Terra vergine: romanzo colombiano. Barrili Anton Giulio
la mia parte di lino.
– Ma che faresti tu qui? Dormiresti sempre?
– Oh questo poi no. Vorrei anzi vegliare, vegliar molto, al fianco d'una bella castellana…
– Che non hai pensato a condurre con te.
– Nella speranza di trovarla sulla faccia del luogo; – rispose Damiano. – Che pensi? che ci siano donne solamente nel vecchio mondo?
– Io non pretendo questo.
– Ah, volevo dire! Mi potresti invece osservare, e con più ragione, che non c'è da sperar castellane, in questi luoghi, perchè non ci sono castelli. Ma un castello me lo fabbrico io tutte le volte che mi pare, e una volta sempre meglio dell'altra. Del resto, dove andiamo noi, di questo passo? Cioè, mi spiego, dove ripiglieremo ad andare, quando spunterà l'alba dai lidi Eòi… che per noi sono le acque dell'Oceano? Alla corte del gran Cane, io m'immagino. Il gran Cane, per far che faccia, non sarà così cane da ricusarmi la mano di sua figlia. Mi dirai che potremmo dar del capo alla corte del Prete Janni: la qual cosa mi piacerebbe meno, perchè i preti non fanno famiglia. Ma egli, per bacco, vorrà avere un ministro, dei gran signori, dei principi assistenti al soglio. Vedrai, Cosma; figlia di re, o figlia di principe, la prima bellezza che mi capita tra i piedi paga il tributo del Nuovo Mondo al tuo amico Damiano.
– Uomo volubile! – esclamò Cosma.
– Caro mio, – rispose Damiano, – sai che non voglio morir di crepacuore, io? Se la bella Ca…
– Zitto, Bar… – interruppe Cosma.
– E zitto tu, ora! – interruppe a sua volta Damiano. – Vedo che commettiamo un'imprudenza per uno. Fortuna che qui nessuno capisce la lingua madre; altrimenti, il segreto sarebbe custodito per benino! —
La chiacchiera allegra di Damiano durò ancora un bel pezzo. Ma Cosma, che la inframmezzava di poche parole, diradò anche quelle poche, lasciando tutto il carico della conversazione all'amico.
– Ho capito; – disse ad un certo punto Damiano. – La notte è alta, suadentque cadentia sidera sonnos. Vediamo dunque di dormire. —
E sdraiatosi sul fianco, si tirò sugli occhi il cappuccio della sua veste catalana. Pochi minuti dopo, era profondamente addormentato.
– Felice amico! – mormorò Cosma, che stava ancora appoggiato al gomito, contemplando le stelle. – Egli ha lasciato i tristi pensieri di là dall'Oceano; e i miei frattanto… —
E i suoi frattanto li lasceremo lavorare a lor posta, nel silenzio della notte serena. La gente malinconica, si sa, è amante del proprio dolore, e non vuol essere molestata.
Del resto, anche Cosma si addormentò, un'ora dopo i suoi compagni di viaggio. Per compenso (diciamo così) fu anche il primo a svegliarsi, e balzò in piedi senza farsi pregare, al primo cenno delle guide, che annunziavano il sorger dell'alba.
La comitiva si rimise in cammino; attraversò nuove valli e nuove colline, salutò nuovi orizzonti, ammirò nuove scene pittoresche, e ricevette il saluto di nuovi sciami d'insetti, di nuovi stormi di pappagalli. Finalmente, poco dopo il meriggio, appena fornite dodici leghe di cammino da che aveva lasciata la costa, vide aprirsi davanti a' suoi occhi una gran valle, e nel centro di quella valle apparire una lunga lista di terreni coltivati.
– Cubanacan? – domandò Damiano al selvaggio della costa.
– Cubanacan; – rispose quell'altro.
– Ma le case? dove sono le case? —
A questa domanda, fatta in lingua spagnuola, non poteva rispondere il selvaggio della costa. Per rispondere, gli sarebbe bisognato capir la domanda.
Rispose invece, o parve rispondere per lui, il selvaggio di Guanahani.
– Bohio; – diss'egli, accennando verso il fondo della valle; —Bohio!
– E Bohio sia; – rispose Damiano. – Io speravo che fossimo giunti alla capitale del gran Cane; invece, a quanto pare, non c'è neanche il sobborgo. —
Per altro, seguitando a guardare, incominciò a distinguere qualche cosa. Si vedevano dei tetti di paglia, d'una forma conica, come quelli che già avevano veduti nelle isole dianzi scoperte. E dopo una mezz'ora di cammino, alla svolta di un poggio, si vide un intiero villaggio; non più di cinquanta capanne, ma tutte assai grandi, fatte di legno, esagone, ottagone, tondeggianti, a forma di padiglioni. Non era la capitale del gran Cane, no certo; non risplendeva di metalli preziosi; ma era sempre un villaggio abbastanza pittoresco, ed era dopo tutto il primo centro popoloso un po' fitto, che fosse dato di scoprire, in quelle isole, dal 12 ottobre al 2 novembre dell'anno di grazia 1492.
– Bohio? – domandò Damiano al selvaggio della costa.
– Bohio; – rispose gravemente quell'altro.
– Ed ora, caro mio, – ripigliò Damiano, – ne so come prima. Amo per altro illudermi colla opinione che sia il nome di quella città minuscola, che apparterrà benissimo al gran Cane, ma donde non esce un cane per venirci a ricevere. —
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