La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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dal ballo e l'asciolvere, ella posseduta da una indescrivibile ansietà, s'era con sommo dolore convinta, che nulla poteva fare affine d'impedire uno scontro, ed aveva dovuto limitarsi ad ardenti preghiere e ad invocare che almeno le fosse concesso di sapere tosto e tutta la verità. Inviare a domandarne a casa dei Benda per un domestico, e non osava, e temeva non le sarebbe concesso per la sorveglianza della zia; altro modo di ottenere il suo intento non sapeva immaginare. Al primo vedere il nuovo segretario dello zio, un confuso sovvenire d'averlo già visto e una più confusa idea che quell'uomo la potrebbe servire le nacquero in una. Quando il suo ricordo chiaro e spiccato le ebbe posto innanzi la vicenda e il modo ne' quali quel giovane era stato da lei incontrato, ella non dubitò più che un pietoso riguardo della sorte glie l'avesse mandato pur farla soddisfatta nel suo ansioso desiderio: la lo guardò coll'occhio benigno con cui si guarda l'opportuno stromento della nostra salvezza: il povero Maurilio dovette a codesto la infida gioia – invano voluta da lui medesimo cacciare e soffocare – d'un momento di ventura ch'egli stesso dichiarava impossibile: la ventura d'uno sguardo affettuoso!

      Nel recarsi dalla stanza da pranzo al vicino salotto da prendervi il caffè, Virginia seppe far così bene che rimase indietro da venire a costa di Maurilio, il quale nel vedersela vicino, tremava verga a verga.

      – Signore, diss'ella con quel coraggio che le dava l'amor suo e con quella franchezza che le permetteva la superiorità della sua condizione sociale sopra quella del giovane; mi pare che la non sia questa la prima volta che noi c'incontriamo.

      Il povero Maurilio impallidì ed arrossì in una. Ella aveva dunque notata la presenza di lui? Ma dove, e come, e quando? Si accrebbe il tremore de' suoi nervi e il palpito del suo cuore: siccome non poteva spiccicar parola dalle labbra, e' si contentò d'inchinarsi in segno di rispettosa affermazione.

      La nobile fanciulla continuava:

      – La ho veduta, se non erro, l'altra sera insieme coll'avvocato Benda.

      Pronunziò essa quel nome senza la menoma esitazione, senza deviar lo sguardo, senza punto arrossire, ma abbassando la voce così che il suono di tal parola non potesse giungere a svegliare in alcun modo l'attenzione dello zio e della zia che precedevano.

      Ma a questi detti parve al misero Maurilio che una mano di gelo venisse a serrargli il cuore che si dilatava ad accogliere sempre meglio quella ineffabil gioia di assurda speranza. La nebbia rosata ond'era avvolto il suo spirito si ruppe, e traverso la fatale illusione che cominciava a dileguarsi, travide il principio d'una realtà dolorosa.

      – Sì, sì signora, balbettò egli, osando pur finalmente guardarla nel volto. Ero insieme a Benda, mentr'ella passava su per la scala dell'Accademia Filarmonica.

      La ragazza chinò gli occhi innanzi a lui.

      – Ella è molto amico di quel signore?

      – Signora sì.

      Virginia non fu padrona di contenere la vivacità dell'interesse con cui affrettatamente soggiunse la domanda:

      – Ne sa Ella qualche notizia di lui da questa mattina?

      – No: rispose Maurilio con tanto appena di voce da farsi sentire.

      E la ragazza più frettolosamente e più infervorata di prima:

      – Deve essersi battuto… con mio cugino. Sono ansiosissima di saper novelle dello scontro prima di mia zia… Sarei molto riconoscente a chi me ne recasse il più presto possibile.

      S'era giunti al salotto. Virginia s'allontanò dal giovane senz'altro, e non vide per fortuna la nuova espressione che avevano presa i lineamenti di lui.

      A Maurilio s'era svelata tutta la verità. Quella sera in cui primamente gli era avvenuto di vedere insieme Francesco e Virginia aveva indovinato che Benda amava ancor egli l'oggetto dell'amor suo; ora e' si faceva per lui chiaro come la luce del giorno che ancor essa, Virginia, riamava Francesco. Quell'odio che già aveva sentito per quest'ultimo e cui aveva confidato a Giovanni Selva, assalì con nuova vampa e con nuovo impeto l'anima di Maurilio: desiderò ogni danno al suo fortunato rivale, non inorridì, a tutta prima, allo scellerato pensiero, il quale si faceva per lui una infame speranza: che cioè quel duello di cui le aveva fatto cenno Virginia medesima, potesse, forse in quel momento medesimo, togliere di mezzo quel fortunato per cui s'era aperto il cuore della donna ch'esso era condannato ad amare inutilmente. Ma non tardò ad aver vergogna e rabbia e disprezzo di se medesimo: aspettò poterlo fare senza violare nessuna convenienza, e come il marchese gli ebbe detto che per allora non abbisognava dell'opera sua, Maurilio corse a rinchiudersi nella sua stanza, rifiutando anche la compagnia di Don Venanzio, bisognoso come era d'esser solo e di affondarsi nel turbatissimo caos de' suoi pensieri. Si gettò boccone sul letto e cacciandosi le mani contratte entro le chiome arruffate, stette colà immobile a sentire, quasi come si fa per una voluttà, l'interno spasimo che lo travagliava. Che cosa era venuto a far egli in quella casa? tornava a domandare a se stesso: non era meglio morir anzi mille volte di fame che venire a farsi corrodere il cuore da simili angoscie? Qual delirio lo aveva preso, qual odio di se medesimo quando aveva consentito a entrare in quella famiglia? Come era mutato ora l'aspetto d'ogni cosa! Poc'anzi gli pareva che fosse quello il fine delle triste venture, adesso invece sentiva essere il cominciamento di nuovi e forse ancor più aspri dolori.

      Le poche parole dettegli da Virginia seguitavano a suonargli nella mente, come se un'eco incessante fosse lì a ripetergliele. Ella evidentemente sperava in lui, ci aveva contato su per sapere tosto quelle nuove di cui aveva schiettamente confessato essere ansiosa: e perchè mancherebbe egli alla fiducia che in lui aveva ella riposta? Se alcuno gli avesse detto un tempo: – «Tu puoi risparmiare un minuto di dolore a quella che ami:» non avrebb'egli lietamente offerto se stesso ad ogni tormento per quest'effetto: ed ora?..

      Si levò di sopra il letto con nuova risoluzione; uscì della sua stanza, scese precipitoso le scale del palazzo e prese correndo la strada per alla dimora di Francesco Benda.

      Mentre Maurilio recavasi a casa dei Benda, nel palazzo del marchese di Baldissero avveniva una scena che non è inutile conoscere per la prosecuzione del nostro racconto.

      Presentavasi nell'anticamera una sordida vecchia che, invocando il nome di Dio, della Madonna e di tutti i santi, protestava avere gravissime cose da comunicare a S. E. il marchese, proprio a lui in persona, ed insisteva perchè andassero a dirglielo affine di esserne ricevuta. I lacchè, ai quali questa donna era già ben conosciuta, la ricevettero con tutto il superbo disprezzo di cui questi valorosi sono capaci verso la povera gente, e per quanto ella non iscoraggiata ed audace instasse, non acconsentirono a darle retta.

      – Oh sentite, Gattona, finirono per dirle, smettetela chè omai ci avete fradici, e sono tutte inutili le vostre parole. Il marchese ha ordinato, espressamente ordinato, capite, di mandarvi ai cento mila diavoli ogni quel volta vi presentiate, ch'egli, per cantarvela in musica, non vuol più avervi tra' piedi in nessun modo. Se gli è per ispillargli qualche soccorso, venite nei giorni e nelle ore solite, quando fa distribuire elemosine dal suo segretario, che al vostro turno alcuna cosa vi potrete buscare, altrimenti, a star qui ed insistere, voi seccate inutilmente noi, e ci perdete il vostro tempo.

      La Gattona pensò che, parlando al segretario, un'autorità superiore nella schiera dei dipendenti dal marchese, avrebbe forse avuta maggior probabilità di fare arrivare sino all'orecchio di S. E. l'ambasciata che voleva, e per cui ella era persuasa di essere dal marchese ricevuta. Domandò adunque di potere almanco vedere questo sor segretario; e n'ebbe in risposta che egli era uscito, e che non sapevasi dirle l'ora nella quale avrebbe potuto vederlo di quella giornata, perchè era nuovo affatto in ufficio, entratovi soltanto quella mattina medesima, e non aveva ancora assunto regolare servizio.

      La Gattona si partì finalmente, e borbottando fra sè come persona che ha gravi preoccupazioni pel capo ed è più incerta che mai del partito cui prendere, s'avviò verso la sporca viuzza dove ci aveva la dimora. Sotto le volte che dalla strada di Dora Grossa mettono nella piazza del Palazzo municipale trovò essa Gognino, il quale, abbandonata in un angolo la sua cassetta dai fiammiferi, faceva chiasso con altri sbarazzini della sua risma, tirando addosso a sè ed anco alla gente che passava pallottole di neve. Gognino vide bensì ad un punto la nonna che veniva, e corse alla sua cassetta; ma era troppo tardi, l'occhio grifagno della vecchia lo


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