La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

La plebe, parte II - Bersezio Vittorio


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abitudine costante di quella buona famiglia il radunarsi la mattina, appena alzati, tutti insieme a prendere il caffè nella stanza della mamma. Il padre sedeva sopra il seggiolone più presso al camino (quello in cui poche ore prima di questo momento abbiam visto Teresa far adagiare il figliuolo), la madre si assettava sovra una bassa seggiolina innanzi al marito, e frammezzo a loro due solevano mettersi Francesco e Maria, quello allato alla mamma, questa al papà. A questa radunanza non ci mancava mai nessuno, fuorchè il giovane avvocato, quando avea passata la notte, come ora era il caso, in qualche festa: e l'abitudine di esser tutti insieme era tale che quelle volte riusciva sempre spiacevole agli amorosi genitori il veder fra lor due la seggiola vuota, e sul vassoio una chicchera che non si riempiva.

      – È rientrato tardi Francesco stanotte? Domandò Giacomo fra un sorso e l'altro di caffè.

      – Poco più dopo le tre; rispose la madre.

      – Tu già, secondo il solito, sei stata aspettandolo!

      Teresa fece un piccol moto del capo che voleva dire: – È naturale.

      – E questa mattina, continuò il padre, sor Francesco dormirà di sicuro fino a mezzogiorno.

      – Ne ha bisogno: disse vivamente la madre. Quando è rientrato stanotte non si sentiva bene gran che…

      Giacomo levò vivamente la testa, interrompendosi nel sorbire il caffè.

      – Non si sentiva bene? Esclamò con vivo interesse.

      – Ma non mi parve cosa d'importanza: s'affrettò a soggiungere la madre. Disse che il troppo caldo gli aveva fatto venire mal di capo. Figurati che per prendere aria, egli volle venire di Piazza San Carlo fin qua a piedi.

      – Che imprudente!.. A rischio di pigliarsi una malattia ed a rischio altresì di cascar nelle mani di qualcheduno di quei birbanti che pur troppo tengono il campo la notte, e che formano quella banda che chiamasi la cocca.

      – È vero! Esclamò la madre spaventata ora da un pericolo a cui non aveva pensato dapprima. E noi siamo così isolati e così lontani su questo viale!

      – Lo ammonirò io ben bene perchè ciò non gli capiti più: disse il padre. E intanto chi sa ora come sta?

      – Dorme tranquillamente, e spero che ciò gli vorrà far bene più d'ogni altra cosa.

      – Dorme? Ripetè Giacomo, il quale pareva esitante intorno al pensiero di andarsene a chiarire coi proprii occhi.

      Teresa che sospettò questo proposito nel marito, sapendo come per quanta cautela egli usasse, il suo passo pesante, avrebbe svegliato il figliuolo ove Giacomo fossegli venuto in camera, s'affrettò a soggiungere:

      – Sono già andata più volte ad origliare alla sua porta; ho anche dischiuso pian piano l'uscio e non l'ho udito a muovere menomamente.

      – Non l'hai visto in faccia?

      – No, perchè la stanza è tutto scura e non volevo accostarmi al letto per timore di destarlo.

      – Hai ragione: disse il marito che capì come quello indirettamente era un avviso a lui di non volerci andare. Lasciamolo dormire.

      In quella s'udì un legger picchio all'uscio della stanza.

      – Avanti: gridò Giacomo; e un domestico aprì il battente e mise dentro la testa.

      – C'è una povera donna che domanda di parlare a Madama.

      – A me? Disse Teresa. Una povera donna? Non ha detto chi sia?

      – No; rispose il domestico, ma io l'ho riconosciuta.

      – E chi è dessa dunque? Domandò a sua volta Giacomo volgendo la testa alla porta.

      – Gli è quella poveretta che già venne parecchie volte a domandare l'elemosina; la moglie di quell'operaio che lavorava qui nell'officina e che si fece mandar via perchè era sempre ubbriaco.

      Giacomo scosse la testa.

      – Eh! questa non è un'indicazione precisa. Pur troppo sono parecchi gli operai che debbono avere tal sorte.

      – Quella mingherlina, malaticcia, nera di capelli; soggiunse il domestico; a cui non è più d'un mese. Madama inviò in un fagotto alcune vesti ed alcune biancherie…

      – Ah! Paolina: esclamò Maria, battendo le mani tutto lieta d'aver indovinato; la moglie di quell'Andrea.

      – Precisamente: disse il domestico: ora mi ricordo anch'io del nome.

      Giacomo si alzò da sedere.

      – E vuol parlare a mia moglie?

      – Sì signore.

      – Uhm! Gli è per domandare nuovi soccorsi… Tu farai quello che vuoi, Teresa, ma qualunque cosa tu le dia, gli è tanto che aggiungi a mantener i vizi di quell'ubbriacone di suo marito.

      – Giacomo! Mormorò la moglie con accento tra di supplicazione, tra di rimprovero.

      – Ti dico che ti lascio fare quello che vuoi: soggiunse vivamente il marito che comprese quella velata rampogna; ma le mie parole sono vere come il vangelo. Oh guarda, ne vuoi una prova? Tu le hai mandato vesti e biancherie non è molto tempo: ebbene io son sicuro che non hanno più nulla di nulla, nè la donna nè i bambini.

      E rivolgendosi al domestico:

      – Di' un po' tu; come la è vestita?

      – Oh a strappi che la è una compassione, precisamente com'era quando Madama le ha dato le vesti.

      – Vedi! E se mai tu entrassi nella soffitta di quella gente, vedresti i bambini senza uno straccio di camicia addosso. Ora vuoi tu sapere che cosa ne fu di tutta quella roba che le hai dato? Sor Andrea l'ha venduta per pochi soldi affine di andarsi ad ubbriacare. Ora io mi domando se non è un alimentare il vizio il far carità a quella razza di gente.

      Teresa non pareva molto convinta di quell'argomentazione del marito, ma non sapeva trovare una parola da opporvi; ben la trovò Maria che vivacemente proruppe:

      – Ah babbo!.. E i bambini?

      Giacomo guardò sua figlia come sovraccolto; stette un poco e poi disse:

      – Hai ragione. I bambini non ci hanno colpa e qualche cosa per essi non convien rifiutarlo.

      Teresa colse a volo questa più esplicita permissione maritale, sorse lesta e frugando nelle profonde saccoccie del grembiale che portava dinanzi, ne trasse un pizzico di monete che andò a porre nella mano del domestico.

      – Prendete, recatele codesto.

      Quando il domestico fu uscito. Maria disse a mezza voce:

      – Sarebbe forse stato meglio che l'avessimo ricevuta quella povera donna.

      Il padre che udì quelle parole si volse alla figliuola con qualche vivacità:

      – Avresti udito dei piagnistei che ti avrebbero commossa inutilmente.

      – Perchè inutilmente?

      – Perchè rimediare a quei mali ti sarebbe impossibile…

      – Impossibile! Esclamò la ragazza crollando la testa. Non siamo noi ricchi?

      Giacomo sorrise.

      – Bambina! La nostra ricchezza non tarderebbe a sfumare, se tu volessi riparare dalla miseria i poveri che ti domandano soccorso. L'elemosina non può che recare un rimedio temporaneo; e dev'essere così, altrimenti non ci sarebbe giustizia, ed una malintesa carità premierebbe l'infingardaggine. Dà retta. Io credo usare assai meglio dei miei capitali impiegandoli nella mia industria e facendo così guadagnare il vitto a tante famiglie di laboriosi operai, che non se dividessi le mie sostanze con tre o quattro miseri per farli vivere nell'ozio in un'agiata mediocrità.

      Maria non capì bene del tutto la teoria economica cui adombravano le parole di suo padre, ma sentì pur tuttavia che in esse vi era un fondo di vero. Stava per muovere una sembianza d'obbiezione affine di farsi spiegar meglio la cosa, quando il domestico si presentò di nuovo all'uscio.

      – Quella donna, diss'egli,


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