Terra vergine: romanzo colombiano. Barrili Anton Giulio

Terra vergine: romanzo colombiano - Barrili Anton Giulio


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un po' perchè la commozione era forte, e si reggevano male. Nell'eccesso della loro allegrezza, preferivano saltare. Giunti alla presenza dell'almirante, che ritto a' piè di un albero li stava contemplando, gli si strinsero attorno, quale baciandogli le mani, quale abbracciandogli le ginocchia, e tutti gridando i più sperticati evviva al grand'uomo, al protettore, al dio della gente di mare. Ed erano gli uomini che una settimana prima volevano disfarsi di lui, buttandolo a mare!

      E frattanto, le creature umane poco vestite, anzi punto vestite, a cui aveva accennato Cosma, dov'erano? Sulla riva, affollate, al primo apparir delle navi, di quei mostri ignoti, che fendevano coi negri corpi le onde marine, spiegando in aria lunghissime ali di cigno. Ma ben presto avevano veduto ripiegarsi quelle ali, i mostri fermarsi a mezzo il loro cammino, cavandosi dal seno due mostricini per ciascheduno, e quei mostricini affrettarsi alla spiaggia. Tanto era bastato perchè quelle povere creature umane si allontanassero in fretta dalla spiaggia, andando a nascondersi nelle vicine boscaglie. Da principio non avevano ardito neanche di ricogliere il fiato, tanta era la furia del correre in salvo; poi, dalla vetta di un palmizio su cui qualcheduno dei più audaci si era arrampicato, giungeva l'annunzio che i piccoli mostri toccavano terra, balzandone fuori uomini stranamente fatti, coperti di vivi colori, e taluni di essi con la persona vestita di squamma lucente alla guisa dei pesci. Quegli uomini strani si erano fermati, non mostravano intenzione d'inseguire i poveri abitanti dell'isola. I piccoli mostri si erano allontanati dalla riva, per ritornarsene là, d'onde erano venuti, presso i mostri maggiori; e ai più savi uomini della tribù non era stato troppo difficile argomentare che si trattasse di piroghe, ma più grandi e più capaci delle loro, tanto sottili e così poco sicure, scavate com'erano grossamente nei tronchi degli alberi.

      Che cosa facevano quegli esseri maravigliosi, rimasti soli sul lido? che riti compievano, agitando quelle aste, da cui pendevano quei pezzi di tela? Perchè si buttavano alle ginocchia di uno tra loro, notevole per la statura elevata e per quello splendore di rosso scarlatto? Perchè alzavano le mani al cielo? Invocavano in quella maniera i loro spiriti tutelari? Ma quell'uomo alto, dai lunghi capelli d'oro, non era egli stesso uno spirito buono, disceso per essi, o con essi, dal cielo?

      La curiosità aveva vinto il timore. I più giovani ed animosi incominciarono a farsi avanti tra gli alberi, venendo fino al limite estremo del bosco. Gli esseri strani avevano l'aria di non avvedersi neanche della loro presenza; se pure accadeva che volgessero gli occhi da quella parte, non si trattenevano mai a guardare, e tranquilli attendevano ai loro discorsi. Taluni, anzi, andando attorno per la spiaggia, raccoglievano stipa e rami secchi, che portavano a certi focolari improvvisati, per accendervi il fuoco e preparare il pasto all'aperto. Non avevano dunque cattive intenzioni; erano esseri buoni, discesi a quella spiaggia per riposarsi, non per nuocere ai tranquilli abitanti dell'isola. E allora i selvaggi osservatori prendevano animo, si facevano sempre più avanti; qualcuno di essi era già uscito dalla macchia, e, mettendo piccole grida, cercava di destar l'attenzione dei nuovi venuti. I quali, finalmente, incominciavano a voltarsi, a guardare, e, senza muoversi dal posto che s'erano scelto sulla riva, invitavano coi gesti la timida gente ad accostarsi. Ma ancora non si fidavano, i naturali del luogo; stavano là sospesi, continuando a mettere le loro piccole grida, quasi volessero invitare quegli esseri strani a far sentire anch'essi il suono della lor voce, che ancora non avevano udita.

      Cristoforo Colombo si era avanzato lentamente di pochi passi verso la macchia. Col gesto cortese, e col tono di voce più soave che seppe, chiamò quella gente a sè, esortandola a non aver paura degli stranieri. Egli bene intendeva che le sue parole non sarebbero state capite; ma parlava ad ogni modo, perchè le frasi giustificassero il gesto.

      Una donna era in quella piccola schiera di selvaggi. Fu essa la prima a farsi più avanti, rassicurata dagli atti amorevoli, e dal nobile aspetto dell'uomo dai capelli d'oro. Poveri capelli d'oro, in mezzo a cui erano già tanti i fili d'argento! La donna, a mala pena coperta d'una fascia di stoia raccomandata sul fianco, aveva due bambini con sè, due putti a cui non toglieva grazia il color di rame della carnagione. E parlava loro, incitandoli con gli atti; e uno di loro finalmente si mosse, facendo alcuni passi verso l'almirante, che ne aveva fatti altrettanti verso di lui, mandandogli un sorriso e un gesto di carezza. Così, a poco a poco, vinto il sospetto e la ritrosia dei bambini, l'almirante si ritrovò tanto vicino ad essi, da poter porre la mano sulle lor brune testine; poi, tratti fuori due sonagliuzzi di metallo, li fece tintinnare al loro orecchio, destando in essi un senso di curiosità e di grata maraviglia.

      – Prendete, – diss'egli allora, – son vostri. —

      E col gesto dichiarando le parole, diede i due sonagliuzzi ai bambini.

      La donna si avanzò per abbracciare i figliuoli, fors'anche per incuorarli a dir grazie. Ed ella pure ebbe un dono dal nobile uomo dei capelli d'oro: un sottil vezzo di perline di vetro. Il gesto dell'almirante, nell'offrirle quel dono, significava, che ella poteva adornarsene, mettendolo al collo.

      Donna e bambini ritornarono verso la macchia, saltellando e gridando in segno di allegrezza. E il vezzo di perline e i piccoli sonagli furono argomenti di ammirazione per tutti quei selvaggi affollati. Il ghiaccio era rotto. Anche gli uomini, poichè ebbero ammirati i donativi, si avanzarono verso il donatore, lo attorniarono, riguardosi da prima, quindi a mano a mano più familiari, cedendo agli impulsi della loro curiosità. Maravigliavano della sua vantaggiosa statura, fors'anche del suo nobile aspetto; contemplavano le sue mani bianche, paragonandole subito con le loro, del color di rame. Fu quello il primo gesto parlante, il primo scambio d'idee tra i naturali dell'isola e l'essere sovrumano sbarcato sulla loro spiaggia tranquilla. Il secondo gesto fu ancora il paragone. Contemplavano i fili d'oro che ornavano le guance e il mento dello straniero (immaginate, di fatti, che egli da più settimane non avesse pensato nè a radere nè a scorciare la barba) e dopo aver toccato quei fili d'oro, toccavano le loro facce che n'erano prive.

      Cristoforo Colombo sostenne placidamente l'esame; sorridendo sempre, lasciò toccare la barba, i capegli, le mani, le ricche stoffe di cui era vestito, e gli elsi della spada che gli pendeva dal fianco. Cessarono finalmente di toccare, e, fatto un po' di cerchio intorno a lui, gli chiesero nella loro lingua qualche cosa, aiutandosi anch'essi col gesto. Intese che gli domandavano donde venisse. E rispose con le parole e col gesto che veniva dalla parte di levante. Ma essi non parvero aggiustargli fede; indicavano il cielo come patria di lui, e, additando le navi ancorate alla costa, imitavano con le braccia il batter delle ali, con cui egli sicuramente era calato tra loro. Sicuramente per ali avevano scambiate le vele.

      Anch'essi erano molto osservati, non solo dall'almirante, ma da tutti gli uomini della spedizione, che a manipoli via via si erano avvicinati. Damiano, che era capitato dei primi, potè riconoscere che il suo amico e fratello Cosma non aveva traveduto. I naturali dell'isola erano poco, anzi punto vestiti; non potendo passare per abiti i segni di rosso, di nero e di giallo, onde avevano rigata e picchiettata la pelle di rame. Non tutti, per altro, erano così dipinti con l'ocra, sulle braccia e sul petto; ma tutti avevano segnata di rosso la punta del naso, e di rosso avevano cerchiate le occhiaie.

      – Strano modo di farsi belli! – diceva Damiano. – E quella donna là, che mi pare abbastanza belloccia, gradirà così impiastricciato il naso del suo dolce marito? Ma già, paese che vai, usanza che trovi. E siccome egli si tingerà a quel modo per piacere a lei, è da credere che essa gliene serbi riconoscenza. —

      Altra particolarità degna di nota erano i capelli di quei naturali; capelli di colore tra il fulvo e il nero, ma corti, non riccioluti, lisciati all'ingiù, fatti untuosi e lucenti con l'olio di qualche frutto del luogo. Se non fossero stati quei cerchi alle occhiaie, che in molti di loro guastavano, si sarebbe potuto dire che tutti avessero gli occhi assai belli ed espressivi. E avevano alta la fronte, regolari i lineamenti, ben proporzionate le membra, non alta la statura, ma neanche sotto il mediocre. A quella latitudine, che egli giustamente immaginava esser quella dell'Africa, e sotto il capo Bojador, Cristoforo Colombo pensava di trovare un tipo diverso, quello dei negri, per esempio; e non fu poca la sua maraviglia, vedendo una specie così nuova. Il lettore si riconduca col pensiero ai tempi del grande navigatore. Le carnagioni color di rame si vedevano allora per la primissima volta.

      L'almirante aveva osservate le persone; osservò anche le armi di quel popolo nuovo. E potè farlo, perchè qualcheduno dei naturali era venuto armato alla spiaggia. Povere armi, in verità! archi con le corde


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