Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari

Gli ultimi flibustieri - Emilio Salgari


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cambiato, compare, e che sei rimasto sempre giovane, – disse don Barrejo. – Che uomo fortunato!

      Mendoza si accingeva a riprendere l’interrogatorio e s’avvide che il fiammingo si era abbandonato sulla sedia, lasciando penzolare le sue lunghissime braccia fino quasi a toccare il suolo.

      – Che sia morto? – si chiese.

      – È briaco fradicio, – disse il guascone, il quale si era avvicinato. – Oh!… Me ne intendo io di sbornie!… Quest’uomo, mio caro, non potrà sciogliere la sua lingua prima di ventiquattro ore.

      – Lasciamolo pure a digerire il suo vino e facciamo quattro chiacchiere fra noi. Ti dobbiamo delle spiegazioni, don Barrejo.

      – Le sospiro da tre ore, – rispose il taverniere.

      – Te le avremmo già date, senza la comparsa di questa mignatta.

      – Una parola, prima, Mendoza, – disse Buttafuoco. – Come avevi fatto a sapere che questo fiammingo era una spia del marchese di Montelimar?

      – Io ne sapevo quanto voi, signor Buttafuoco. Avevo avuto semplicemente un vago sospetto ed ho pronunciato il nome del marchese, cosí a caso.

      – Ed hai indovinato subito! – esclamò don Barrejo. – L’ho sempre detto io che tu eri un uomo meraviglioso.

      “Ora dammi le spiegazioni promessemi. Sono curioso di sapere il perché siete venuti a trovarmi e vi siete ricordati che in America esisteva un bravo guascone e fedelissimo amico.

      “In questa faccenda deve entrarci il figlio del Corsaro Rosso.”

      – O meglio sua sorella, – disse Mendoza.

      – Chi? La figlia del Gran Cacico del Darien!…

      – L’abbiamo condotta qui, noi.

      – È qui la señorita!… Quale imprudenza! Se il marchese di Montelimar riuscisse a scoprirla, non la lascerebbe piú libera.

      – Oh!… Abbiamo prese le nostre precauzioni, amico, L’abbiamo nascosta in una posada tenuta da un amico del signor Buttafuoco, un vecchio bucaniere anche lui, che trova piú utile ora fare l’albergatore anziché uccidere buoi selvaggi a Sandomingo od a Cuba.

      – E perché è venuta qui, mentre doveva trovarsi presso il conte di Ventimiglia, suo fratello e la Marchesa di Montelimar sua cognata?

      – Non si sa dunque nulla a Panama che il vecchio Cacico è morto quattro o cinque mesi fa e che ha lasciato erede delle sue favolose ricchezze la figlia del Corsaro Rosso?

      – Il Gran Cacico è morto!… – esclamò don Barrejo, picchiando un pugno sulla tavola. – Allora il marchese di Montelimar, che ha sempre aspirato d’impadronirsi di quei tesori deve essersi già messo in campagna.

      – Invece non pare, – rispose Mendoza. – Tre giorni fa era ancora qui.

      – Infatti quel Pfiffero l’ha detto. E come ha fatto a saperlo il conte di Ventimiglia?

      Abita sempre in Italia, mi pare.

      – Lo seppe da un vecchio bucaniere che aveva trovato asilo presso il Gran Cacico e che si recò appositamente al castello del conte per avvertire sua sorella che la tribú l’aspettava per proclamarla regina, non essendovi altri eredi.

      – Fu quel bucaniere che vi condusse la señorita?

      – Si, – rispose Mendoza.

      – E dov’è quell’uomo?

      – Veglia sulla señorita nella posada dell’amico del signor Buttafuoco.

      – E che cosa volete dunque da me? – chiese don Barrejo.

      – Sei sempre in relazione coi filibustieri del Pacifico?

      – Ne giungono spesso da me.

      – Si trovano sempre all’isola Taroga?

      – Sempre, malgrado i molti tentativi fatti dagli spagnuoli per sloggiarli.

      – Chi li comanda?

      – Sempre Raveneau de Lussan.

      – E David?

      – Si è diretto verso il capo Horn e non si è piú saputo nulla di lui.

      – Sono molti quei filibustieri?

      – Si dice che siano circa in trecento.

      – Allora, signor Buttafuoco, è necessario che noi andiamo a rivedere Raveneau de Lussan. Senza l’appoggio di quegli uomini sarebbe impossibile condurre in porto una cosí grossa impresa.

      “Se non sarà oggi, domani per lo meno gli spagnuoli sapranno che il Grande Cacico è morto e, sapendolo ricchissimo, si affretteranno ad impadronirsi del paese.”

      – Di questo puoi essere certo, – rispose Buttafuoco. – Il marchese di Montelimar da anni ed anni sospira il momento di mettere le mani su quei tesori, tanto piú che si dice che il re di Spagna abbia affidato a lui la conquista di quel paese.

      In quel momento, fra lo scrosciare della pioggia ed il rombare dei tuoni, udirono picchiare fortemente alla porta.

      Don Barrejo, il quale da qualche momento si era seduto, era subito balzato in piedi, dicendo a Panchita, la quale agucchiava dietro l’immenso banco:

      – Abbassa la lampada, amica.

      – Chi può essere? – chiese Buttafuoco. – Sono quasi le dieci e la notte è pessima.

      – Se fosse la ronda? – disse il guascone.

      – Viene qualche volta?

      – Si, signor Buttafuoco.

      – Eccoci in un bell’impiccio.

      – Niente affatto, – disse Mendoza, il quale da vero basco sapeva sempre trovare un pronto rimedio a tutto. – Prendiamo compare Arnoldo Pfiffer e portiamolo in cantina.

      – Ed in caso di pericolo annegatelo dentro la grossa botte di Xeres, – aggiunse il feroce guascone.

      Un secondo colpo, piú formidabile del primo, che per poco non mandò in frantumi i vetri della contro-porta, si fece udire.

      – Presto, andate e spengete il lume che illumina la cantina, – disse don Barrejo.

      Poi, voltandosi verso la moglie, aggiunse subito:

      – Porta sopra un paniere pieno di bottiglie, le piú vecchie che noi possediamo.

      Mendoza e Buttafuoco presero il fiammingo, lo avvolsero nel suo mantellone ancora bagnato e scesero a precipizio nella cantina, preceduti dalla bella castigliana, mentre don Barrejo si avvicinava alla porta, chiedendo con voce formidabile:

      – Chi vive? È tardi, corpo del diavolo, e la taverna d’El Moro non è un asilo notturno.

      – La ronda, – rispose una voce imperiosa.

      – Che cosa venite a fare qui, a quest’ora? Ho chiuso a tempo.

      – Aprite.

      – Aspettate che mi metta i calzoni e che mia moglie indossi la sottana. Che diavolo! Non si può dormire dunque a Panama?

      Panchita era ritornata, portando un’altra cesta piena di bottiglie coperte di venerande ragnatele e l’aveva deposta sul banco.

      Il guascone attese un momento ancora per prendersi il gusto di far ben bagnare la ronda, poi si decise finalmente ad aprire, non senza aver prima nascosta dietro il banco la sua formidabile draghinassa.

      Aperta la porta, tre uomini comparvero. Erano un ufficiale della polizia e due alabardieri delle guardie notturne.

      – Buena noche, caballeros, – disse il guascone, facendo buon viso a cattiva fortuna. – Stavo per andarmene a letto. La notte è pessima è vero?

      – Siete solo? – disse l’ufficiale, facendo un gesto di stupore.

      – No, signor ufficiale, stavo dicendo delle


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