La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

La plebe, parte II - Bersezio Vittorio


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gli si appalesa nello sguardo sicuro, nelle linee nette ma non dure della bocca facilmente dischiusa al riso. Cammina quasi sempre affrettato, come uomo spinto da premurose bisogne, le spalle rotonde, il passo pesante, le mani in tasca. Parla piuttosto volentieri, e, quando discorre della sua industria, come di cosa che conosce a perfezione, parla con una certa caldezza ed evidenza che non tornano disgradite; ma pur troppo non sa nulla più in là delle cose del suo mestiere, e discorsi di arte, letteratura e politica lo fanno sbadigliare. Veste ricchi panci senza affettazione, anzi senza eleganza affatto: e le sue mani corte, tozze, rugose, di color bruno, colle dita a punte quadrate, sono irreconciliabili nemiche coi guanti.

      Quella mattina in cui Francesco andò a battersi col marchesino di Baldissero, adunque, il sig. Giacomo, fatta la sua solita comparsa e il suo solito giro nell'officina, attraversava il cortile per rientrarsene in casa, quando, alzato il viso vide dietro i cristalli d'una finestra l'allegra faccia color di rosa d'una fanciulla sorridergli amorosamente con cenno di saluto. Era sua figlia Maria, che, saltata giù allor allora dal letto, tutto arruffata ancora le sue abbondevoli chiome di color castano, veniva a contemplare il cader della neve coi suoi grandi occhioni neri pieni di dolcezza e di giovanile allegria. La sorella di Francesco non avrebbe potuto essere esaltata come un tipo di bellezza. Le irregolarità delle sue fattezze erano troppe in faccia alla severa esigenza delle regole estetiche. Nulla di men greco della sua fronte un po' sporgente, del suo naso capriccioso, della sua bocca troppo larga, de' suoi occhi troppo grandi; ma questa unione di difetti formava un complesso graziosissimo a vedersi, a cui davano una simpatica piacevolezza la liscia e rosata carnagione, il fiore della gioventù, un'espressione indicibile di lieto umore e di bontà. Maria era la vivacità incarnata della casa, e suo padre soleva chiamarla l'uccello della famiglia; che infatti il suo frugolo e leggero correr di qua e di là, e il suo allegro chiaccherare imperlato di risa poteva paragonarsi al saltellare ed al cinguettìo d'un augelletto.

      Vedendo suo padre traversare il cortile sotto il fioccar della neve, Maria non si contentò di salutarlo col moto del capo e col sorriso; aprì vivamente le invetrate e porse in fuori alla fredda brezza di quella mattinata invernale il suo visino color delle rose e le sue labbra color delle ciliegie.

      – Buon giorno, papalino: gridò essa coll'accento petulantello d'un beniamino: hai dormito bene?

      Giacomo volle corrugare la sua fronte bassa per darsi un'aria di severità e di malumore, cui non riuscì a prendere.

      – Sei matta? Esclamò egli colla sua voce robusta. Vuoi prenderti un raffreddore? Aprir la finestra ed esporsi all'aria con questa temperatura! Dentro subito e chiudi più che in fretta.

      La capricciosa ragazza scosse vezzosamente la testa da cui piovevano in disordine le sue treccie ricchissime.

      – Oibò! Sai bene, papà, che io non patisco nulla… Guarda la bella neve che vien giù!.. È un piacere il vederla… Com'è tutto bellamente bianco, pulito! Si direbbe che la natura ha fatto il bucato ed ha steso sulla terra le lenzuola… To' aspettami un momento, babbo; salto giù e vengo teco a scalpitarne un poco di quella bella neve che nessuno ancora ha toccato. Voglio mangiarne una bella manciata. A me mi piace tanto mangiar la neve!

      E prima che il padre avesse tempo a dire pure una parola, Maria aveva richiuso le invetrate ed era sparita dalla finestra; ed un minuto dopo, per la scaletta da cui abbiam visto passar Francesco, la si precipitava saltellando nel cortile, coperto il capo da un cappuccio, avvolte le spalle in un mantelletto.

      Fu in un balzo presso il padre che voleva rampognare e non poteva che sorridere.

      – Ah! non far nemmanco mostra di sgridarmi, chè già non ne hai voglia: diss'ella gettando le sue braccia al collo del padre e baciandolo sonoramente sulle due guancie. Vedi! A me questo po' di aria libera mi fa bene.

      – Avviluppati, se non altro, con più cura, disse Giacomo, serrando egli stesso i lembi del mantello al petto della figliuola. Sei tu almeno calzata a dovere?

      – Altro che! Esclamò la ragazza trionfante, e colle due mani sollevando alquanto la sottana, mostrò sotto i lembi di essa, tendendo il suo piedino destro, uno stivaletto di cuoio colla pelliccia. Guarda! Potrei viaggiare per tutte le nevi della Siberia.

      E tenendo così sollevate le vesti, la bricconcella, corse senz'altro nel mezzo del cortile, dove la neve era più alta, affondando in essa fin quasi alla caviglia: i due cani di guardia imitarono l'esempio della giovane padrona e lietamente abbaiando, vennero a saltellare intorno e con lei che si piaceva di eccitarneli con qualche carezza. Il padre, fermatosi ad un lato, guardava quella piacevol scena e sorrideva lietamente: sentiva in quel punto tutta la sua felicità paterna.

      – E Francesco? Gridò egli in quel punto a Maria, come se avesse bisogno di associare alle dolci impressioni di quel momento il nome di suo figlio per averne compiuto il suo diletto di padre.

      Maria aveva presa una buona manciata di neve colle sue manine sguantate, a cui un critico severo non avrebbe potuto trovare che tre difetti: d'essere un po' rosse, d'aver le unghie un po' corte e non abbastanza convesse, di avere la punta dell'indice della mano sinistra tempestata di piccole forature prodotte dall'ago nell'opera del cucire. Levò verso suo padre la faccia e mordendo tuttavia in quella neve co' suoi dentuzzi più bianchi di essa, rispose:

      – Oh! sor avvocatino dorme. È stato a ballar tutta la notte lui; perchè egli è un uomo e può andar a ballare.

      Giacomo sorrise.

      – Vorresti esserci stata anche tu, eh?

      – Vorrei di meglio: soggiunse la ragazza ridendo. Esserci stata è tempo passato, e quello che è passato è passato: vorrei andarci in avvenire.

      Crollò le spalle, diede un'abboccata alla neve che teneva in mano e riprese con tutta filosofia:

      – Ma la mamma dice che le ragazze non ci devono andare a quei balli, e che ci vanno soltanto le maritate, le quali mi pare dovrebbero rimanere a casa a far le madri di famiglia… E aspetto adunque d'essere maritata ancor io per andarci.

      E si mise di bel nuovo a saltellare in mezzo alla neve, e i cani di conserva con lei.

      – Che matta! Esclamò col medesimo tono giulivo il padre; ma poi tosto con accento più serio: – Oh basta ora. Maria, che ti vuoi render fradicia? Vieni qui subito.

      La fanciulla ubbidì senza mostrare troppo rincrescimento, e fu a lato del padre. Questi le aggiustò alcune ciocche di bellissimi capelli che, saltate fuori del cappuccio, le cascavano sul volto animato dai più vivaci colori della gioventù e della salute, e soggiunse:

      – Sarai tu sempre bambina quel medesimo? Parli di maritarti, e pare che non abbia più di dodici anni!

      – Oh oh ne ho sedici suonati; disse la giovanetta con tono d'importanza, tirandosi su della persona.

      In quella compariva ad una finestra della casa la buona faccia della signora Teresa. Essa aveva aperto le invetrate e si sporgeva in fuori, chiamando suo marito e sua figlia.

      – Venite, diceva con voce riguardosa e contenuta: il caffè è pronto.

      Maria si cacciava a correre verso la casa, gridando a gola spiegata colla sua voce fresca ed armoniosa:

      – Ah cattiva d'una mamma, me l'hai fatta anche questa volta! – E non mi hai dato tempo di prepararlo io il caffè… Aspetta aspetta che vado a castigartene io con tanti baci da stordirti.

      La madre colla mano e colla voce accennò alla figliuola non facesse tanto chiasso.

      – Vuoi azzittire? Tu sveglierai Cecchino che dorme e che ha bisogno di dormire.

      La giovane ammortò i passi e l'allegro suono della voce, ma non cessò di correre verso la stanza della madre, dove fu in un battibaleno e dove, gettate le braccia al collo della signora Teresa, mantenne ad esuberanza la promessa fattale poc'anzi di darle tanti baci da stordirla.

      Giacomo sopravvenne un istante di poi, quando la mamma sorridente sotto quella grandine di carezze figliali, diceva a Maria con ischerzosa minaccia:

      – Vuoi star ferma, diavoletto che sei?.. Finiscila o t'aggiusto io.

      – È bella e finita: disse la frugola ragazza, aggiustando


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