Due amori. Farina Salvatore
rispondere. Da quel punto non stette più sul diniego; senza che io insistessi più oltre, era inteso che quella sera sarebbe venuto.
XI
Vi andammo assai di buon'ora; io con animo lieto ed aperto alla speranza; Raimondo trepidante e dubbioso, ma tuttavia più calmo.
Avendo in mente che essendo primo ad arrivare si sarebbe trovato in minori imbarazzi, era stato lui a farmi premura; pure quando fummo giunti, sebbene fosse assai lieve la speranza che la signorina Clelia si recasse dalla contessa, e l'ora fosse tale da toglierne ogni lusinga d'incontrarvela, poco mancò che Raimondo non se ne dolesse. E poi che egli era stato travagliato da una cotal paura d'incontrarsi con Clelia, avvenne, come è facile immaginare, che in quel punto dimenticasse il suo primo timore, e l'ansia dell'aspettazione si convertisse per lui in nuovo supplizio. Se non che, fosse caso o provvidenza, Clelia un'ora dopo entrò nelle sale accompagnata dal vecchio generale, e allora Raimondo fu da capo alla prima trepidanza.
Se io non andai errato nel giudicare, parvemi che come Clelia vide Raimondo, si turbasse nel viso, quasi non s'attendesse d'incontrarlo; e partendo da questa prima osservazione, immaginai di vedere per tutta quella sera le traccie del turbamento sul suo volto, e ch'ella facesse del suo meglio per dissimulare.
Comunicai il mio pensiero a Raimondo; e non è a dire se egli n'andò lieto. Da quel punto fermò in mente di volerle palesare l'animo suo, e raccolte le sue forze se le fece innanzi, la salutò e si assise al suo fianco.
–Questa volta il selvaggio s'è fatto uomo, pensai dentro di me; e giuro che giammai mortale che avrà vissuto fino a domani potrà dirsi più felice di Raimondo.
Non rimanendomi di meglio a fare, gironzai alcun poco per le sale. Un'ora dopo essendomi nato desiderio di vedere a qual punto si trovasse nel suo labirinto, cercai cogli occhi Raimondo. Egli era sempre vicino a Clelia e le parlava con calore… "Benissimo!" Però non avendo di meglio a fare, io continuai a gironzare per le sale.
XII
Dopo due ore che mi parvero eterne, le sale incominciarono a farsi deserte.
–Ecco due creature che le avranno trovate troppo brevi; dissi abbracciando dell'occhio il gruppo appassionato di Clelia e Raimondo. L'una cosa paga l'altra. E scommetto io che essi avevano molte cose a dirsi.
Non avevo peranco cessato di dire queste parole, che il generale s'accostò alla signorina Clelia, e questa si rizzò in piedi, e salutato cortesemente Raimondo, si allontanò. In un baleno fui d'accanto a Raimondo, che pareva essere rimasto fuori di sè; e trattolo meco, sotto il pretesto di riverire la contessa, giunsi ancora in tempo a farlo incontrare un'ultima volta con Clelia.
–Cospetto, gli dissi quando fummo usciti, non potrai lamentarti di me, nè dire che io non mi abbia sorbita la noia in bel modo per lasciarti a tuo bell'agio.
Se non che al malumore di Raimondo compresi come la celia non tornasse opportuna.
Nè io so d'averlo mai visto tanto dispettoso; ma, quel che è peggio, egli era sconfortato dei fatti suoi; e chi conosce le vie più riposte per cui si giunge all'umana debolezza, pensi se questa era tortura.
In conclusione egli se n'era stato tutta sera vicino al suo amore, e non gli aveva detto ch'egli era il suo amore; gli si era seduto al fianco, l'avea seguito per due ore come uno spettro, gli aveva parlato all'orecchio, per narrargli i suoi viaggi presso le tribù indiane, e descrivergli i costumi dei Lenguà, dei Pampà e degli Aguite queducayà.
Non so come mi stetti dal ridere, e me ne rattenne lo spettacolo del suo dolore che non era men vivo, sebbene andasse unito al ridicolo.
Se non che richiamandomi alla mente quel giorno, e pensando a quelle puerilità d'anima innamorata, parmi ora che soltanto il riso beffardo dei cinici potrebbe deriderle; e che in un'età in cui si è così presso alla fanciullezza che un palpito affrettato del nostro cuore può rinnovarcene le dolcezze, sia grave torto degli uomini il rifuggirne col rossore sulle guancie.
Però il lettore avveduto farà bene a non sorridere di Raimondo; e s'egli ebbe nella vita un'ora sola in cui gli abbia somigliato, o sia in età di temere altrettanto per lo avvenire, tanto meglio per lui-e farà bene a confortarsene.
XIII
Ogni volta che abbiamo qualche cosa da rimproverare a noi stessi, suole avvenire che al dolore succeda il pentimento, e che questo provochi propositi nuovi; così l'animo di Raimondo andò a poco a poco rasserenandosi; e come ei fu queto, domandò il cielo in testimonio che un'altra volta sarebbe stato più avveduto e più ardimentoso.
Con questo proposito egli ritornò la sera successiva in casa della contessa, ed io credo che non avrebbe fallito alla sua promessa, se la mala stella non ci si fosse posta di mezzo. Clelia non venne.
Il giorno successivo neppure-così l'altro e l'altro ancora.
Immaginate lo spasimo di Raimondo. Del resto il generale continuava ad intervenire colla stessa regolarità, nè mai una volta che mancasse. Ora se la signorina Clelia fosse stata ammalala, il generale non sarebbe venuto-questo era evidente.
Come Raimondo fu venuto a questa conclusione, non andò molto che prese il suo partito. S'egli era stato debole e pauroso con una donna, altrettanto sapeva essere franco con un uomo; però colto un momento in cui il vecchio generale si lisciava in un cantuccio della sala i lunghi mustacchi, gli si accostò risoluto e lo salutò.
Il generale s'inchinò, e continuò a lisciarsi i mustacchi; ma Raimondo tenne duro, e gli domandò notizie della sua salute. Il generale stava benissimo, e continuava a lisciarsi i mustacchi; ma quando s'accorse che il suo interlocutore non aveva in animo di lasciarlo in pace alle sue fantasie, gli domandò tra il sorriso e il cipiglio:
–Il signore mi conosce?
–Ho questa fortuna. Ella è il generale R. Mi fu presentato dalla contessa ed io non l'ho più dimenticato.
–Troppo onore.
–Io sono Raimondo X.
–Ne ho piacere.
–Ella è anche, se non erro, il tutore, o lo zio, o il padre della signorina Clelia?
–Precisamente.
–E la signorina Clelia è ella incomodata?
–Non credo.
–Però da un pezzo non frequenta queste sale…
–Fa i suoi gusti.
Raimondo incominciava a perdere la pazienza; comprese che non vi era mezzo di far chiaccherare quel vecchio orso, e mutò sistema:
–Vorrebbe ella avere la cortesia di darmi qualche notizia più chiara sul conto della signorina Clelia?
Il generale si volse all'improvviso, e guardò in faccia Raimondo. Poi con affettata cortesia:
–E si può sapere a quale scopo ella mi fa questa domanda?
–Io m'interesso molto per la signorina Clelia…
–E con qual diritto ella s'interessa per la mìa creatura? interruppe il generale con asprezza.
–Perchè l'amo, rispose calmo Raimondo.
–L'ama! E in che modo ella l'ama?
–Io non ne conosco che uno.
–Questo è vero; disse il generale mansuefatto dalla sincerità di Raimondo.
Per qualche minuto nissuno dei due fe' motto. Il generale pareva riflettere, e la sua fronte si rischiarava. Fu egli il primo a rompere il silenzio:
–La mia creatura sa essa di questo amore?
–Non lo so, ma credo di no.
–E che venite dunque a contare a me?
–Perdonate? ma se io potessi dirlo ad essa, non lo direi a voi.
–Lo credo.
–Ma io non so come fare a dirglielo.
–Eh! diamine; non glie lo dirò già io per voi. Parlatele.
–Non domando di