Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari

Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari


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tutti i venti del mare di Biscaglia! Volete far di me un milionario?

      – No, voglio ingrassarvi, perché siete troppo magro.

      – Tutti i guasconi sono magrissimi, signor conte. Ma che muscoli d’acciaio abbiamo!

      – Chi sa che un giorno non li veda al lavoro! Orsú, volete guadagnare altri dieci dobloni?

      – Che cosa devo fare?

      – Una cosa semplicissima. Aprirci la porta e lasciarci andare in campagna.

      – E null’altro? – chiese il guascone con stupore.

      – Nient’altro. Vi avverto che abbiamo detto ai vostri camerati che siamo corrieri del governatore.

      – E non avete paura d’incontrare i bucanieri? Si dice che stiano organizzandosi per tentare un colpo di mano sulla città.

      – Non vi occupate di questo, messer Barrejo. Apriteci la porta e altre dieci monete d’oro andranno a ingrossare il vostro piccolo tesoro.

      – Vi apro anche tutte quelle della città – rispose don Barrejo. Venite, signor conte. I miei camerati non vi daranno alcun fastidio.

      Afferrò un’enorme chiave che stava appesa ad un chiodo e aprí la pesante porta laminata di ferro, conducendoli attraverso un massiccio bastione forato nel mezzo da uno stretto passaggio.

      – Eccovi in campagna – disse dopo aver aperta un’altra porta. Mi permettete di scortarvi per qualche tratto?

      – Vi ho detto che noi non abbiamo paura – disse il conte.

      – Non ne dubito, signore, ma che volete, mi piace immensamente la vostra compagnia.

      – Non sarà per sorvegliarci, spero – disse Mendoza.

      – Oh! un guascone!… Noi non siamo abituati a mentire.

      – Allora venite – disse il conte. – Potreste darci qualche preziosa informazione.

      – Sono tutto a vostra disposizione, signor conte – rispose il guascone.

      – Potreste, per esempio, dirci dove potremo trovare dei cavalli.

      – Vi è un corral a mezzo miglio di qui, annesso ad una grande fattoria. Se avete ancora di quei bei dobloni, potrete acquistarne finché vorrete.

      – Le nostre borse sono ancora assai fornite, malgrado il salasso fatto alla mia.

      – Vi guiderò io.

      – Ed i vostri camerati che non vi vedranno tornare non si allarmeranno?

      – Vadano al diavolo! – disse Barrejo alzando le spalle. – Non sono padrone di fare una passeggiata notturna e di scortare delle persone raccomandate da Sua Eccellenza il Governatore?

      – Oh, è vero! – disse il conte ridendo. – Noi siamo personaggi importantissimi.

      – Che viaggiano però senza carte – aggiunse maliziosamente il guascone.

      – Le teniamo sempre sulla punta delle nostre spade.

      Il soldato capí a che cosa voleva alludere il conte e, quantunque guascone, credette opportuno di troncare il discorso.

      Si erano inoltrati per una viuzza fiancheggiata da bellissime agavi, piante tessili che danno dei fili elastici e fini e dalle cui foglie gli indiani estraggono una bibita fermentata detta pulque, molto spumante e anche molto gradevole. Di là da quelle enormi siepi, si estendevano immense piantagioni di canne da zucchero e di caffè, le maggiori risorse di quella fertilissima isola.

      Per la tenebrosa campagna volavano sciami di Moscas de luz, insetti che tramandano una luce ben piú potente delle nostre lucciole, e nei solchi delle piantagioni e attorno agli stagni muggivano i grossi rospi gialli e neri con appendici cornute e fischiavano migliaia e migliaia di batraci.

      I tre uomini camminarono in silenzio per un buon quarto d’ora, rischiarando la via con la lanterna; poi, giunti ad una biforcazione, il guascone si fermò.

      – Ci lasciate? – chiese il conte.

      – Questo dipende da voi, signore – rispose il soldato.

      – Che cosa volete dire?

      – Signor conte, io sono un uomo d’onore e sono un cadetto d’una famiglia nobile della Guascogna. Già. Voi saprete che, piú o meno, noi siamo tutti nobili nel mio paese, ma anche poveri, poveri, perché i nostri padri non ci lasciano per eredità che una buona spada e delle lunghe lezioni di scherma.

      – Che cosa volete concludere, signor Barrejo?

      – Che vorrei sapere chi siete e perché siete fuggito da San Domingo, mentre era stato dato l’ordine d’impedire l’uscita a tutti gli abitanti.

      Il conte rimase un momento muto, guardando il soldato, poi disse:

      – Scommetterei che voi già lo sapete.

      – Forse.

      – Sono il capitano della fregata che entrò nella rada ieri mattina che due ore fa è stata cannoneggiata dagli spagnuoli.

      – Dei filibustieri, non è vero?

      – Siete molto perspicace, signor Barrejo. Ora andrete ad avvertire certamente il governatore.

      – Io? – esclamò il guascone. – Io tradirvi? Mai! Siamo uomini d’onore, noi.

      – Allora avrò soddisfatta la vostra curiosità.

      – Signor conte, se vi facessi una proposta?

      – Dite pure.

      – Noi guasconi siamo gente di guerra e non amiamo lasciar arrugginire inutilmente le nostre spade. La mia dorme da due anni in San Domingo e minaccia di non saper piú uscire dal fodero. Volete arruolarmi? Coi filibustieri vi è sempre occasione di menar le mani.

      – E anche di morire piú facilmente! – aggiunse Mendoza.

      – Ho trentadue anni e ne ho già abbastanza della vita – disse il guascone. – Mi volete, signor conte? Vi giuro che sarò una buona lama.

      – E poi lo liberereste da molti fastidi – aggiunse il marinaio, a cui non dispiaceva affatto quel fracassone.

      – Sia! – disse il signor di Ventimiglia. – Un bravo soldato di piú sulla mia nave non sarà d’impiccio.

      – Voi non siete spagnuolo, quindi potete passare al nemico – disse Mendoza.

      – Sono un soldato di ventura e null’altro, e come tale posso offrire la mia spada ed il mio braccio a chi meglio mi piace.

      – Conoscete S. Josè?

      – Conosco mezzo San Domingo.

      – Sapreste condurci nella tenuta della marchesa di Montelimar?

      – Anche con gli occhi bendati.

      – Andiamo a procurarci dei cavalli, prima di tutto. Io non dubito che gli spagnuoli ci diano la caccia.

      – Potete esserne certo, signor conte – rispose il guascone. – Ci lanceranno anche addosso qualche banda dei loro terribili cani.

      – In cammino allora, Barrejo – disse il conte. – Non ho alcun desiderio di farmi mordere i polpacci da quelle bestiacce.

      – Dovremo prendere la via dei boschi, signor conte. Le vie sono battute dalle ronde e potrebbero arrestarci.

      – Ve ne sono molte fuori della città?

      – Eh, un bel numero.

      – Andiamo a visitare i boschi.

      Il guascone gettò via la lanterna, la cui luce poteva tradirli e attirare qualche ronda in perlustrazione o alla caccia di bucanieri.

      Quelle bande di soldati, formate da cinquanta uomini ciascuna, erano incaricate di impedire ai bucanieri, alleati dei filibustieri, di dare la caccia ai numerosi tori selvatici che in quell’epoca scorrazzavano liberamente per le foreste dell’isola.

      Non


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