Il peccato di Loreta. Boccardi Alberto

Il peccato di Loreta - Boccardi Alberto


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correva altrove, seguendo per la strada fangosa la giovane che recavasi alla chiesa, mentre da lunge, sulle raffiche impetuose del vento, giungeva da Tricesimo il lento scampanìo della prima messa.

      Passò un'ora, ne passarono due. Il professore e la signora avevano già fatta la loro colazione e Loreta non era peranco rientrata. La funzione doveva essere finita da un pezzo e senza un particolare motivo ella non poteva tardare così. Un po' allarmati s'eran posti a fare ogni possibile congettura, poi, non riuscendo a darsi una spiegazione, stavan già per mandare il ragazzo ad incontrare la giovane, quando una carrozza si fermò dinanzi alla casa.

      Vige ed Agnul corsero subito fuori e con meraviglia videro scendere dal legno il conte Leonardo Mangilli, che col suo fare burbero e colla ciera più scura del consueto venne loro incontro sollecitamente, accennando colla mano al carrozzino.

      –Che c'è? che c'è? – domandarono.

      –Nulla di grave. La signorina… – non ne so il nome io… – la signorina che sta con voialtri… L'hanno trovata in chiesa, dopo la messa, svenuta… Passavo di là. L'hanno posta nella carrozza.

      La Vige si fece allo sportello e vide sui cuscini, riversa, con le labbra smorte e gli occhi socchiusi, la signorina Loreta.

      –Oh! poveretta, poveretta! L'avevo detto io, l'avevo detto che stava male!

      Uscì intanto dalla casa anche il Sant'Angelo, che si avvicinò al gruppo, trepidante egli pure e pallidissimo.

      Trassero di carrozza la giovane, che in quel mentre parve avesse ripreso conoscenza e, sostenendola fra le loro braccia, la trasportarono in casa.

      Quindi, senza per tempo in mezzo, l'ottima Vige e la signora Chiara la svestirono e la misero a letto.

      Il medico chiamato d'urgenza non potè constatare se non una forte febbre, cagionata con molta probabilità da un grave turbamento nervoso. Lasciarla tranquilla; nient'altro. Pericoli non v'erano di sorta.

      Quel giorno Loreta stette assai male. Ebbe a più riprese delle violente convulsioni; poi, quando riusciva ad assopirsi, il suo sonno era affannoso, e strane, scucite parole le sfuggivano dalle labbra. Ma fu cosa passeggiera. Dopo tre giorni tutto era finito, e meno un po' di sfinitezza, ogni altra sofferenza pareva svanita.

      Fu allora che Loreta ebbe uno slancio improvviso di tenerezza e di espansione per la signora Chiara, che era lì, al suo fianco, con un sorriso di affetto sul labbro, tenendole maternamente una mano.

      –Ah! signora… signora, come mai posso chiedervi perdono di tutte le pene che vi reco! Non lo avrei voluto, io! Ma le forze mi son venute a mancare!.. Era un giorno di così tristi ricordi per me! La data più funesta della mia vita: un anno, da che laggiù, in mezzo a gente sconosciuta, io avevo deciso di morire… M'era parso che nella preghiera avrei potuto trovare l'obblìo di quell'ora, il perdono anche… Ma lì, in quella chiesa fredda, in quel silenzio profondo, mi sono sentita più oppressa che mai. M'è sembrato che tutta l'amarezza delle mie memorie si riversasse in un momento solo dentro il mio cuore. E non vidi più nulla, non sentii più nulla…

      Indi interrompendosi e chinando sulla spalla della signora Chiara il suo bel volto bagnato di lagrime:

      –Eppure, signora, io sono degna di perdono. Dio deve avermi perdonato.

      La signora Chiara levò pietosamente gli occhi al cielo, accarezzando il capo della povera giovane:

      –Potrei essere vostra madre! – le susurrò con dolcezza all'orecchio. – E dicono che l'affetto delle madri è quello che sa confortare i più grandi dolori.

      Gli occhi di Loreta s'illuminarono di una luce di letizia:

      –Come siete buona, signora! E come sento di amarvi!..

      V

      Dopo quell'ora di espansiva confidenza, le simpatie fra la signora Sant'Angelo e Loreta Lambertenghi si manifestarono sempre più vive.

      In casa stavano insieme di continuo, e ormai la signora Chiara non usciva più se non accompagnata dalla giovane parente.

      Alle sue amiche di Tarcento e di Tricesimo, colle quali di tratto in tratto si scambiavano qualche visita, non faceva che esaltare le virtù e la bontà di Loreta. E nel tessere le sue lodi era con particolare compiacenza ch'ella benediceva il momento in cui s'era presa con sè la Lambertenghi.

      –Nessun capriccio. Contenta di tutto. Una massaia di quelle che s'è perso lo stampo. E poi se non l'avessi, che guaio sarebbe! I settanta son belli e sonati: la vista non è più quella di una volta, e queste benedette gambe si son fatte così deboli!..

      –Ma che dice, signora Chiara? Lei è un fiore di salute! – le rispondevano.

      –Un fiore! un fiore!..

      La signora Chiara tentennava il capo e sorrideva. Ma il pensiero della sua età, che era già così avanzata, e della sua salute, divenuta negli ultimi tempi molto malferma, la preoccupava ora, in certi momenti di riflessione, assai gravemente. Non certo per sè: la morte non le faceva paura. Ma era per suo figlio, ch'ella adorava: per suo figlio alla cui tranquilla esistenza s'era dedicata sempre con tanta abnegazione. Che ne sarebbe di lui, – abituato a vivere in mezzo a' suoi studî, libero da ogni molesto pensiero, – senza di lei, senza la mamma sua, in quella casa deserta?

      Queste immagini, che dapprima passavan di rado nella mente della signora Chiara e che una parola lepida di suo figlio bastava a fugare, ora le rinascevano più vive. Le rinascevano specialmente in quelle ore della sera, quando, sentendosi stanchi gli occhi, smetteva il lavoro ed ascoltava le letture di qualche buon libro, che Loreta le veniva facendo.

      La voce dolce, carezzevole, armoniosa di quella giovane, che si accalorava nella lettura, che a certe pagine appassionate trovava accenti di una soavità commovente, le parlava nel core. Sul volto di lei, illuminato in pieno dalla luce della lampada, così puro nelle sue linee, così bello nella sua serenità, le pareva di scorgere quasi un riflesso del suo animo buono e rassegnato.

      Fu il suo amore materno che le fece per la prima volta balenare il pensiero della missione provvidenziale che Loreta avrebbe potuto compiere nell'ora triste in cui ella fosse venuta a mancare. Ma nè al figlio Mattia, nè alla giovane, ebbe mai il modo di dire in proposito un'esplicita parola. Per quanto tentasse di farlo, le occasioni le sfuggivano. Talchè il massimo che le riusciva era di lasciar cadere in mezzo a' discorsi, e come per semplice caso, qualche frase allusiva a codesti progetti.

      Così, molte volte, in via di scherzo, aveva fatto rimprovero a Mattia di non mostrare sempre le eguali deferenti premure verso la giovane:

      –Non dico che tu la tratti male, no! Ma non le sai dire mai il più piccolo complimento! E chi è giovane ci tiene tanto a sentirsi dire qualche bella parola!

      Il professore rideva e scrollava le spalle:

      –Ma, cara la mia mamma, anche tu hai certe idee pel capo! Sono io proprio l'uomo da mettermi a dire delle galanterie! E se anche lo tentassi, ci farei proprio la gran bella figura!

      –Oh! per questo poi… Se tu lo volessi, non è mica la loquela che ti manca. Ma, sfido io! Certe volte, se la ragazza si mette a parlare di qualche argomento serio, tu ti pianti là, in un angolo, cogli occhi fissi, ingrullito, da parere che tu non sappia porre in croce quattro parole. Santa pazienza! In questo non somigli ai Sant'Angelo, tu! Tuo padre… Avessi visto tuo padre…

      –Via, via, signora brontolona, non si arrabbi così. Per farle piacere, questo selvaticone saprà operare anche un miracolo e buttar alle ortiche la sua pelle di bestia feroce…

      Ridevano quindi insieme, ma il miracolo Mattia non lo faceva. Anzi, dal momento che sua madre gli aveva tenuto que' discorsi, si sarebbe detto che un nuovo imbarazzo lo dominasse quando si trovava insieme a Loreta. Talora, nella foga del discorrere, se i suoi occhi si incontravano in quelli profondamente dolci della giovane, era un visibile turbamento che lo sopraffaceva. Evitava di rimanere solo in sua compagnia. Un senso penoso di inquietudine lo assaliva ogni volta che la signora Chiara toccava in presenza di Loreta qualche argomento che avesse avuto la più lieve attinenza agli scherzi sul suo contegno.

      Il professore Mattia di tutto ciò provava in certi giorni un vero


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