Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari

Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - Emilio Salgari


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se l’osate!… Prendete questa, capitano!… A te, soldataccio, che tremi come un coniglio!… Tuoni d’Amburgo!… Vi faccio in cinquemila pezzi!…»

      I due spagnoli, trincerati dietro la tavola, tiravano anch’essi colpi all’impazzata, per tener lontani gli avversari, e non facevano meno fracasso gridando:

      «Ladri!…»

      «Assassini!…»

      «Fuori di qui, bricconi!…»

      «Volete la figlia del Corsaro? Eccola colla punta d’acciaio».

      Mentre i tre uomini battagliavano contro le tenebre, senza osare fare un passo innanzi, Carmaux trovò finalmente le torce, ma non il piantatore, il quale aveva approfittato per darsela a gambe. Carmaux ne accese una.

      «Vedremo ora come se la caveranno» disse.

      Spalancò la porta e si precipitò nella sala sotterranea, urlando:

      «Giù le armi o vi uccidiamo!»

      Invece di abbassare le spade, i due spagnoli si posero in guardia, gridando:

      «Avanzatevi, se l’osate!»

      Carmaux piantò la torcia in una fessura del pavimento, e si fece innanzi, dicendo:

      «A te il soldato, a me il capitano».

      «Sì» rispose l’amburghese.

      Prima però d’incrociare la lama, Carmaux fece un ultimo tentativo.

      «Siamo allievi del Corsaro Nero, che fu il più formidabile spadaccino della Tortue» disse. «Noi vi uccidiamo, questo è certo. Volete arrendervi e consegnarci la signora di Ventimiglia?»

      «Il capitano Valera non si arrende ad un mascalzone pari tuo» rispose lo spagnolo. «Vedrai come ti scucirò il ventre».

      «Tuoni dell’aria!… A noi due!…»

      Carmaux con un salto si era gettato verso la tavola, dietro la quale si tenevano i due spagnoli ed aveva incrociata la spada col capitano.

      Wan Stiller, dal canto suo aveva girato l’ostacolo, piombando addosso al soldato, il quale era stato costretto a lasciare il riparo per non farsi prendere alle spalle.

      I quattro duellanti mostravano di conoscere a fondo tutte le sottigliezze della scherma e di essere spadaccini di vaglia.

      I due corsari però, avendo fatte le loro prime armi sotto il Corsaro Nero, che fu il più famoso schermitore del suo tempo, fino dai primi colpi avevano gettato un po’ di timore negli animi dei due spagnoli, i quali si erano illusi di sbrigare presto la partita, non essendo generalmente i filibustieri che dei bravi tiratori d’archibugio.

      Carmaux incalzava furiosamente il capitano, senza concedergli un istante di tregua. L’aveva costretto a lasciare il riparo ed a rompere tre o quattro volte, ed ora combattevano presso un angolo della sala.

      Wan Stiller tempestava il soldato di botte. Già due volte l’aveva toccato, ma avendo lo spagnolo il petto coperto dalla corazza, non ne aveva avuto alcun danno.

      Si capiva però che il suo avversario, assai meno destro del capitano, non poteva durarla a lungo e si vedeva che si esauriva rapidamente vibrando stoccate inutili.

      «Ti arrendi?» chiese ad un certo momento l’amburghese, accorgendosi che non parava più colla rapidità di prima.

      «Mai» rispose il soldato. «I Bardabo muoiono, ma non si arrendono».

      «Non vedi che sto per ucciderti, e che non ne puoi più?»

      «Allora prendi questa!»

      Il soldato che si trovava quasi addosso al muro, con uno scatto improvviso si era gettato sull’amburghese e, mentre gl’impegnava la spada guardia contro guardia, aveva allungata una gamba, tentando di dargli uno sgambetto e di farlo cadere.

      «Ah!… Traditore!…» urlò l’amburghese. «Non è leale ciò. Muori dunque!…»

      Si gettò bruscamente da una parte per disimpegnare meglio la lama, poi andò a fondo, spingendo il ferro con velocità fulminea.

      La punta, entrata sotto l’ascella destra del soldato, che la corazza non difendeva, era scomparsa nel corpo del disgraziato.

      «Toccato» brontolò lo spagnolo, con voce semi-spenta.

      Si appoggiò alla parete, lasciandosi sfuggire la spada, stravolse gli occhi, mormorò qualche parola, poi stramazzò al suolo vomitando sangue.

      «L’hai voluto» disse l’amburghese.

      Poi si slanciò verso Carmaux, dicendo:

      «Vengo in tuo aiuto, compare».

      Il capitano teneva ancora testa al filibustiere, ma si trovava quasi addosso al muro e appariva assai affaticato.

      Aveva passata la spada dalla destra alla sinistra, per cercare di imbrogliare vieppiù Carmaux, il quale, non essendo mancino, non doveva trovare quel cambiamento di suo gusto.

      «Pensate anche a me» disse Wan Stiller, piombandogli addosso.

      «No, compare, non sarebbe leale» disse Carmaux. «Lascia a me sbrigare la faccenda».

      Il capitano, udendo quelle parole aveva fatto un ultimo salto indietro ed aveva abbassata la spada.

      «Vi credevo un ladrone del mare» disse, «capace di assassinarmi anche a tradimento, e ritrovo invece in voi un gentiluomo. Al vostro posto, un altro non avrebbe rifiutato il concorso d’un compagno».

      «Il Corsaro Nero mi ha insegnato a essere leale» rispose Carmaux. «Vi arrendete?»

      Il capitano prese la spada con ambe le mani, l’appoggiò su un ginocchio e la spezzò in due, dicendo:

      «Sono vostro prigioniero».

      «Non sappiamo che cosa farne dei prigionieri» rispose Carmaux. «Morgan a quest’ora ne ha perfino troppi. Noi siamo venuti qui a cercare la figlia del Corsaro Nero»

      «Mi è stata affidata dal governatore e senza un suo ordine io non posso cederla».

      «È fuggito dopo le prime cannonate e non sappiamo dove sia. Quindi non potrebbe, in questo momento, darvi il permesso».

      «È presa adunque la città?»

      «È in nostra mano da tre ore».

      «Allora, signori, ogni resistenza da parte mia sarebbe inutile, da che tutti sono fuggiti, compreso il governatore».

      «Dov’è la signorina di Ventimiglia?»

      Il capitano ebbe un’ultima esitazione, poi disse:

      «Io ve la cederò, se voi mi promettete di ottenere dal vostro capitano il permesso di lasciare la città indisturbato».

      «Il signor Morgan ve lo accorderà» disse Carmaux. «Impegniamo la nostra parola».

      «Prendete la torcia e seguitemi».

      Wan Stiller obbedì. Lo spagnolo si trasse dalla cintura di pelle, che portava ai fianchi, una chiave e si diresse verso una porta che si vedeva all’estremità della sala sotterranea.

      «Adagio, signore» disse Carmaux che era sempre diffidente. «Eravate soli qui?»

      «Non vi è nessun altro» rispose il capitano. «Al fracasso sarebbero già accorsi e allora le sorti del duello sarebbero forse cambiate».

      «Infatti avete ragione» disse Carmaux.

      Il capitano introdusse la chiave nella toppa e aprì la porta, avanzandosi in un’altra sala illuminata da un lampadario di stile veneziano, colle pareti rivestite di pannelli, il pavimento riparato da un tappeto assai fitto e arredata con una certa eleganza.

      All’estremità si vedeva un’alcova, le cui tende rosse, con ricami d’oro sbiadito dal tempo e dall’umidità, erano abbassate.

      «Signora» disse il capitano. «Vi prego d’alzarvi. Delle persone che hanno conosciuto vostro padre sono venute qui e vi aspettano».

      Un grido


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