Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari

Gli ultimi flibustieri - Emilio Salgari


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tardi e chiudo, – rispose asciuttamente il guascone.

      – Noi folere uscire presto.

      – Con questa pioggia?

      – Io afere mia testa pesante e folere andare a dormire.

      – Forse che non c’è del buon vino qui? – disse Mendoza. – Il padrone della taverna d’El Moro è un brav’uomo e rimarrà in piedi fino a domani mattina, sempre pronto a servirci.

      – Io folere andare, – ripeté il fiammingo. – Pfiffer! Afer befuto troppo.

      – Ma che!… Abbiamo appena cominciato!… È vero, don Rodrigo de Peloton?

      Buttafuoco fece col capo un gesto affermativo.

      – Pasta, – rispose l’ostinato fiammingo, prendendo il suo mantellone ed il suo cappello. – Pona sera a tutti! Taferniere, aprite.

      Mendoza allontanò la sedia, subito imitato da Buttafuoco, e due spade brillarono nelle mani dei due avventurieri.

      Don Barrejo aveva già preso la sua arrugginita draghinassa, portatagli di nascosto da sua moglie e si era messo dinanzi alla porta.

      – Pfiffer! – esclamò il fiammingo, gettando intorno uno sguardo smarrito. – Cosa folere voi, signori? Assassinarmi?

      – No, mettervi in conserva dentro una botte di Xeres, – disse don Barrejo. – Mio caro Pfiffero!

      – Sedete, – disse Mendoza, con voce minacciosa, posando la spada sul tavolo. – Abbiamo da vuotare altre bottiglie ancora e anche molto da discorrere, amico.

      Capitolo II. LE MERAVIGLIOSE TROVATE D’UN GUASCONE

      Il fiammingo, che si reggeva già male sulle gambe, non avendo la resistenza di Mendoza e di Buttafuoco, abituati alle sfrenate orge dei filibustieri e dei bucanieri, si era lasciato cadere sulla sedia, non cessando di guardare, con spavento, quelle tre spade che gli pareva gli si appuntassero contro il petto.

      – Pfiffer! – esclamò, dopo aver mandato un profondo sospiro.

      – Questo è cattivo scherzo.

      – V’ingannate, mastro Arnoldo, – rispose Mendoza. – Questo non è affatto uno scherzo e le nostre spade non sono fatte di burro, bensí di puro acciaio di Toledo temprato nelle acque del Guadalquivir.

      Il fiammingo proruppe in una risata.

      – Datemi da pere, brafo amico.

      – Finché vorrete, mastro Arnoldo. La cantina d’El Moro è tutta a nostra disposizione, purché vi prepariate a rispondere alle domande che vi farò.

      – Pene!… Pene!… Dite… dite… – rispose il fiammingo, riprendendo un po’ d’animo.

      – Allora, – disse Mendoza, – ci spiegherete per quale motivo voi ci seguite ostinatamente da tre giorni, comparendoci sempre come un uccellaccio di malaugurio, nei luoghi che frequentiamo.

      – Foi ed il fostro amico siete molto simpatici.

      – Ma chi siete voi?

      – Fe l’ho detto.

      – Che cosa fate a Panama?

      – Niente; fifo di rendita.

      – Eh, messer Arnoldo, non cercare d’ingannarci, perché potreste uscire di qui conciato male.

      Il fiammingo divenne livido come un cadavere, tuttavia rispose con abbastanza fermezza:

      – Sono molto ricco.

      – E per questo vi divertite a pagare da bere alle persone che vi sono simpatiche, – disse Mendoza, ironicamente. – Compare Arnoldo, non saremo noi che berremmo queste frottole. Sapete come si chiamano nel mio paese le persone che s’attaccano alle altre, come tante mignatte, senza perderle mai di vista?

      – Calantuomini.

      – No, compare Arnoldo, le chiamano spie.

      Il fiammingo prese un bicchiere colmo e lo vuotò lentamente, certo per nascondere la sua emozione.

      – Spie, – disse poi. – Io mai afer fatto questo prutto mestiere.

      – Eppure vi ripeto che voi dovete essere la spia di qualche pezzo grosso di Panama: del marchese di Montelimar per esempio.

      Il bicchiere sfuggí dalle mani del fiammingo e si ruppe con fracasso.

      – Ohé, messer Arnoldo, vi piglia male? – chiese don Barrejo.

      – Siete piú giallo d’un limone. Volete che vi faccia preparare da mia moglie della camomilla?

      Il fiammingo ebbe uno scatto d’ira.

      – Taferniere della malora, occupati del tuo fino tu!… – gridò.

      – In questo momento le mie botti non hanno affatto bisogno di me, quindi posso prendermi la libertà di scambiare due chiacchiere anch’io.

      – Ebbene, mastro Arnoldo, – proseguí l’implacabile Mendoza. – Perché, quando ho pronunciato il nome del marchese di Montelimar, le vostre mani sono state prese da un tremito? Vedete bene che la tazza l’avete spezzata.

      – Io pagarla.

      – Il padrone d’El Moro è generoso e non vi farà pagare niente. Non approfittate però della rottura del bicchiere per cambiare discorso.

      “Ditemi invece come e dove m’ha veduto il marchese di Montelimar e come ha fatto a riconoscermi, dopo sei anni che manco da Panama.”

      – Non conoscere marchese di Montelimar, – disse il fiammingo asciugandosi la fronte che appariva bagnata di grosse stille di sudore.

      – Ah!… Non volete dirmelo!… – gridò Mendoza. – Vi avverto che quel signor lí, che non parla mai, è uno dei piú famosi bucanieri di Sandomingo, e che io non sono affatto un negoziante di muli, bensí un filibustiere che ne ha fatte di tutti i colori con David e con Raveneau de Lussan.

      – Quest’uomo sta male!… – esclamò don Barrejo. – Presto, Panchita, prepara una tazza di camomilla pel signore.

      “Gli farà molto bene.”

      Infatti pareva che il fiammingo fosse lí lí per svenire, tanto era pallido e disfatto.

      – Non vedete che vi tradite? – gridò Mendoza. – O vi decidete a parlare o vi caccio in gola tutta la vostra misericordia.

      – Aspetta che abbia almeno bevuta la camomilla, – disse don Barrejo, ridendo.

      – Confessate: lo conoscete il marchese di Montelimar, si o no?

      È inutile che vi ostiniate a negare ancora.

      Arnoldo fece finalmente col capo un cenno affermativo.

      – Finalmente!… – esclamò il biscaglino, mentre Buttafuoco, per dimostrare la sua soddisfazione, tracannava due bicchieri, uno dietro l’altro.

      – Messer Arnoldo, bevete una goccia anche voi di questo vecchio Xeres, che si dice sia stato imbottigliato nientemeno che da papà Noè, – disse il guascone porgendogli un altro bicchiere. – Vi darà un po’ d’animo e vi rimetterà in gambe, ve l’assicura un vecchio taverniere.

      Messer Arnoldo, quantunque fosse completamente ubbriaco, non rifiutò il consiglio. Aveva ben bisogno, dopo tante emozioni e tante angosce, di rimettersi un po’.

      – Quando mi ha veduto? – riprese Mendoza.

      – Tre giorni fa, – rispose il fiammingo.

      – Tu sei dunque uno dei suoi confidenti, per sapere queste cose.

      Il fiammingo crollò il capo senza rispondere.

      – Dove? – continuò Mendoza, con voce minacciosa.

      – Sulle calate del porto.

      – Corpo d’un archibugio!… – esclamò il biscaglino, dandosi un paio di pugni


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