Terra vergine: romanzo colombiano. Barrili Anton Giulio

Terra vergine: romanzo colombiano - Barrili Anton Giulio


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ed è ciò che li annoia. Questi marinai son venuti a desiderar le burrasche, e mi fanno ricordare quel che si dice dei nostri villani del Bisagno e della Polcevera, che si scorticano i polpacci con le calze di seta. Ma Vostra Eccellenza capirà che non c'è bisogno di un temporale, per fare un colpo di mano. L'essenziale è d'inventarne la notizia, per quando si sarà ritornati in Ispagna, e bisognerà render conto della vostra sparizione al governo.

      – È un disegno infernale! – esclamò l'almirante, più inorridito che spaventato dall'annunzio. – E siete certi che abbiano pensato di giungere a tanto?

      – Oh, per questo, non dubiti Vostra Eccellenza; coi nostri orecchi medesimi abbiamo sentito il discorso.

      – Pazienza! – replicò l'almirante. – Sebbene questo non dovessi aspettarmi, vedrò di fare buona guardia.

      – E la faremo anche noi; – disse Cosma. – Così conoscessimo i buoni, quelli in cui confidate di più, per metterci d'accordo, e vegliar tutti sulla vostra preziosa persona!

      – Amici miei, – rispose Cristoforo Colombo, traendo un sospiro, – conosco voi… da pochi momenti. Quanto agli altri, non so nulla di loro. Eravate a Palos; potete ricordare in che modo si è formato il nostro equipaggio.

      – Pur troppo, mio signore! Metà per forza, l'altra metà per caso; tutta gente raccogliticcia. I buoni ci saranno di sicuro, e si vedranno alla prova. Per intanto…

      – Per intanto, è buio pesto; – conchiuse Damiano. – Ma Vostra Eccellenza potrà confidarsi di queste cose co' suoi ufficiali.

      – Sì, sì, figliuoli, lo farò; – rispose l'almirante. – Ma non è questo, che importa. La mia speranza è altrove. Siete voi marinai?

      – Noi? sì, come vede Vostra Eccellenza.

      – Infatti, la vostra condizione è tale, per ora. Ma dal primo momento che ho dovuto guardarvi in faccia, mi è parso… che non ne aveste l'aria.

      – Le nostre mani, signore…

      – Sì, capisco, le vostre mani saranno tinte di pece. Ma non è la pece che fa il marinaio, come non è l'abito che fa il monaco. Le mani del marinaio possono essere anche pulite, ma si riconoscono egualmente; specie nella palma, che par foderata con pelle di squalo. Ora, le vostre mani, che sono lieto di stringere…

      – Si faranno ruvide quanto è necessario; – rispose Cosma, inorgoglito da quella dimostrazione di benevolenza, ma anche un pochettino turbato.

      – Sta bene; – disse l'almirante, sorridendo. – Quantunque, io non domandi ciò come una qualità necessaria… a mani di cavalieri.

      – Messere… – mormorò quell'altro, più turbato che mai.

      – Oh, non temete, non voglio andare più in là, – rispose l'almirante. – I vostri nomi, se ben ricordo, sono…

      – Cosma e Damiano; – si affrettò a rispondere Cosma.

      – E Cosma è lui, e Damiano son io; – soggiunse Damiano.

      – Benissimo. Due nomi di fratelli!

      – Noi non siamo che amici; ma come fratelli ci amiamo.

      – E perciò avete preso il nome da due santi fratelli, che erano anche colleghi di professione; – replicò l'almirante. – Erano infatti due medici, e del primo di loro mi pare di aver letto in un certo libro, che si conservi ancora una ricetta.

      – Sono anche i santi protettori dei pellegrini; – disse Cosma, che pareva poco desideroso di stare sull'argomento della medicina.

      – Siano dei pellegrini o dei medici, son sempre due benefattori; – conchiuse l'almirante. – E voi certamente avete assunti i lor nomi per adempimento di un voto.

      – Vostra Eccellenza legge nei cuori come nei libri; – disse Damiano. – Siamo infatti legati da un voto.

      – Per il quale, probabilmente, avrete lasciati gli agi della vita, venendo partecipi alle fatiche, ai pericoli di questo viaggio: non è così? —

      I due marinai non risposero parola. Ma per essi rispondeva la sapienza dei popoli, stillata in proverbi: chi tace acconsente.

      – Non voglio chiedervi ciò che non potete dirmi; – riprese Cristoforo Colombo. – Siete genovesi, e basta ciò, perchè io v'abbia in conto di fratelli. Ricordate soltanto che bisogna amarla, amarla molto, la terra dove si è nati; amarla tanto più, quanto essa è più sventurata. Sapete quanto abbiano fatta dolente la nostra povera patria, le discordie maledette dei suoi figliuoli!..

      – Voi dite bene, messere, – rispose Cosma. – E noi lo abbiamo ricordato già molte volte, pensando a voi.

      – A me?

      – Certamente. Ecco un uomo insigne, dicevamo tra noi, un uomo che ha fatto un disegno sublime, e potrebbe e vorrebbe darne la gloria e il profitto alla patria; ma perchè la patria non è in condizione d'intenderlo, egli deve rivolgersi ad altre nazioni, dando ad altri il profitto e la gloria delle opere sue.

      – Ah! – gridò l'almirante. – Lo intendete anche voi che dolore sia questo? e come profondo? Io non lo dico a nessuno, perchè nessuno lo intenderebbe. Pazienza, miei giovani amici! E lasciamo questo argomento tristissimo. Intanto, le vostre parole mi han detto assai più che non dicessero le vostre mani. Vorrei fare qualche cosa per voi; chiamarvi almeno tra i miei ufficiali. Ma quante invidie si desterebbero! Non per ora, adunque. Il giorno che avremo toccata la terra promessa, io sarò davvero vicerè e governatore; e quel giorno, vedremo.

      – Guardatevi intanto, messere. Noi non abbiamo mestieri che di una cosa: di vedervi incolume, trionfante su tutti i vostri nemici. Laggiù avete avuto da lottare coll'invidia; qui avete da lottare coll'ignoranza.

      – E sempre con la malvagità; – conchiuse Cristoforo Colombo. – Ma le vostre parole mi fanno ricordare ciò che volevo dire poc'anzi. Vi chiedevo se eravate marinai, per raccontarvi del primo capitano con cui ho imparata l'arte del navigare. Eravamo nelle acque dell'antica Cartagine, atterrati, con un vento che non si potrebbe immaginare di peggio. Non si poteva reggere al mare, bisognava ormeggiarsi e tener fermo ad ogni costo. Ma le áncore aravano, per la forza della corrente, e si temeva di andare da un momento all'altro a battere negli scogli.

      – Un guaio; dei grossi – esclamò Damiano.

      – Certamente; – rispose Cristoforo Colombo – e non c'era tempo da perdere. Il comandante ordinò di mettere mano all'áncora della speranza. «Credete – diss'io – che ci farà buon servizio?» Domandavo troppo, più ch'egli non potesse sapere. Ma ad ogni modo, me la trovò lui, la risposta: «Getta l'áncora e spera in Dio!» E così, come mi fu consigliato nella mia prima navigazione, ho fatto io in tutte le altre che seguirono.

      – Confidiamo nel suo alto volere; – disse Cosma, inchinandosi.

      – Ma pensiamo ancora, – soggiunse Damiano, – che chi s'aiuta Iddio l'aiuta.

      – Oh, sicuramente! – rispose Cristoforo Colombo, non potendo trattenersi dal ridere, alla pratica ammonizione. – Vi ho già detto che farò buona guardia alla mia vita, se occorrerà; non aspetterò che mi assalgano; andrò io contro ai loro disegni. Non si compiace di sfidare i bassi pericoli, chi ha cuor d'affrontare i maggiori. Ma se è necessario di entrare in lizza coi rivoltosi, anche questo farò. Voi, frattanto abbiate per certa una cosa: che presto, con l'aiuto di Dio, saluteremo la terra.

      – Con questa fede siamo venuti; – disse Cosma.

      – E ci sia pure da navigare altrettanto, non ci lagneremo, noi altri; – soggiunse Damiano. – Voi dite, messere, che si serve a Dio, con questo viaggio.

      – È la mia opinione.

      – E bisogna dunque servirlo allegramente. Lo raccomanda perfino il Salmista. —

      L'almirante sorrise e battè amorevolmente della destra sulla spalla di Damiano.

      – Ottimamente,


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