Novelle. Balbo Cesare

Novelle - Balbo Cesare


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a passi risonanti di ferro, e poco a poco si dileguasse. Tornato il silenzio universale, nuovi sforzi facea per ritrar la mano, e credè talora non fosse morta Francesca, e la mirò; ma vide appassiti i fiori che la incoronavano, appassite, spente le bellezze ch'egli avea vedute così fiorite, lunghi dolori e celeste pazienza ritratti sul dolcissimo volto, pallido questo, bianco e freddo come la fredissima mano. Fu per morirne, fu per infuriare e trarre il ferro e recider la mano vendicatrice; ma sentivala allora strigner la sua, e quasi addentrarsi, non più fredda ma ardente e cocentissima. Pensò uccidersi; ma, quasi ad ammonimento dell'inferno, sentiva la mano stillargli fuoco, e passar nelle vene e nelle midolle delle proprie ossa. In ultimo si diè pace, se così può dirsi, e si compose ginocchione al lato della bara, prostrato sovra essa, e la mano sua abbandonata alla mano vendicatrice. Incominciò poi dolcemente a pregare, e la mano a farglisi quasi più dolce, e senza dolore, ma pur sempre teneva stretta la sua; pregò lunghe ore, e finalmente si dispose come a morire, pensando che la mano non lo lascerebbe mai più, e trarrebbeselo seco lì sotto all'avello; ma sentendosela più e più dolce, ed una fragranza, e quasi un'aura di paradiso sollevarsi del corpo, e di nuovo mirando la celeste pace del bel volto, e parendogli che nuovamente s'abbellisse e tornasse quale egli l'aveva altre volte lasciata, venne anche a lui come una pace di moribondo che ben finisca; e chiesto a lei e a Dio sincero perdono, non altro desiderava che, prima di morire, venisse alcuno ad udir la sua confessione, e la riparazione dell'onor mal tolto alla fanciulla. In questi pensieri finalmente rivide il giorno spuntar tra le variopinte invetriate; e udì il suono dell'avemaria, e finalmente aprir le porte ed accostarsi il sagrestano; e fatto cuore, a sè lo chiamò. Ma questi che non credea fosse persona in chiesa, e parevagli la chiamata venir dall'avello, non che appressarsi, fuggì, e tornò in breve con un prete, e la croce e l'acqua benedetta; e il prete chiamato venne e riconobbe Rambaldo, e udendogli dire: «Io sono l'uccisor di questa fanciulla, io calunniatore, io gran peccatore, io castigato da Dio al modo che vedete;» e vedendo anch'egli, diè indietro, e incominciò a gridar miracolo; e a poco a poco altri preti, e aperte le porte molti del popolo accorrevano, circondavano la bara e il misero peccatore; ed egli ripeteva: «Io l'ho uccisa e mal calunniata;» e il popolo gridava miracolo. E in breve venuto col suo clero il Vescovo, che prudente e santo uomo era, dispose che intorno alla defunta ed all'inginocchiato peccatore, si facesse come una corona de' suoi cherici in istola, e colle torce in mano; ed egli salito all'altare intuonò la messa, e giunto al vangelo si rivolse al popolo, e fece una molto semplice esortazione: che ammirassero tutti le vie del Signore, ed imparassero quanto grave peccato sia la calunnia che a taluni par sì leggeri; e questo peccato abborissero e detestassero; ma il meschino peccatore compassionassero, e con esso pregassero da Dio misericordia, qualunque fosse quella ch'Egli volesse a lui fare o in questa vita ancora, o nell'altra. Così riprese la messa, e finitala venne alla bara, e disse a Rambaldo, che avendogli Iddio lasciato tanto di vita, e non sapendo quanti pochi momenti fosse per lasciargliene forse, egli facesse sua pubblica confessione; e allora Rambaldo s'alzò in piedi, e colla mano che avea libera accennando, incominciò la confessione; e disse da principio il suo amore, la gelosia, e prima le voci calunniatrici incertamente sparse, e in ultimo la croce involata, e da lui fatta sacrilegamente testimonio falso della calunnia. E allora sovvenendogli di essa, e come egli, dopo la sua confessione in Roma, sempre se l'era recata indosso con intenzione di restituirla segretamente: ora così pubblicamente, finita la confessione, se la tolse di seno, e mostratala al Vescovo ed al popolo, la ritornò, aiutandolo il Vescovo, al collo della fanciulla. Nè fu compiuto l'atto che parve quasi di verginal gioia il celeste volto suffondersi; e la mano vendicatrice dolcemente cadendo s'aprì, e lasciò libera quella di Rambaldo. Allora a gridarsi nuovamente miracolo, a prostrarsi Rambaldo, a precipitarsi il popolo intorno; e ricomposto l'ordine, ad intuonarsi dal Vescovo le sante ultime preci. E dicendo requiescat in pace, s'udì a un tratto da una cappella come un grande stramazzio d'armi sul pavimento; e accorsi, trovaron dietro all'altare un cavaliero caduto, e tolta la visiera il videro morto; e miratolo, riconnobbero Manfredi.

      Credesi che questi anch'egli da divina mano ricondotto in patria il giorno innanzi, anch'egli passasse la notte in quella chiesa, e s'accostasse al primo grido di Rambaldo; ma riconosciutolo, e durando sua credenza che Francesca avesse questo amato il quale qui fosse a piagnerla, e potendo in lui sempre più che l'ira l'amore, si ritraesse ad orare dietro l'altare, onde poi udì tutta la terribile confessione di Rambaldo, conobbe il proprio errore, e la propria stoltezza, e sè accusando della morte della fanciulla, gli si strinse il cuore, e all'udir l'ultimo requiescat in pace, gli si ruppe, e morì. Fu sepolto non lungi là della sua amata. La madre di questa non sopravvisse intero l'anno. Di Rambaldo, altri dice che si fece monaco di San Benedetto, i quali allora vivevano tutti come ora i Trappiti, in un deserto; altri che fu anch'egli a Terra Santa non come cavaliero, ma pellegrinando a piè nudi, e facendo grandissime penitenze, e che santamente morì tornandone, e per via, a San Giacomo di Gallizia.

      Qui finiva la storia del buon maestro; nè finiva egli. Perchè voleva aggiugnere la moralità, e incominciava di nuovo a dir della calunnia; e che sempre era punita in questo mondo o nell'altro; e che per essa v'ha di tali che credendosi di vivere mezzi santi, e d'ir dritto in paradiso, si risvegliano morti in inferno; e Dio guardasse di ciò anche chiunque avesse mal parlato di lui; perchè a lui non ne importava nulla; ma ei v'ha di tali, e non solamente fanciulle, ma talor uomini, anche dei valorosissimi, che sono così stolti che muoiono accorati d'una bugia; gran pazzia e dabbennaggine veramente; ma l'errore di chi ne muore non iscusa chi fa morire; «E quando taluno di voi parlando al signor Sindaco incomincia a dir del compare, che gli è pur peccato meni sì mala vita, ed è giuocatore, ubbriacone, donnaio, e chi sa dove finirà, e simili cose; credete voi che cada questo discorso, e sia finita così? No signori; mai no; che poi se vi è nella terra un chiasso, uno scandalo, un ladroneccio, o una morte, ecco il giudice mette mano prima d'ogni altro su questo di che ha avuto le male informazioni o false o esagerate, e il povero uomo va in prigione, e corre rischio della vita; chè anche i migliori giudici quando sono preoccupati possono errare. E se il povero uomo campa dalla giustizia e dalla prigione, e torna al paese, ei torna rovinato, diffamato, che nessuno non ne vuol più nè per mezzajuolo, nè per lavoratore; e talora entrato galantuomo in carcere, per ira e per disperazione, e per mala compagnia n'esce briccone. E la povera moglie, e i fanciulli…» Ma essendo l'ora tarda, e già spegnendosi la lucerna, e la buona gente avendo meno pazienza alla moralità che alla storia, e dicendo l'un dopo l'altro buona notte, ed andandosi; anche il maestro ed io ci accomiatammo da' padroni della stalla, ed usciti, l'uno dall'altro poi, dicendoci buona notte.

      TONIOTTO E MARIA

      «E voi qual è il parer vostro?» disse uno de' più giovani della brigata rivolgendosi al maestro. «Io?» rispose, «io non parlo mai di politica. Le donne e i preti ne sono dispensati; ed io non voglio lasciar perdere il privilegio, che mi par grandissimo.» «Tuttavia…» riprese il giovane. Ma un altro alzò la voce, e poi un altro, e molti insieme, e in breve la disputa diventò caldissima, finchè tra 'l chiasso e la confusione si udì uno dire: «Almeno al tempo de' Francesi…» «Al tempo de' Francesi,» interruppe allora agitato oltre al solito il maestro, «al tempo de' Francesi eravi la coscrizione.» «E v'è anche adesso,» dissero due o tre. «Al tempo de' Francesi,» riprese il maestro, e lo ripetè la quarta volta, «al tempo de' Francesi v'era la coscrizione, che era tutt'altro vedersi strappar figli, sposi e fratelli dalle braccia, legati come animali immondi, per andare mille miglia lontano a un macello… che era un macello almen per noi, cui non importava, nè doveva importar nulla di quelle guerre. E quelli che le hanno fatte non son quelli che ne abbian forse patito più; ma quelli che vi hanno perduto, così senza pro nè consolazione di proprio principe o propria patria, quanto essi amavano. Benchè ed anche di quelli che vi hanno forse preso gusto, quanti l'hanno crudelmente pagato poi?» E qui si fermava, e parea pure voler dir altro. E perchè era ben voluto dalla brigata, ed udito volentieri al solito, ed or tanto più, come succede a qualunque si tace durante una lunga disputa, e non parla se non quando egli n'ha il cuor pieno, e l'han votato gli altri; certo tutti si tacevano, e parevano aspettassero ch'ei pur continovasse. Onde egli ricominciando: «Se non credessi di attristar la festa che facciamo, io vi direi quello che dinanzi a me stesso è succeduto; e vi ho avuto parte, che ne porto, e credo ne porterò tutta la mia vita i segni nel cuore. Ma non è novella piacevole di niuna maniera; è storia di poveri contadini, che non la direi a contadini. A voi altri forse servirebbe a mettervi d'accordo su queste dispute;


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