Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele
dei ladroni che le infestavano; assicurò il commercio, spense i violenti e gli scapestrati. Si narra di lui che obbligasse la madre al pagamento di un debito, minacciando di lasciarla tradurre dinanzi il cadi:98 la madre, sola creatura umana rispettata da quel mostro. Attese molto alle opere pubbliche. A comodo dei cittadini, costruì un gran serbatoio d'acqua al Kairewân. Per magnificenza e pietà innalzò una moschea cattedrale a Tunis; e aggrandì quella del Kairewân; aggiuntavi inoltre una cupola che poggiava su trentadue colonne di marmo. Circondò Susa di mura. Compiè su la costiera del reame una linea di torri e posti di guardia, ordinata a far segnali coi fuochi, sì che in una notte potea tramandarsi avviso da Ceuta ad Alessandria di Egitto.99 Cotesta pratica antichissima era scesa con le tradizioni dell'impero infino ai Bizantini; i quali nella prima metà del nono secolo l'adoperavano a significare i tristi casi di lor guerre, da Tarso a Costantinopoli.100 E v'ha ragioni da credere ch'e' se ne fossero avvalsi anco in Sicilia, e che quivi avesserla appreso gli Arabi d'Affrica.101
Innanzi ogni altra opera pubblica, Ibrahim avea costruito una cittadella, centro di gravità della tirannide ch'ei macchinava: fortezza ove porre sua corte e ordinar novelli pretoriani per disfarsi degli antichi, i liberti di casa aghlabita, ridotti nel Castel Vecchio, stati fin allora padroni del popolo e del principe. Fece por mano a' lavori il dugento sessantatrè (23 settembre 876 a 11 settembre 877), in luogo discosto quattro miglia dal Kairewân e chiamato Rakkâda, “Sonnolenta” come suona appo noi.102 Entro un anno, fornite le mura, innalzata una torre che addimandarono di Abu-'l-Feth,103 Ibrahim inaugurolla con sanguinoso tradimento. Era avvenuto che i liberti del Castel Vecchio tumultuassero contro di lui per aver fatto morire un di lor gente: e allora, ito loro addosso per comando d'Ibrahim il popolo della capitale, i liberti, vedendosi sopraffatti, avean domandato e ottenuto perdono. Ma il dì che dovean toccar lo stipendio, Ibrahim li chiama alla torre di Abu-'l-Feth; li fa entrare a uno a uno; disarmare; incatenare: e diè mano ai supplizii; ch'altri morì sotto il bastone, altri condannato a perpetuo carcere in Kairewân; altri bandito in Sicilia.104 In luogo dei liberti, comperò schiavi in grandissimo numero; prima negri, poi anco di schiatta slava: li vestì; li esercitò nelle armi; ne fece un grosso di stanziali, valorosi, induriti alle fatiche;105 massa di bruti della zona torrida e del settentrione disumanati dal servaggio e di più dalla disciplina. Così passarono i primi sei anni del regno; lodevoli del resto a detta di tutti i cronisti, i quali tenean forse necessaria la carnificina di Abu-'l-Feth. Poi sfrenossi a dar di piglio nella roba e nel sangue; peggiorando di anno in anno, come nota l'autore del Baiân.106
Perchè, non bastando le entrate ordinarie dello stato a spesare gli stanziali, le fabbriche e la guerra che sopravvenne (an. 880, 881) contro un principe d'Egitto della dinastia usurpatrice dei Beni-Tolûn, era strascinato Ibrahim ai maltolti. L'anno dugento settantacinque (888-889) battè nuova moneta d'argento, che, rifiutata dai mercatanti del Kairewân, diè occasione a tumultuarie rimostranze, imprigionamenti, sollevazione: e Ibrahim, al solito, restò di sopra. Donde facea coniare altri dirhem e dinâr decimali, com'ei li chiamò, perchè i primi d'argento e i secondi d'oro stavano in valore come uno a dieci; e tolse di mezzo le buone monete dell'impero abbassida.107 Oltre questo espediente di finanza, ponea nuove gabelle;108 aumentava le tasse prediali e riscuoteale in danaro, non più in derrate;109 richiedeva i cittadini che apprestassero a servigio dello Stato loro schiavi e giumenti; in cento modi li espilava per accumular tesori.110
A misura degli aggravii prorompean pure le sollevazioni; e a misura di quelle incrudeliva Ibrahim. Ne noterò solo i fatti rilevanti. Ribellavansi ricusando le tasse, l'anno dugentosessantotto (881-882), le tribù berbere di Wuezdàgia, Howâra e Lewâta: ed erano oppresse, l'una da Mohammed-ibn-Korhob, ciambellano, le altre da Abd-Allah figliuolo d'Ibrahim, mandatovi con gran gente di giund, liberti, leve in massa, e ausiliarii forniti al certo da altre tribù berbere: sì fermo Ibrahim guidava tutti i cavalli del carro, poichè s'ebbe aggiustata in mano quella ferrea sferza degli schiavi stanziali.111
Poi surse in arme la colonia di Belezma, gente arabica della tribù di Kais, venuta la più parte nei principii del conquisto, e stanziata da parecchie generazioni in quella città, sul confin meridionale dell'odierna provincia di Costantina, in mezzo alla catena degli Aurès, donde teneva a segno la tribù berbera di Kotâma. Gli agguerriti Arabi di Belezma ributtarono Ibrahim, ito in persona a combatterli: ond'ei perdonò loro; attirò a Rakkâda, prima alcuni capi sotto specie di trattar faccende, poi, con altri pretesti, più numero di gente; lor diè splendide vestimenta, onori quanti ne vollero e alloggiamento in uno edifizio circondato di mura con una sola porta, nel quale settecento o mille cavalieri, chè tanti se n'erano accolti, se pur pensavano allo esempio dei liberti del Castel Vecchio, si fidavano al certo di affrontar chi che si fosse. E così ogni evento delle istorie avvera la sentenza del Machiavelli, che colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare.112 Il dì che le altre soldatesche toccavan la paga, inebbriate di danaro, fors'anco di vino, Ibrahim le lanciava allo scannatoio ov'eran serrati i guerrieri di Belezma; i quali (893-894) valorosamente si difesero; e tutti perirono.113 La pena di tal misfatto, come spesso accade, la pagò non Ibrahim, ma la dinastia; poichè, decadendo Belezma, la tribù di Kotâma imbaldanzì, e condusse al trono i Fatemiti.114 Più pronto gastigo minacciava la sollevazione generale delle milizie arabiche, scoppiata immediatamente e rinnovatasi poi varie fiate; ma Ibrahim trionfò di tutti, mercè le mura di Rakkâda, la virtù militare del figliuolo Abd-Allah, e gli schiavi armati; dei quali accrebbe il numero; lor affidò la reggia; e pose capitani sopra di loro due schiavi, Meimûn e Rescîd. Accentrò al medesimo tempo Ibrahim grande autorità in persona di Hasân-ibn-Nâkid, nuovo suo ciambellano, capitan di eserciti, emir di Sicilia, e rivestito di altri oficii, scrive la cronica,115 probabilmente le amministrazioni di finanza, e il tribunale dei soprusi nelle province sollevate.
Tra i casi di questa rivoluzione seguirono non più udite enormezze dei soldati regii, i quali, presa Tunis per battaglia, fecero schiavi tra i Musulmani, sforzaron le donne e sparsero gran sangue (893-894). Dato avviso della vittoria a Rakkâda per lettere legate al collo dei colombi, Ibrahim rescrisse di caricare i cadaveri su le carra; mandarli a Kairewân; e condurli in giro per le strade. Comandò, non guari dopo (894-895), di mettere a morte i nobili della tribù di Temîm, ceppo di sua famiglia, e appendere i cadaveri alle porte di Tunis. Ministro di tai vendette era stato Meimûn, nominato dianzi, donde venne fieramente in odio a quei cittadini; ma Ibrahim, non prima n'ebbe sentore, che gli mandò, diremmo noi, un bell'ordine cavalleresco: all'uso di que' tempi collana d'oro e vestimenta di seta ricche d'oro, disegni e svariati colori; e il manigoldo in tanto sfarzo cavalcò trionfalmente in Tunis. Un anno appresso, fattevi rizzar nuove fortezze, vi andò a soggiornare il tiranno in persona;116 meditando già la impresa di Sicilia, o parendogli Rakkâda mal sicura senza lo scampo del mare: o volle sfogare la superbia dell'animo suo sopra la città ribelle, prostratagli ai piè come cadavere.
Il medesimo anno della rivolta, Ibrahim allagò di sangue la reggia per sospetto di una congiura degli eunuchi e stanziali schiavoni contro la vita di lui e della madre:117 dal qual tempo in poi, aspettandosi che alcuno dei tanti che tremavano trovasse modo ad ammazzarlo, per meglio guardarsi, consultò astrologhi e arioli, nei quali ponea molta fede. Gli dissero dover morire di certo per man d'un piccino; se di statura o di anni, i furbi maestri nol discernean bene in lor arte: ond'egli visse in sospetto de' giovani paggi schiavoni; e se gliene venia veduto alcuno audace e fiero in volto, vago di maneggiar
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Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 92 recto; e MS. C, tomo IV, fog. 246 verso, anno 261;
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Veggansi le autorità citate nella nota precedente; e vi si aggiungano: Bekri, Descrizione dell'Affrica nelle
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Questa conghiettura è fondata su gli indizii seguenti. Primo, che i fuochi di segnali usati in Sicilia fino agli ultimi anni del secolo passato per dare avviso dei corsali barbareschi che si avvistassero, si chiamavan
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Confrontinsi: il
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Si pronunziino le ultime due lettere ciascuna col proprio suono, non unite con quello della
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M. De Slane, op. cit., p. 425, ha tradotto queste parole del Nowairi “un certain nombre d'entr'eux parvint à se réfugier en Sicile.” Ma il testo dice chiaramente “rilegare,” e così lo ha interpretato M. Des Vergers in nota a Ibn-Khaldûn,
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Ciò è notato da Nowairi, op. cit., p. 425, e 427. Veggansi per cotesti fatti: Nowairi, l. c.; e il
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Tomo I, p. 126.
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Nowairi, in appendice all'
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Questa riflessione si legge nel
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Nowairi, op. cit., p. 498. Veggasi ciò che notai a questo proposito nel Libro II, cap. X, p. 429 e 430 del primo volume.
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Confrontinsi: il
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Nowairi, op. cit., p. 427.