La plebe, parte II. Bersezio Vittorio
nessuno dei servi stesse a vegliare per lui. Ma nel punto ch'egli era per soffregare il fiammifero, udì nell'interno dell'appartamento una porta e poi un'altra, che s'aprivano pianamente, e un passo lievissimo che veniva a quella volta. Il sangue gli diede un rimescolo.
– Ecco mia madre! Diss'egli restando lì collo zolfino dall'una mano e colla candela dall'altra, senza più muovere.
Pensò di fuggirsene cheto cheto allo scuro per non lasciarsi cogliere a quel posto; ma poi subito avvisò che la madre, poichè dubitava che fosse il figliuolo quello che era entrato, sarebbe andata a cercare di lui anche nelle camere che gli servivano da quartiere. E poi, ove anche si fosse allora sottratto alla vista di lei, la povera madre, credendolo non ancora venuto, avrebbe continuato a vegliare aspettandolo, e quando la carrozza sarebbe giunta che inquietudine per essa a sapere che la era tornata vuota, che il figliuolo avrebbe già dovuto essere in casa, ed ella non l'aveva visto, ed egli non erasi recato, come n'aveva l'abitudine, a darle il bacio del ritorno! Decise di affrontare il pericolo. L'uscio da cui s'era sentito venire il rumore di passi, prima che Francesco avesse acceso il lume, si aprì, e comparve una donna che recava un candeliere. Ma, non avendo essa riparata colla mano la fiammella della candela, il buffo dell'aria fredda che dal pianerottolo, per il battente aperto, si gettò nell'appartamento, glie la spense nell'atto medesimo che la donna si affacciava all'uscio.
In quel fugacissimo istante in cui la candela accesa aveva gettato il suo chiarore nel pianerottolo, prima di spegnersi, la madre aveva travisto dritta in mezzo alla stanza l'ombra d'un uomo. Camminò verso quella parte colle mani tese innanzi a sè, come per afferrare quella diletta persona.
– Sei tu Francesco? Diss'ella.
Il giovane esitò un momentino. Si rallegrò quasi che intanto la madre non potesse scorgerne subito i tratti del viso, e stette un poco per preparare la sua voce ad una calma tale che nulla nulla lasciasse sospettare.
Ma la donna non ottenendo così tosto risposta, ridomandò più sollecita ancora:
– Sei tu?
Francesco si sforzò di dare alla sua voce un accento scherzoso:
– No, mamma, non sono io, sono un ladro.
La madre era arrivata a toccarne i panni. Lo strinse fra le sue braccia e lo baciò con ardore:
– Cattivo! Diss'ella. Ve' come sei tutto bagnato, e come son fredde le tue guancie!.. Ora capisco perchè non ho sentito entrar la carrozza. Tu sei venuto a piedi? Ma che pazzia la è codesta! A rischio di pigliarti una costipazione…
– Oibò!.. Anzi uscendo dall'ambiente soffocante del ballo, avevo bisogno di prendere un po' d'aria.
– Baie! baie! Colà dentro un caldo da fondere e fuori un freddo da gelare… Roba da restar lì proprio come un sorbetto!.. Ed io che ti tengo qui in novelle, allo scuro ed all'aria ghiaccia della notte!.. Vieni, vieni meco nella mia stanza che ci ho acceso un bel fuoco a cui potrai scaldarti. L'ho fatto accendere, il fuoco, anche nella tua camera, e ci sono andata io stessa parecchie volte a tenerlo su animato; ma poichè ti ho colto lì in sull'entrare, mi è più caro che tu venga a riscaldarti al mio camino. Ci ho costì una cuccuma di caffè che ti aspetta ed un pentolino di brodo: tu piglierai quello che più ti talenta.
E così dicendo, l'amorosa madre aveva preso per la mano il suo Francesco e l'aveva seco tratto nella propria camera, facendogli attraversare, prima un corridoio, poi una specie d'anticamera, quindi una stanza da mangiare ed una sala.
Nella camera da letto della madre splendeva entro il camino allegramente il fuoco vivace, e sopra un tavolino da lavoro, presso il camino medesimo, una lampada col coprilume mandava quel mite chiarore di cui alcuni raggi trapelando pei cristalli della finestra, erano stati visti da Francesco al di fuori.
Questa camera, chi sapesse osservarla, era tutta una manifestazione del carattere e delle condizioni di chi l'abitava. La ricchezza dei mobili e degli arredi cominciava per dire la prosperità delle fortune; ma l'assembramento di cose disparate e una certa mancanza di gusto nell'assortire le varie parti della masserizia, mostravano che l'abitudine di godere dei vantaggi e delle sontuosità della ricchezza non era da lungo tempo acquistata, non era uguale a quella di chi è nato in essa dopo varie generazioni di suoi maggiori che già ne fruivano, e si è allevato, come nel suo ambiente naturale, in mezzo agli sfarzi ed agli sbarbagli delle eleganze sociali. A canto a mobili di prezzo costosissimo, adorni di intarsiature di legni di valore e di fregi di bronzo dorato, vedevansi arnesi ed utensili di domestico uso, rozzi e volgari, un arcolaio, un aspo, una rocca sul filatoio con suvvi il pennecchio, una cesta comune di vimini con dentrovi pannolini alla rinfusa da cucire, un cuscinetto per lavoro da pochi quattrini, uno scaldino da piedi logoro e di forma antiquata; poi appiccata alla parete, sopra il letto, fra gli arazzi dell'elegante cortinaggio, l'incisione grossolana d'una immagine miracolosa di Madonna e un acquasantino di cristallo con una palma ed un rosario a grani di legno. Nella parete in faccia al letto, in una brillante cornice rindorata di fresco un ritratto d'uomo di età matura, che è quello del marito, ai due lati due altri ritratti d'un bambino e d'una bambina, che erano del figliuolo Francesco e della figliuola Maria quando ancora in età infantile. Questi ritratti lucevano di molto per vernice e colori, ma chiamarli opere d'arte era un adularli soverchiamente; pur tuttavia alla buona madre, che di arte non se ne intendeva e non si curava nulla, erano le cose più care del mondo. In questi oggetti era tutta rappresentata la storia di quella eccellente creatura: la storia e gli affetti. Questi si concentravano tutti nella famiglia, quella si contava in due parole.
Era nata nella povera, onestissima famiglia d'un impiegato. Doveva, pel decoro, tenere le apparenze da madamigella, ed era più povera d'un'operaia: portava il cappellino e la veste di mussolina la domenica, e molte volte non aveva nè anco pane asciutto a colezione. Non aveva imparato di nulla che importasse oltre i lavori femminili: nè storia, nè geografia, nè manco la propria lingua; appena era se sapeva scrivere senza troppo rispetto all'ortografia ed alla sintassi, ma aveva preso per due mesi lezioni di danza le quali non le avevano fatto imparare che a far la riverenza con tutte le regole dell'arte. Era però instancabile nel lavoro: tutti i punti di cucito che v'era da dare per la numerosa famiglia erano dati dalla sua mano alacre e sempre in moto; lei filare, lei far calze, lei stirare, lei rammendare, lei tutto. Era la più virtuosa delle ragazze senza spirito; e non era brutta. Si meritava la felice sorte d'un buon matrimonio, e l'azzardo, che non è sempre ingiusto, glie lo fece ottenere. Un amico comune mise in relazione la famiglia dell'impiegato e il signor Giacomo Benda, scapolo oramai in sulla maturanza degli anni, al quale l'età crescente cominciava a rendere uggiosa la vita da solo, faticoso il lavoro ed arida l'occupazione di guadagnar denaro soltanto per sè. Il signor Benda, non più giovane, ma non vecchio ancora, onestissimo e ricco, era il partito il più lusinghiero che potesse desiderarsi per madamigella Teresa e per la sua famiglia. Figuratevi se fu accettato! La fortunata madama Benda si trovò dall'oggi al domani ricca sfondolata; e non salì in superbia, e non si piacque dello spendere a capriccio e fuor di luogo, e non volle procurarsi tutti i sollazzi che dà il mondo in cambio di denari, sollazzi dai quali ella era stata scevra sino allora.
Fu madre, ed il marito e i due figliuoli (Francesco e Maria) che n'ebbe, occuparono tutto il suo cuore. Aveva presa l'abitudine di lavorar molto, e non la smise. Poteva servirsi dell'opera di quante fanti e mercenarie volesse; preferiva far tutto colle sue mani, e cuciva ancora, e stirava, e faceva calze, e filava persino, come prima. Le cose fatte da sè trovava meglio fatte ed erano più presto compite: ed aveva ogni ragione, e del suo parere erano anche gli altri, suo marito pel primo, al quale rincresceva sì alquanto di veder sua moglie lavorare come una proletaria o poco meno, e ne la rampognava di belle volte, ma che intanto non trovava mai le cose ammodo se donna Teresa non ci aveva posto mano. Aveva molta religione: la religione delle donnicciuole e degli animi pusilli è vero, la religione un po' idolatra delle minutezze del culto esteriore; ma anche in codesto le impedivano di essere gretta e intollerante, due cose: la profonda bontà dell'animo e l'amoroso rispetto che aveva pel marito un po' libero pensatore. Come aveva continuato a levarsi la mattina all'alba ed a lavorare della guisa che faceva quando era povera, così aveva continuato a prestare poca attenzione al suo vestire. Altrettanto ci teneva che la sua figliuola Maria fosse elegante, altrettanto si dava poco pensiero di sè; e doveva essere la figlia, o il figliuolo, o il marito a costringerla di vestire nelle volute circostanze secondo