Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari

Gli ultimi flibustieri - Emilio Salgari


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svegliati da quel chiacchierio, entrarono Mendoza, Buttafuoco, Wandoe e Rios.

      – L’avete spedita al Perú la sbornia, signor Arnoldo Pfiffer ecc.? – Chiese Mendoza. – Sono ben lieto di vedervi finalmente in ottima salute.

      Il fiammingo, vedendo tutte quelle persone, aggrottò la fronte e divenne pallidissimo.

      – Svegliate l’altro, don Barrejo, – disse Buttafuoco.

      – Perché? – chiese sotto voce Mendoza.

      – Per accertarmi se si conoscono.

      – Lo sospettate?

      – Scommetterei il mio vecchio e fedele archibugio, che mi ha salvato cento volte la vita, contro una navaja da due piastre.

      – Lasciate fare a me, allora, signor Buttafuoco.

      Si avvicinò al ferito e cominciò a fargli il solletico sotto la gola, provocandogli subito il singhiozzo.

      Il preteso figlio del grande di Spagna era stato un po’ ubbriacato, affinché si mantenesse tranquillo dentro la botte, però non aveva preso la solenne sbornia del fiammingo, sicché dopo tre o quattro sbadigli e molti singhiozzi, si decise finalmente ad aprire gli occhi.

      Mendoza, che lo spiava attentamente, lo sollevò, perché potesse vedere il fiammingo che stava seduto nell’amaca vicina.

      I due spioni del marchese di Montelimar si guardarono un momento, stupiti di trovarsi insieme; poi dopo d’aver fatta una brutta smorfia, non poterono frenare due imprudenti esclamazioni:

      – Aramejo!…

      – Stiffel!…

      – Datevi il buon giorno, dunque, – disse Buttafuoco. – Siete vecchie conoscenze, a quanto pare.

      Il fiammingo e il preteso figlio del grande di Spagna masticarono fra le labbra qualche cosa. Certo non dovevano essere contenti di essere caduti nella trappola cosí abilmente tesa da Buttafuoco.

      – Chi è che si chiama Aramejo? – chiese il bucaniere, ridendo.

      Il ferito si guardò bene dal rispondere e fissò gli sguardi sul soffitto, per contare forse le ragnatele che vi si trovarono.

      Il fiammingo invece preferí sbadigliare, mostrando certi denti degni di non sfigurare in bocca ad un giovane squalo.

      – Orsú, – disse Buttafuoco, ironicamente. – Vedo che vi siete riconosciuti. Sarebbe ormai troppo tardi per negarlo.

      “Mastro Arnoldo, date dunque la mano a questo figlio d’un grande di Spagna. Sono ben lieto che voi abbiate delle buone relazioni fra l’alta società panamese.”

      Il fiammingo sgranò gli occhi, guardando due o tre volte il suo compagno di sventura, poi proruppe in una fragorosa risata.

      – Un crande di Spagna!… – esclamò.

      – Ohé, mastro Pfiffero, siete allegro stamane, – disse il guascone. – Vi preferisco però cosí. Il mio vecchio aguardiente fa talvolta di questi miracoli.

      Il ferito aveva guardato il fiammingo ferocemente, seccato di essere stato tradito cosí presto, però non pronunciò alcuna parola.

      – Signori, – disse Buttafuoco, rivolgendosi verso i due prigionieri, – vi avverto che il Consiglio si raduna e che sarà per voi un terribile Consiglio di guerra, perché noi siamo uomini risoluti ad affogarvi in mare con una pietra al collo se vi ostinerete a non parlare.

      “La parola a voi, innanzi tutto, don Aramejo, siate o no il figlio d’un crande di Spagna, come ha detto mastro Arnoldo.

      “Non dimenticate che giuocate la vostra pelle.

      “Che cosa avete fatto della señorita che siete andato a prendere alla posada del Rio Verde adoperando un biglietto che portava la mia firma?”

      – Señor… – balbettò il ferito, – che cosa dite voi? Io non so di quale señorita intendete parlare.

      – Ehi, furfante, – disse Wandoe, facendosi innanzi. – Vorresti negare di riconoscermi? Guardami bene in viso!

      – Mio pofero crande di Spagna, siamo presi, – disse mastro Arnoldo, rivolgendosi al ferito. – Gettate fuori tutto o perdere tutta la pelle, amico.

      Il ferito masticò a mezza voce una bestemmia, poi, rivolgendosi risolutamente verso Buttafuoco, gli chiese:

      – Che cosa volete sapere, voi?

      – Voglio sapere, mio caro ladro di signorine, dove avete condotto la señorita che siete andato a prendere a nome mio, capite bene, alla posada del Rio Verde, – rispose il bucaniere piccato dall’insolenza del prigioniero.

      – E quando vi avrò detto che l’ho condotta dal marchese di Montelimar, il quale vantava su di lei dei diritti, avendola allevata, che cosa vorreste concludere?

      – Che tu sei il piú grande furfante che io abbia incontrato fino ad oggi, e che io sono un uomo da non lasciarmi intimorire da te, spavaldo.

      – Volete ammazzarmi? Fatelo pure!

      – La morte talvolta è troppo dolce, – rispose Buttafuoco, con voce minacciosa. – Qui siamo isolati e potrei farti subire tali tormenti, da rimpiangere il giorno che sei nato.

      “Sai già di che cosa sono capaci i bucanieri ed i filibustieri, e noi tutti apparteniamo ai terribili Fratelli della Costa, che tanto male hanno fatto ai tuoi compatrioti al di qua e al di là dell’istmo.

      “Se vuoi provare la nostra ferocia, noi siamo pronti.”

      Il ferito, udendo quelle parole, aveva provato un sussulto ed era diventato livido. Solamente il nome dei filibustieri provocava su tutti gli spagnuoli per quanto coraggiosi fossero, un disastroso scoraggiamento.

      – Mi hai capito? – chiese Buttafuoco, dopo qualche istante di silenzio.

      – Sí, señor, – rispose il prigioniero, con meno superbia.

      – Allora risponderai alle domande che ti farò. Chi ti ha dato il mio nome?

      – Il marchese di Montelimar.

      – Da chi aveva saputo che io ero giunto a Panama colla contessina di Ventimiglia?

      – Questo potreste domandarlo a Stiffel.

      – Ah!… Io non so nulla affatto, – si affretto a dire il fiammingo.

      – Il silenzio è d’oro, – sentenziò gravemente Mendoza.

      – Compare Pfiffero è prudente, – aggiunse don Barrejo.

      Il fiammingo approvò con un grazioso sorriso che aveva però molta ironia insieme.

      – Voi, bricconi, non direte mai nulla, o per lo meno direte soltanto ciò che vi potremo strappare dalle labbra, – disse Buttafuoco. – Non giuocate a scarica-barile, perché la pazienza non è mai stata il forte dei bucanieri.

      – Lo sappiamo, – disse il fiammingo.

      – Allora parlate, prima di farvi gettare in mare dopo d’avervi arrostite le piante dei piedi.

      – Aramejo, siamo presi, – ripeté il Pfiffero. – Canta!… Canta!…

      Il preteso figlio del Grande di Spagna assunse un’aria da bravaccio, non ostante la sua ferita che gli doveva dare non pochi dolori, poi, dopo essersi alzati i baffi, chiese:

      – Ebbene, che cosa volete sapere ancora da me? Non ve l’ho già detto che la señorita l’ho condotta dal marchese di Montelimar? Mi pare che basti.

      – E dove? – chiese Buttafuoco.

      – Diavolo!… Nel suo palazzo!…

      – A quale scopo?

      – Ah!… Io non posso conoscere i segreti del mio padrone, – rispose Aramejo. – Mi si danno degli ordini ed io obbedisco senza discuterli.

      “Potrà saperne di piú il mio compagno.”

      – Verrà


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