vi costa ed avete la zizzola allegra; ma io pover uomo ho bisogno di quiete, sono tre notti che non dormo per fare i sigari di contrabbando; almeno questo si chiama essere onesto. Ohè! Orsola, quanto si sta ad andare a cena?—

      L'ostessa non rispose, era troppo occupata della pentola e della padella. Bruto e Catone continuarono a ragionare seriamente, come se nessun trambusto avesse luogo, ed i quattro, compreso Cacanastri intento ad asciuttarsi il sangue che dal naso gli grondava fin sulle carte, proseguirono a giuocare a briscola, come se nulla fosse successo.

      —Cospettone! urlò il vecchio oste dando un'occhiata dalla parte del camino, che si fa colà in quel mucchio? Cospettone! che? vi picchiate voialtri che siete innamorati? Oh! questa è nuova di zecca.—

      Infatti la giovinetta, ingarzullita dei bei zecchini del marinaro, gli si era gettata addosso con impeto; e questi, abbottonatosi la sarga per meglio assicurare il suo tesoretto dalle rapaci mani della sua fidanzata, si era sciolta la larga fascia rossa che gli cingeva i lombi e, postala al collo dell'amante, glielo stringeva fino quasi a soffocarla, mentre questa colle mani lo frugava per trovar l'oro. Nella rapidità dei movimenti erano caduti uno sopra l'altro; fortuna che i giuocatori ed i filosofi stavano troppo occupati, in caso diverso chi sa se qualche motteggio non avesse fatto andare in collera la bella Concetta? Questa per altro, scomposta nelle vesti e nella chioma, urlava, si dibatteva, voleva il denaro ad ogni costo: l'altro non curava i graffi ed i calci, e con la destra di quando in quando minacciava strozzare la bella, mentre colla sinistra teneva stretti i bottoni della sarga. Intanto che ciò accadeva, la mamma continuava a friggere; il babbo, non sentendosi rispondere, si era rivoltato sulla panca dall'altra parte ritornando a dormire profondamente; i quattro giuocavano, ridevano e fumavano; Bruto guardava con impazienza l'orologio e sospirava; e Catone, preso di tasca un taccuino, vi disegnava col lapis la pianta d'una fortezza e di un campo d'osservazione. Gli amanti, rotolandosi per terra, si erano ridotti in uno dei più oscuri cantucci della stanza, e da un pezzo parevano rimpaciati: finalmente si alzarono; la fanciulla si mise di nuovo lo stile dorato che servivale di spillo nei capelli, ed alla meglio si acconciò, si riassettò le vesti e, raccolta di terra la pipa rotta del suo amante, dicevagli all'orecchio:

      —Birbone!

      —Sta zitta, mia cara, le aveva risposto il marinaro, è tanto che ti voglio bene e ti sposerò; e poi non ti è riuscito di averli tutti i quaini?

      —Sì, sì, ma li serbo per te, riprese allegra la bamboccia; con questi vo' comprarmi le gioie per le nozze, e a te l'oriolo. Quel che è stato è stato; ma quando mi sposi?

      —Fra un anno, al ritorno delle coralline: to' un bacio in caparra.—

      E pigliando un carbone dal focolare, riaccese la pipa.

      —Mamma, mamma, disse la fanciulla, datemi la padella, tocca a me.

      —Mi parrebbe tempo, brontolò la vecchia; è un'ora che mi arrostisco a friggere. Ma tu dove eri andata?

      —Io? rispose la figlia arrossendo, non mi sono partita dalla stanza.

      —Umh!—

      E voltasi verso il marito:—Dormiglione! su, su; è l'ora di andare a cena; aiutami ad apparecchiare.

      —Eccomi, disse il vecchio, e si alzò. I giuocatori gli fecero posto.

       Bruto con riso sardonico, disse enfaticamente:

      —Oh verginali costumi di plebe che un giorno dee dominare!—

      Intanto suonò mezza notte, e si udirono tre colpi all'uscio.

      —Chi sarà mai? dissero i giuocatori.

      —Gente che aspetto io, replicò Bruto.—

      E si avviò di sopra ad aprire. Quando discese, un nuovo commensale era con lui: Il caprone.

       Indice

      Rosina.

      Il caprone entrò con Bruto. La sua venuta produsse un effetto magico su i nostri personaggi. L'oste si drizzò come un soldato in parata, si levò il berretto di testa e non ardiva parlare. L'ostessa si chinò per baciargli la mano; dico mano e non zampa, poichè fino dall'entrare nell'osteria il caprone aveva lasciato cadere a terra la veste lanuta, la testa e le corna fittizie, ed era apparso un bellissimo giovane, di maestoso portamento, di occhi cerulei, di capelli biondi.

      Concetta aveva raccolto le spoglie dell'animale cornuto e le aveva poste su di una tavola in altra stanza perchè umide dal bagno fatto nel mare e nel fosso.

      I quattro giuocatori si erano fatti attorno al nuovo commensale e, perduta ogni idea di rozzezza, esternarono segni di alto rispetto.

      Catone lo aveva preso per la mano, ed anche il marinaro si era alzato dalla panca e, dismettendo il fumare, erasi posta la pipa in tasca. In un attimo tutti si affacendarono per porre in pochi minuti in sesto la mensa. Il Caprone (ci sia permesso chiamarlo così fino a che non verrà tempo di dargli altro nome) aveva una di quelle fisionomie dolci che incantano ovunque. Le sue maniere erano così affabili che attraevano la maggior simpatia, e soprattutto la sua voce aveva alcun chè di straordinario e d'insinuante, difficile ad esprimersi. Sì, egli era uno di quegli esseri nati proprio per comandare senza che paresse dolore il servirli; ma tante prerogative torneranno poi a vantaggio dell'umanità?… Chi lo sa? ed il mio racconto lo mostrerà in appresso. Quantunque in cuore ei credesse di giovare agli uomini, non sempre giova per far bene la volontà… Ma troppo non vo' dirvi, tanto più che il racconto è appena cominciato.

      I nostri lettori per altro sospendano la loro curiosità intorno al signor Caprone e suoi amici e commensali; poichè dobbiamo condurli in altro luogo ben diverso dalla temibile


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