Il peccato di Loreta. Boccardi Alberto

Il peccato di Loreta - Boccardi Alberto


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del Trevigiano, una contessa Elti di Fontebasso: nobiltà antica e famiglia che godeva di larghe aderenze così per il censo come per le cospicue parentele. La contessa era ricordata da tutti nel paese: una figura superba dall'occhio altiero, che vedevano passare spesso a cavallo per i lunghi stradoni polverosi, bellissima nell'abito di amazzone, che faceva risaltare la correttezza stupenda delle sue forme. Si narrava dell'amore intenso, appassionato, ardente, che il conte Sebastiano aveva per la moglie: viveva per lei, circondandola di tutte le premure di un culto idolatra. Ma la donna mancò a' suoi doveri. Anima abbietta ascosa in una forma divina, sentì presto il peso de' propri legami e li franse ignobilmente, con uno di quei tradimenti codardi, che tolgono alla colpa ogni scusa. Il dramma s'era preparato lentamente, pazientemente, fino alla sua scena capitale. Una notte, eludendo la tranquilla fede del marito, la contessa Eleonora se ne fuggì dal paese, in compagnia di un volgarissimo amante, verso terre lontane. Il dolore atterrò il conte Sebastiano. Ferito mortalmente nella dolcezza de' suoi affetti come nella onestà purissima delle tradizioni domestiche, egli si chiuse in una melanconia cupa, facendo ogni sforzo per sottrarre alla triste curiosità della gente i particolari strazianti della sua sventura. Della contessa Eleonora non si seppe per lungo tempo novella; poi ad un tratto corse confusa la voce che dopo una vita di libertinaggi disordinati ella fosse morta improvvisamente in una stazione balneare dell'estero, a Scheveningen o a Biarritz. Sebastiano non si confidò ad alcuno, ebbe a disprezzo ogni mendicata commiserazione. Una mattina, il domestico entrando nella stanza di lavoro del conte, – la storica stanza dai vecchi quadri, che gli era particolarmente diletta, – lo trovò riverso nel seggiolone, colla fronte insanguinata, freddo, con una rivoltella scarica a' piedi…

      –È una storia assai lugubre! – disse Loreta Lambertenghi quando il professore ebbe finito.

      –Un fatto diverso, come se ne leggono cento ogni giorno! – aggiunse con un risolino ironico il conte Leonardo.

      –Un fatto commovente ad ogni modo; questo me lo concederete.

      –Commovente, secondo i gusti. Io direi piuttosto istruttivo.

      –Figuriamoci: una morale a vostro modo…

      –Sicuramente, una morale, di cui io ho principiato ad approfittare per mio conto. Ed è questa: che con quarant'anni sulla gobba si commette la più grande corbelleria a lasciarsi pigliar dall'amore. Poi, beato chi è solo; quanta pace di più!

      –E quante gioie di meno! – esclamò subito la signora Chiara, alla quale le sortite pessimiste del Mangilli avevan sempre irritato i nervi. – Il conte Leonardo dice così per dire: è il primo lui a non pensarlo… "E quante gioie di meno" lo ripeto!.. È vero: ci saran delle donne cattive, leggiere, senza cuore. Ma ve ne hanno anche di quelle che sono la pace, la provvidenza, la letizia di una casa…

      –Mosche bianche, signora mia. E sì trovano tanto di raro!..

      –Non tanto, non tanto! Basta saper cercare, basta saper aprire gli occhi e leggere un pochino nei cuori…

      Dicendo così, la signora Chiara, fissa sempre nel pensiero che ormai non la abbandonava più, piantò i suoi sguardi nella faccia del professore; poi cercò gli occhi di Loreta.

      Il professore sforzavasi indarno di mostrarsi indifferente; Loreta guardava fuori lo splendido spettacolo del tramonto che accendeva d'un bagliore croceo la linea dell'orizzonte.

      –Il povero conte Sebastiano se fosse qui ad udirvi non vi darebbe ragione, signora mia!..

      –Il conte Sebastiano è stato uno sfortunato. Che vuol dire per questo? Che tutti debbono essere sfortunati come lui? No, no e poi no! – insisteva animandosi la signora. – Queste sono idee pericolose, di gente senza fede. Sapete quale è stato il torto del conte Sebastiano? Quello di aver voluto finire in tal modo. Quella donna non valeva davvero il sacrificio della sua vita. Sono esaltazioni da romanzo, codeste!..

      –Sarà vero, cara mamma, quel che tu dici. Ma con tutto questo mi par pure che per il conte ci sia una scusa. Era accecato. Era crollato intorno a lui tutto quanto. Io mi metto ne' suoi panni e lo capisco. O amare così o non amare affatto!

      Nel profferire queste parole il professore Mattia era seriissimo e la sua voce rivelava la profonda convinzione.

      La signora Chiara si levò allora, con un po' di dispetto, contrariata, dal suo seggiolone:

      –Già, già: siete tutti d'accordo! Una bella declamazione anche la tua!..

      Il professore si mise a ridere:

      –È assai buffa, non è vero, una declamazione di questo genere sulle mie labbra? Ma mi ci avete tirato voialtri proprio per i capelli!..

      Proseguendo indi lo scherzo uscirono dal palazzo che già il sole era scomparso. L'aria era fresca. Nella luce rosea del crepuscolo una leggiera nebbiolina alzavasi dalle valli, lungo il piede delle Carniche, avvolgendo come in un velo i bianchi villaggi lontani.

      Nello scendere lo stradone che conduceva alla strada maestra, i visitatori passarono dinanzi al gruppo delle case coloniche, costrutte al di là dell'ampia braida. Le porte erano quasi tutte aperte e le piccole cucine affumicate, in cui le donne apprestavan la cena, apparivano rosse al guizzare delle grandi fiammate accese sui bassi focolari. Sulla soglia di una di quelle casette, una vecchia stavasene seduta sur un banco di pietra, coi gomiti sulle ginocchia e la testa raccolta fra le palme.

      La signora Chiara la riconobbe, si fermò un istante e la salutò coll'affettuosa espressione dialettale, che è d'uso comune in tutta la campagna friulana:

      –Mandi, Mariute. Come va?

      La vecchia si scosse, si levò in piedi e ravvisando la signora Sant'Angelo:

      –Mandi, signori. Va poco bene. L'inverno è stato assai cattivo…

      La Sant'Angelo stette ad udire benevolmente le lamentazioni della vecchia dicendole qualche parola di conforto.

      Era un tipo spettrale: alta, magrissima, con una faccia ossea e due grosse ciocche di capelli arruffati, ricadenti dalla fronte, sotto le pieghe di un fazzoletto giallo, gettato sul capo.

      –Nonna Mariute, – disse il conte Leonardo avvicinandosi anche lui col suo abituale tono di canzone, – e come va colle vostre storielle? È tornato il conte Sebastiano?

      La vecchia lo fissò coi suoi occhi grigi, illuminati da uno strano bagliore:

      –Il signor conte mi burla, lo so bene. Ma non importa: quello che è vero è vero. Sì, il signor conte Sebastiano è tornato ancora. Torna sempre nelle notti di temporale, là su quel balcone: l'ho visto passare io venti volte, pallido, colla lunga barba, col volto pensieroso, là…

      E accennava col dito verso la mole bruna del palazzo, segnando il balcone della stanza, in cui l'ultimo dei Morò-Casabianca era morto.

      Loreta non potè a meno di gittare uno sguardo da quella parte, come suggestionata dalle fantastiche parole della vecchia.

      Nel tornare a casa parlarono poco. Tanto la signora Chiara, quanto Loreta, parevano dominate da una particolare preoccupazione.

      Quella notte la Lambertenghi dormì di un sonno irrequieto, nel quale più volte le apparve, così come la vecchia contadina l'aveva descritta, la immagine torva e melanconica del gentiluomo suicida.

      VI

      I primi mesi dell'estate passarono bene. Fu verso il settembre che un fatto penoso venne a turbare la pacifica vita della famiglia Sant'Angelo.

      Era già da gran tempo che la signora Chiara non godeva più della sua antica salute. Le più brevi passeggiate la stancavano fortemente e, causa il progressivo indebolirsi della vista, aveva dovuto tralasciare del tutto di occuparsi di qualsifosse lavoro d'ago e della lettura. Ma la signora Sant'Angelo, obbedendo alla sua vecchia tempra coraggiosa, non voleva essere ammalata e de' suoi acciacchi aveva più e più volte fatto argomento di scherzi col figlio e con la nipote.

      Una sera di settembre, mentr'era seduta nel suo seggiolone, ascoltando la lettura, che Loreta le faceva secondo il solito, del Giornale di Udine, chiuse ad un tratto gli occhi lasciandosi sfuggire un gemito e sarebbe caduta a terra se la giovane rapidamente non fosse sorta


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