Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6 - Giannone Pietro


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moderno d'Italia: ed è fama, che dal dì primo del suo Regno destinò tremila ducati il mese da spendersi, mentre e' vivea, prima in edificare la chiesa, e' Conventi, e poscia in comprare possessioni, de' cui frutti potessero vivere le Monache e' Frati. E vi è chi scrisse26, che Roberto per ammenda della morte proccurata a Carlo Martello suo fratello, affin di succedere al Regno, avesse usata tanta profusione in opera così pietosa; quasi che bastasse a cancellare tanta scelleraggine (se fosse vero il sospetto, che s'ebbe di lui) un tal edificio; e come se agli uomini per purgare i loro misfatti, bastasse il fabbricar chiese e monasterj, ed arricchirgli d'ampie rendite e possessioni. Scipione Ammirato27 ne' suoi Ritratti narra, essere stato ricevuto di mano in mano dalle memorie degli antichi in Napoli, che avendo Roberto condotta a fine la fabbrica di questa Chiesa, domandò al Duca di Calabria suo figliuolo quel che gliene paresse: a cui il Duca non per irreverenza, ma per non adular il padre, liberamente rispose, che gli parea, che fosse fatta a somiglianza d'una stalla. E ciò disse, perchè non avendo la chiesa ale, le piccole cappelle, che intorno son poste di mala grazia, che non continuano infino al tetto, rendono somiglianza di mangiatoje. Ma il Re, o come è natura di ciascuno, che senta con mal grado chi biasima le sue cose, o pur da divino spirito commosso: Piaccia a Dio, gli disse, o Figliuolo, che voi non siate il primo a mangiare in questa Stalla. E non è dubbio alcuno, il primo del Sangue Reale, che si seppellisse in S. Chiara, essere stato il Duca Carlo.

      CAPITOLO I

L'Imperadore Errico VII collegato col Re di Sicilia nuove guerra al Re Roberto, e facendo risorgere l'antiche ragioni dell'Imperio, con sua sentenza lo priva del Regno; ma tosto lui morto, svanisce ogni impresa; e si rinova la guerra in Sicilia

      Passò Roberto i primi tre anni del suo Regno in questi esercizj di pace; favorendo altresì, nel miglior modo che potea, la parte Guelfa per tutta l'Italia; ma furono questi studj di pace interrotti per la morte accaduta gli anni a dietro dell'Imperadore Alberto d'Austria; poichè essendo stato in suo luogo rifatto Re de' Romani Errico VII, il primo Imperadore dell'illustre Casa di Lucemburgo, e coronato in Aquisgrana, tutti i Ghibellini d'Italia mandarono a sollecitarlo, che venisse a coronarsi in Roma; e poichè lo Stato suo in Germania era di poca importanza, e bisognava con le ricchezze d'Italia sostenere il decoro imperiale, fu convocata una Dieta, ove furono tutti i Principi di Germania, nella quale fu conchiuso, che la Nazione alemana pagasse ad Errico un esercito, col quale potesse venire a coronarsi in Italia. Papa Clemente che ciò intese, dubitando, che per la sua residenza in Avignone non venisse ad occupare tutto lo Stato Ecclesiastico, ed a ponere la Sedia dell'Imperio a Roma, creò Conte di Romagna e Vicario Generale di tutto lo Stato della Chiesa Re Roberto, affinchè se gli opponesse. Mandò per tanto Roberto, sentendosi ch'Errico dovea calar in Italia, l'anno 1312 D. Luni di Raona con cento Cavalieri in ajuto dei Fiorentini, siccome fece ancor l'altro anno a Roma, mandandovi Giovanni Principe d'Acaja suo fratello con seicento Cavalieri catalani e pugliesi per contrastar la coronazione dell'Imperadore28.

      Dall'altra parte Federico Re di Sicilia, che avea preso gran dispiacere, che 'l Regno di Puglia fosse rimasto a Roberto più tosto che al Re d'Ungheria, del quale per la distanza potea dubitar meno, e che avea pensato di battere in ogni occasione le forze del Re Roberto, pose molta speranza nella venuta dell'Imperadore, se bene nel principio non si discoverse. Ma offeso da Roberto per esser posto in acerbissima prigione (dove finì la sua vita) un suo Ministro, che avea mandato a Napoli a visitar Ferdinando figliuolo del Re di Majorica, fatto prigioniere in Grecia dal Principe di Taranto; da questa ingiuria pigliando occasione Federico non volle tardar più a scovrirsi; e giunto l'Imperadore in Italia, mandò Manfredi di Chiaramonte a visitarlo, ed a trattar lega con lui contra Re Roberto. L'Imperadore fe gran conto di quest'ambasciata e strinse la lega, e dichiarò Federico Ammiraglio dell'Imperio, e mandò a pregarlo, che con l'armata infestasse le marine del Regno, ch'egli presto sarebbe ad assalirlo per terra.

      I Genovesi vedendo ora più gagliardo Errico per questa lega, lo riceverono come loro Signore, onde egli cominciò ad essere formidabile a tutta Italia; e giunto a Roma a' 29 di giugno di quest'anno 1312 fu con molta celebrità coronato in S. Gio. Laterano29; indi ripassato a Pisa, fece citar Roberto, come vassallo dell'Imperio, a comparir avanti di lui.

      Gl'Imperadori d'Occidente, come s'è veduto nei precedenti libri di questa Istoria, pretendevano sovranità sopra questi Reami: l'investiture, come altrove fu detto, sono più antiche quelle degl'Imperadori d'Occidente che de' Romani Pontefici; onde è, che S. Bernardo, adulando l'Imperador Lotario, disse, che omnis, qui in Sicilia Regem se facit, contradicit Caesari; quindi, sempre che gli Imperadori ripigliavano forza in Italia, non tralasciavano quest'impresa. Errico cita Roberto, e questi non comparendo, lo dichiara contumace, indi a' 25 aprile del seguente anno 1313 fulmina contro lui la sentenza, colla quale lo sbandisce30, lo priva del Regno e di tutti i suoi dominii, e come ribello dell'Imperio lo condanna ad esser decapitato. Questa sentenza si legge presso noi nel primo tomo de' MS. giurisdizionali compilati per Chioccarello, e la rapporta anche Alberico ne' suoi Commentarii31.

      (Questa sentenza è rapportata tutta intera da Lunig32; ma varia intorno al tempo della data, notandosi l'anno 1311. Rapporta eziandio alla pag. 1079 una lettera di Filippo Re di Francia scritta a Papa Clemente V, nella quale gl'incarica ad usar tutti gli sforzi per impedire gli attentati ed i progressi d'Errico contro Roberto suo parente, i quali potrebbero frastornar anche l'impresa di Terra Santa; onde Clemente fulminò una Bolla contro tutti i nemici del Re Roberto, dichiarandoli invasori del Regno, la quale si legge pag. 1086).

      Nell'istesso tempo il Re Federico con potente armata infestava le Calabrie, e certamente le cose di Roberto sarebbero capitate male, se morte opportuna non l'avesse liberato; poichè mentre Errico se ne tornava in Toscana per quindi venire con gagliardo esercito a' danni del Re Roberto, per cammino cadde infermo, e arrivato a Buonconvento, castello del Contado di Siena, a' 24 agosto di quest'istesso anno 1313 se ne morì. Non mancano Scrittori che rapportano la sua morte essere stata proccurata da' Fiorentini, i quali avendo corrotto un Frate Domenicano nominato Pietro di Castelrinaldo, narrasi che questi gli dasse un'ostia attossicata nel tempo che gli richiese di voler prendere il Viatico.

      (Il nome del Frate Domenicano che nell'Eucaristia attossicò l'Imperadore Errico VII non fu altrimente di Pietro di Castelrinaldo, ma di Bernardo di Montepulciano, e l'abbaglio d'alcuni Scrittori nacque d'aver confuso Frate Pietro, che presso il Re di Boemia Giovanni figlio d'Errico, prese la difesa di Frate Bernardo e del suo Ordine Domenicano, con Frate Bernardo imputato d'una tale scelleraggine nelle lettere apologetiche del Re Giovanni impresse dal Baluzio T. 1, Miscel., p. 162 si legge così: Nuper autem retulit nobis Religiosus Vir frater Petrus de Castro-Reginaldi, ordinis fratrum Praedicatorum, quod in magnum ipsius ordinis dedecus et contemptum facti sunt Romancii, Chronicae et Moteti, in quibus continetur, quod clarae memoriae Dominum et genitorem nostrum Imperatorem Henricum, Frater quidam Bernhardus de Montepeluciano, ordinis supra dicti, administrando ei Sacramentum Eucharistiae, venenavit; et propter hoc, ad defensionem veritatis, praedictus frater Petrus de Castro Reginaldi, habere super hoc litteram testimonialem humiliter supplicavit. E questo medesimo nome gli danno Tritemio Chron. Hirsaug. ad An. 1313 e Cuspiniano pag. 366. Parimente è da notarsi, che durando ancor a' tempi d'Errico VII il costume di darsi anche ai Laici la communione sub utraque specie, molti Scrittori antichi rapportano che il veleno non fu propinato nell'ostia, ma mescolato dentro il calice che se gli diede a bere: ed in questa maniera narra esser seguito l'avvelenamento Alberto Argent. pag. 118 dicendo: Dicebatur enim, quod ipse praedicator venenum sub ungue digiti tenens absconsum, post communionem potui Caesari immississet et illico discessisset. E lo stesso scrisse H. Stero ad A. 1313. Hic Imperator, ut communis fuit opinio, per penitentiarium suum, immixto veneno in Calice Domini, cum Imperator ab ipso Eucharistiam sumeret, extinctus fuit, et Pisis sepultus. Veggasi Martino Disembachio, il quale compilò una particolar dissertazione, de vero mortis genere, quo Henricus VII. obiit. Dove nel §. 39 sulla fede di Tritemio Cron. Hirsaug. ad Annum 1313 rapporta, che a que' tempi fu così comune e costante la credenza che Errico fosse stato avvelenato da un Frate


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<p>26</p>

Giannettas Hist. Neap. l. 2.

<p>27</p>

Ammirat. Ritratti pag. 302.

<p>28</p>

Ammirato: Ritratti, pag. 292. Baluz. Vitae Papar. Aven. tom. 1 pag. 18, 21, 44, 45, 48.

<p>29</p>

Baluz. loc. cit. pag. 48, 93.

<p>30</p>

Baluz. pag. 51.

<p>31</p>

Alberic. in l. quisquis, num. 11, C. ad L. Jul. Majest.

<p>32</p>

Tom. 2 p. 1035.