Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari
non sbagliare il colpo o vi salterà alla gola.
– È un affare che sbrigherò io, – rispose il filibustiere.
– Alla cinquantina penseremo io e il signor conte.
Tutti e tre avevano armato le pistole e si tenevano l’uno presso l’altro, pronti a sguainare le spade.
Il doz cubano fiutava sempre, volgendo la testa massiccia verso l’enorme albero e ringhiando sordamente. Doveva aver sentito che là si nascondeva il nemico.
Un grido s’alzò fra gli uomini d’avanguardia della cinquantina
– Ay, perrito!
Il cagnaccio, udendo quel comando, si slanciò furiosamente, sperando di azzannare i misteriosi avversari che non osavano mostrarsi.
Mendoza, che lo teneva d’occhio, fu pronto a sparare e gli fracassò il cranio, mentre il conte ed il guascone facevano fuoco contro la cinquantina, tirando a casaccio.
Allora gli spagnuoli, credendo d’aver dinanzi qualche grosso drappello di quei terribili bucanieri che non sbagliavano mai la mira, in un lampo si dileguarono, gettandosi in mezzo ai canneti delle paludi.
– Ecco la cinquantina sgominata! – disse il guascone ridendo. Lavoriamo tuttavia di gambe, perché domani mattina tornerà qui e se si accorgerà, dalle nostre tracce, d’aver avuto da fare con soli tre uomini, ci darà una caccia terribile. Corriamo, signor conte!
– E queste sono le splendide passeggiate che si fanno a San Domingo – disse Mendoza. – Preferisco quelle che si fanno sulla tolda della Nuova Castiglia.
Si erano messi a correre, come se avessero altri molossi alle calcagna.
Il guascone, che aveva le gambe piú lunghe di tutti, marciava con una rapidità incredibile lungo la fronte della boscaglia, dietro però la prima linea degli alberi, per paura che la cinquantina, rimessasi dalla sorpresa, si fosse nuovamente ordinata e formata per la caccia.
– Questo briccone ha giurato di farmi morire completamente sfiatato! – brontolava Mendoza, il quale sbuffava come un bufalo. – Quanto durerà questa storia?
Pareva proprio che il guascone possedesse una resistenza incredibile e muscoli di acciaio, poiché non rallentava nemmeno un momento la sua corsa.
Il figlio del Corsaro Rosso si mostrava non meno resistente, anzi, aveva maggiore slancio, come se fosse già abituato alle lunghe corse.
Quella galoppata furiosa durò un’ora, poi il guascone si fermò.
– Può bastare – disse. – La cinquantina ha avuto piú paura di noi e non ha osato darci la caccia. Prima che ne incontri altre o che si rifornisca di cane, passerà del tempo e noi potremo raggiungere la villa della marchesa, senza essere piú disturbati.
– Se non sapete nemmeno dove si trovi! – disse Mendoza, il quale aspirava, come un mantice da fucina, la fresca brezza notturna.
– Camminando sempre, si va anche a Parigi – rispose Barrejo.
– Nel mio paese si dice che tutte le vie conducono a Roma – aggiunse il conte.
– Ma non alla villa di Montelimar – ribattè Mendoza il quale sembrava di pessimo umore.
– Voi, camerata, brontolate sempre contro il vostro capitano – disse il guascone. – Anche questo è un brutto vizio.
– Mi correggerò col tempo.
– Siete ormai troppo vecchio per farlo.
– I filibustieri sono sempre giovani. Lo sanno gli spagnuoli.
– Oh, non lo nego, amico! Avete sempre il fuoco nel petto.
– E non le vostre gambe.
– Orsú, che cosa facciamo ora, don Barrejo? – chiese il conte.
– Io per conto mio, farei colazione – disse Mendoza. – Questa corsa mi ha messo un appetito da pescecane.
– Contentati di accendere la tua pipa, per ora – rispose il conte. – Se non basta, stringi bene la cintura.
– Ottimo consiglio! – sentenziò gravemente il guascone.
– Che non farà bene a nessuno – brontolò Mendoza – Mettetelo in pratica voi.
– Ne avete qualche altro da suggerirci don Barrejo? – chiese il conte.
– Sí, quello di sdraiarci in mezzo a queste fresche erbe e di tirare il fiato fino all’alba.
– E i caimani? – chiese Mendoza. – prima avevate una gran paura di quelle bestiacce.
– Sono lontani da qui, e poi non chiuderemo gli occhi
– Visto e considerato che non vi è di meglio da fare, lo metto in esecuzione – disse il conte, lasciandosi cadere fra le erbe e allungandosi con visibile soddisfazione. – Sono due giorni che io e questo eterno brontolone non ci riposiamo: è vero, Mendoza?
– Saranno forse di piú – rispose il filibustiere imitandolo.
Il guascone guardò attentamente in tutte le direzioni, si chinò, accostò un orecchio a terra, ascoltò attentamente e poi, a sua volta, si allungò fra le fresche erbe, dicendo:
– Nulla: possiamo riposarci.
Non era però troppo facile socchiudere gli occhi.
I grossi rospi muggivano sempre, con un crescendo spaventoso; i caimani facevano del loro meglio per imitarli ed i batraci gareggiavano fra di loro per fischiare con maggior furore, come se si fossero messi d’accordo per impedire a Mendoza di schiacciare un sonnellino, fosse pure d’un quarto d’ora.
Era però molto tardi, e l’alba non doveva tardar molto a spuntare. Nel Golfo del Messico il sole tramonta presto e si alza anche molto presto.
Alle tre e mezzo, durante l’estate, il cielo si tinge dei primi riflessi dell’aurora e le stelle scompaiono.
I tre filibustieri – poiché ormai anche il guascone si poteva considerare come tale – si riposavano da un paio d’ore, tendendo continuamente gli orecchi, per paura che i cani delle cinquantine, li sorprendessero, quando le tenebre cominciarono a diradarsi.
– In marcia, signor conte – disse il guascone, alzandosi rapidamente. – Cercherò di orientarmi.
– È stata accomodata la bussola piantata in mezzo al vostro cervello? – chiese Mendoza beffardamente.
– S’incaricherà il sole di rettificarla – rispose l’avventuriero.
– Speriamo che sia un abile meccanico.
– Vedrete, camerata.
Stavano per mettersi in cammino, quando udirono a breve distanza uno sparo.
– La cinquantina! – gridò Mendoza facendo un salto.
– Sí, che spara con le sue alabarde! – osservò il guascone sorridendo. – Io scommetto invece che è la colazione che giunge. Signor conte, siete conosciuto fra i bucanieri?
– Se non io, erano troppo noti i tre corsari: il Rosso, il Nero e il Verde.
– Questa archibugiata deve averla sparata un bucaniere.
– Andiamo a trovarlo – rispose il signor di Ventimiglia.
Attraversarono di corsa una folta macchia e, giunti sul margine, scorsero, in mezzo ad una radura erbosa, un uomo piuttosto attempato, vestito malamente.
Aveva un grembiale di pelle ed un largo cappello di feltro in testa e stava ritto accanto ad un gigantesco bue selvaggio il quale stava spirando. Vedendo quegli stranieri, il cacciatore fece alcuni passi indietro, e gridò con voce minacciosa:
– Chi siete? Rispondete, o vi uccido prima che possiate giungere fino a me!
– Siamo filibustieri, camuffati da spagnuoli – rispose il conte in francese purissimo, perché l’intimazione era stata fatta in quella lingua. – Io sono il figlio del Corsaro Rosso e nipote del