Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari
da trecent’anni vende vino in Spagna ed in America, – disse il guascone, fingendosi offeso.
L’ufficiale gli volse le spalle e scambiò alcune parole a voce bassa con i suoi due alabardieri, poi, volgendosi verso don Barrejo, il quale cominciava a mostrarsi inquieto di quella visita inaspettata, gli chiese:
– Oggi in questa taverna è entrato un signore, che poi non è piú uscito.
– Dalla mia taverna!… – Esclamò il guascone, fingendo di cadere dalle nuvole. – Che sia rotolato sotto qualche tavolino e si sia addormentato?… Panchita, hai guardato bene se non vi sono ubbriachi accucciati in qualche angolo?
– Io non ho veduto nessuno, – rispose la bella castigliana.
– Eppure quel signore non è piú uscito di qui, – insistette l’ufficiale.
– Misericordia!… – esclamò don Barrejo. – Che si sia ammazzato nelle stanze di sopra?
– Ma no, marito mio, sono scesa or ora, dopo aver preparato il nostro letto.
– Carrai!… – esclamò l’ufficiale un po’ impazientito. – Come va questa faccenda?
– Sí, come va questa faccenda? – ripeté don Barrejo.
L’ufficiale scambiò ancora due parole coi suoi alabardieri, accompagnandole con dei larghi gesti, poi prese il partito di sedersi ad un tavolo, dicendo:
– Portaci qualche cosa da bere, taverniere. Siamo inzuppati fino alla camicia e non si starebbe male, questa sera, dinanzi ad un buon fuoco.
“Poi riprenderemo il nostro discorso, poiché io devo assolutamente sapere dov’è andato a finire quel signore.”
– Se non era uno spirito, io sono sicuro che voi, signor ufficiale, lo scoverete fuori in qualche luogo.
“Non si sarà cacciato, a mia insaputa, dentro qualche botte o una bottiglia… Ah! Panchita mia, noi volevamo assaggiare quella cassa di bottiglie che mio zio mi ha spedito da Alicante.
“Approfittiamo per berne qualcuna insieme alla ronda.”
– Ve n’è un paniere pieno, – disse la castigliana.
– Stura, stura, amica mia: offro al signor ufficiale ed alle sue brave guardie.
Fare una bevuta senza sborsare un quattrino, specialmente per un soldato, non era cosa che toccava tutti i giorni, perciò la ronda fece buona accoglienza alla proposta del furbo guascone.
Cinque o sei bottiglie di diversa qualità furono portate e le tazze furono riempite a vuotate parecchie volte di seguito, facendo i piú vivi elogi di quello zio lontano, che non si scordava del nipote taverniere.
– Un magnifico regalo, povero zio! – diceva il guascone. – Sessanta bottiglie, una migliore dell’altra e regalate veh, perché mio zio ama suo nipote.
“Bevete liberamente, signori miei, già non costa nulla a me.”
– Beviamo pure, taverniere, però non dimentichiamo quel signore che non è piú uscito dalla vostra taverna.
– Mi supporreste capace di assassinare le persone che vengono a bere nella mia taverna! – chiese don Barrejo, con accento piccato.
– Non vi credo capace di commettere cosí orrendi delitti, – rispose l’ufficiale. – Io però devo trovare qual gentiluomo.
– Ah!… Era un gentiluomo?…
– Credo. Sentiamo un po’ taverniere: chi è venuto a bere oggi qui?
– Quindici o venti persone, fra europei e meticci, poiché io tengo anche dell’eccellente mezcal, che vi farò assaggiare se lo desiderate.
– Lasciate il mezcal, per ora. Fra quelle persone non avete notato un signore alto, vestito interamente di nero, colla pelle molto bianca ed i capelli biondissimi, anzi quasi bianchi?
Don Barrejo si mise ad accarezzarsi il mento e guardare in alto come se chiedesse alle travi annerite del soffitto qualche ispirazione.
– Alto… magro… coi capelli quasi bianchi… tutto vestito di nero… certo… deve essere quel signore che ha bevuto insieme con quei due sconosciuti.
– L’avevate veduto dunque? – chiese l’ufficiale.
– Me lo ricordo benissimo, perché l’ho servito io. Era in compagnia di due uomini entrati un po’ prima di lui e che io non ho mai veduti prima d’oggi.
– Uno di mezza età e l’altro piú attempato, colla barba brizzolata?
– Precisamente, – rispose don Barrejo. – Hanno vuotato in buona compagnia un bel numero di bottiglie a quel tavolino là, che è ancora ingombro di vetri, poi, approfittando del momento in cui la pioggia accennava a diminuire, se ne sono andati.
– Tutti insieme?
– Si reggevano tra loro, perché le loro gambe non erano troppo ferme. Diavolo!… Si beve vino squisito nella mia taverna.
L’ufficiale si era voltato verso uno dei due alabardieri, dicendogli:
– Hai udito, José?
– Sí, signore.
– Allora tu non eri al tuo posto in quel momento.
– Eppure, signore, vi giuro che io non mi sono mai allontanato da quel portone, il quale o bene o male mi riparava dalla pioggia.
– Forse in un momento di distrazione.
– Lo escludo assolutamente, – rispose l’alabardiere, con voce recisa.
– Eh!… Qualche volta, quando si scambia un’occhiata con qualche bella fanciulla, non si vede piú nulla, – insinuò il taverniere.
– Non ho veduto altro che dell’acqua.
– Ed allora, taverniere? – chiese l’ufficiale.
– Panchita, – chiamò don Barrejo.
La bella taverniera fu pronta ad accorrere.
– Hai veduto anche tu quei tre signori che hanno vuotato a quel tavolino almeno sette od otto bottiglie?
– Sí, Pepito mio.
– Sono usciti di qui, sí o no?
– Se non ci sono piú seduti intorno al tavolino, vuol dire che se ne sono andati.
– Avete capito, signor ufficiale? – chiese il guascone. – Erano in tre e io non son uomo da ammazzare come cani tre cristiani, per poi gettare i loro cadaveri… dove? Non abbiamo nemmeno il pozzo in questa casaccia. Mi pare quindi impossibile che tre uomini di carne ed ossa siano scomparsi senza lasciare traccia di sé. Che fossero dei diavoletti? Si dice che se ne trovino fra quei cani dei filibustieri, almeno cosí affermano i frati della cattedrale.
– L’uomo biondo non era di certo un diavolo, poiché era troppo buono cattolico, – rispose l’ufficiale, il quale pareva preoccupato.
– Vuotiamo alcuni bicchieri ancora, poi procederemo ad una visita rigorosa alla mia casa. Oh!… Aspettate!… Ho in cantina una bottiglia che conta venticinque anni e quattordici giorni, lo so ci certo, perché l’ho presa in mano quest’oggi.
“Volete che l’assaggiamo, signor ufficiale?”
– Vada pure la bottiglia vecchia, – rispose il capo della ronda. – Avremo sempre tempo di visitare la vostra casa.
– Panchita, un lume!… – gridò il guascone. – Dammi anche la mia draghinassa, perché questa istoria di uomini scomparsi mi ha un po’ guastato il sangue.
Prese l’uno e l’altra e, mentre l’ufficiale, approfittando della sua assenza, faceva gli occhietti dolci alla bella taverniera, scese la scala che conduceva in una profonda e molto spaziosa cantina, occupata in buona parte da botti e da barilotti.
Nel passare dietro il banco però, il furbo compare si era impadronito di un fascio di tovaglie.
Aveva