Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6. Giannone Pietro
procedere contro gli Ecclesiastici servata forma Capitulorum Regni. Quindi negli Archivj di questo Tribunale osserviamo perciò molti processi fabbricati a tenore de' medesimi Capitoli. Ma innalzato da poi a' tempi degli Austriaci sopra tutti gli altri Tribunali quello del Collateral Consiglio, ed avendo tratto a se le supreme preminenze, ed ogni potestà economica, e lasciata agli altri Tribunali l'independenza per ciò, che riguarda le cose di giustizia, quindi nacque quello stile, che ora riteniamo, che da questo Tribunale, come rappresentante la persona del Re, si spediscono lettere regie, per le quali si commette regolarmente al S. C. che procedesse servata la forma di questi capitoli, e prima anche solevan commettersi al Cappellano Maggiore. Non vi sarebbe niuna implicanza perchè queste lettere non si potessero ancora drizzare al Reggente della Gran Corte della Vicaria, ovvero ai Presidi delle province, che anticamente erano chiamati Giustizieri, e ad altri Ufficiali Regj. Abbiamo molte di queste lettere drizzate da Roberto istesso al Reggente della Vicaria e suoi Giudici, com'è quella, che si legge sotto il titolo de Spoliatis pro Laico contra Clericum, e che comincia: Omnis praedatio; e l'altra che leggiamo presso Chioccarello: a' Giustizieri di Appruzzo Ultru, et Citra flumen Piscariae: a' Giustizieri di Val di Crati, e Terra Giordana: a' Giustizieri di Terra di Lavoro, ed a coloro del Contado di Molise. L'istesso fece Carlo Duca di Calabria suo figliuolo, Carlo III di Durazzo, Alfonso I e gli altri Re successori, come vedremo più innanzi. Ma ne' nostri tempi e de' nostri avoli, essendo più che mai cresciuta l'audacia e temerità de' Prelati, si è riputato migliore, per non esponere questi inferiori Ministri ai loro fulmini, e non entrare perciò in cimenti, di dirizzarsi queste lettere al Tribunal supremo del S. C. il qual regolarmente perciò vi procede.
Ma tanta moderazione del Re Roberto, tanto suo rispetto, a niente giovò a questo Principe, perchè i Prelati ed i Canonisti non declamassero contro questo suo regolamento. Sin da' tempi di Luca di Penna44, che scrisse sotto il Regno di Giovanna I: Hoc statutum, com'egli dice, multi Praelati, et Canonistae nitebantur infringere, dicentes, Principem Secularem nihil posse contra Clericos, et eorum causas directe, vel indirecte statuere, sed ipsi circa hoc inique loquuntur: tanto che bisognò ch'egli impugnasse la sua penna per confutare i loro errori. E ne' tempi posteriori, essendo più cresciuta la licenza degli Scrittori ecclesiastici, furon da essi sempre questi rimedi combattuti e riputati, com'essi dicono, offensivi alla immunità, ovvero libertà ecclesiastica. Nel decimoterzo tomo dei MS. giurisdizionali raccolti da Bartolommeo Chioccarelli, si legge una relazione delle tante controversie che sono state tra' Ministri del Re, e gli Ecclesiastici sopra questi Capitoli: si leggono ancora diverse allegazioni in jure fatte per difesa e per mostrar la giustizia de' medesimi: all'incontro quanto siansi affaticati gli Ecclesiastici per distruggere e far togliere la loro osservanza ed esecuzione; ma non ostante questi loro sforzi, per lo decorso di più secoli sono rimasti sempre stabili e fermi, e sono stati presso di noi sempre in uso, e praticati sotto quanti Principi mai da Roberto in qua hanno dominato questo Regno, e tuttavia sono nel lor fermo vigore ed inalterabil osservanza.
Di Roberto, oltre del Capitolo ad regale fastigium, ne abbiamo tre altri ordinanti il medesimo, drizzati secondo i casi accaduti a' suoi Uffiziali che si leggono impressi tra' Capitoli del Regno spediti da lui negli ultimi anni del Regno. Il primo è sotto la rubrica: Conservatorium pro Laico contra Clericum: che comincia: Charitatis affectus, drizzato a' Giustizieri d'Apruzzo Ultra, ad istanza di Ruggiero Conte di Celano per le molestie e turbazioni che gl'inferivano l'Abate, ed i Monaci del Convento di S. Maria della Vittoria. Il secondo, che comincia: Finis praecepti charitas ed è sotto il titolo, Conservatorium pro Clerico contra Clericum, fu drizzato al Giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana, e fu spedito ad istanza di Giovanni Tavolaccio di Castrovillari Canonico Cosentino, per l'ingiuste molestie che gli venivan date da Guglielmo ed Oliviero Persona Cherici di Rossano, e da' loro congiunti e seguaci. Il terzo fu drizzato da Roberto al Reggente della G. Corte della Vicaria e suoi Giudici, e si legge sotto il titolo, de Spoliatis pro Laico contra Clericum, e comincia: Omnis praedatio: fu spedito ad istanza di Perotto Scalese di Napoli, il quale per essere stato con propria autorità, e violentemente spogliato della possessione d'un Territorio, ch'egli possedeva nelle pertinenze della città di Capua dal Vicario dell'Arcivescovo di Capua, ebbe ricorso a Roberto perchè vi dasse riparo. Oltre di questi che abbiamo impressi tra' Capitoli del Regno, furono da Bartolommeo Chioccarelli da' regi Archivi raccolte consimili lettere regie conservatoriali, spedite dal medesimo Roberto, da Carlo Duca di Calabria suo figliuolo, e da molti altri Re successori per quest'istesso fine e drizzate a' loro Ufficiali.
Carlo Duca di Calabria, mentr'era Vicario Generale del Regno, drizzò nell'anno 1322 consimili lettere al Capitano di Napoli, spedite ad istanza di Francesco Cannavacciolo di Napoli per le molestie che se gl'inferivano sopra la possessione d'una sua casa, situata dentro la Città di Napoli, dall'Abate Guglielmo Caracciolo con alcuni altri Cherici. L'istesso Carlo nel 1324 commette a' Giustizieri di Calabria, che a tenor del Capitolo di suo padre facciano purgar lo spoglio che avea patito Giovanni Canonico della maggior chiesa di S. Marco d'una vigna e certi buoi, da Guglielmo Malopere Primicerio di Napoli, e Vicario dell'Arcivescovo di Cosenza. Nel 1328 anno della morte del Duca di Calabria, il Re Roberto scrive alli Giustizieri di Terra di Lavoro e Contado di Molise, e d'Apruzzi Citra ed Ultra, che avendogli esposto Francesco Abate del Monastero di S. Maria di Cinquemiglia, che il Vescovo di Valve, pretendendo detta Badia appartenersi alla sua Chiesa, voleva di fatto spogliarlo della medesima, che mantenessero detto Abate nella possessione pacifica di detto monastero, nella quale lo ritrovavano, dunec justa causa possessionis duraverit. Roberto istesso nell'anno 1337 manda consimili lettere al Reggente e Giudici di Vicaria ed altri suoi Ufficiali, che juxta tenorem novi nostri Capituli, procedano su l'esposto fattogli da Tommaso Monsella di Salerno Maestro Razionale della Gran Corte, che stando egli in possesso del Castello di S. Giorgio situato in Calabria, il Vescovo di Melito, insieme con altri laici lo turbavano, e tentavano con violenza occupar i tenimenti del medesimo.
Il Re Carlo III d'Angiò nel 1383 scrisse al Gran Giustiziere del Regno o suo Luogotenente, ed alli Giudici della Gran Corte che rivocassero gli aggravi, e violenze fatte per l'Arcivescovo di Napoli, o suo Vicario per mezzo d'un Prete suo Cameriere in loro nome a Simone Guazza di Giugliano, in eseguirgli di fatto, e di propria autorità alcuni suoi beni mobili, pendente l'appellazione d'una sentenza data a favore di detto Cameriere, per un credito, che pretendeva conseguire in nome del suddetto Arcivescovo.
Il Re Alfonso I d'Aragona nel 1440 drizzò consimili lettere al Vescovo di Valenza Presidente del S. C. e Viceprotonotario del Regno, ed alli suoi regi Consiglieri, perchè a tenor di questi Capitoli emendassero lo spoglio, che Febo Sanseverino Vescovo di Cassano avea patito da Geliforte Spinello, il quale non ostante, che il Sanseverino era stato promosso a quel Vescovado da Bonifacio IX, e confermato da Papa Martino V, e per più anni l'avea pacificamente posseduto, asserendosi egli Vescovo, per forza, e fraude l'avea spogliato di fatto, e s'era intruso in detto Vescovado. Il medesimo Re nel 1478 scrisse al suo Vicerè, ed altri Ufficiali in Calabria, che avendogli esposto il Prete Guglielmo di Gambini di Mangano, pertinenza della città di Cosenza, che possedendo egli con altri Preti per più di venti anni alcuni beneficj, da certi altri Preti di fatto n'erano stati spogliati, perciò gl'incarica, che costando loro di questo spoglio, lo rivochino, e facciano mantenere il medesimo nel possesso con fargli corrispondere i frutti.
Il Re Ferdinando I nel 1481 scrive al Vescovo di Martorano, che non molesti in cosa alcuna Palamede di Landro Vescovo di Catanzaro, nè impedisca l'esazione de' frutti, e rendite del suo Vescovado, anzi se avesse alcune rendite, o ragioni nella diocesi del suo Vescovado glie le faccia corrispondere conforme e di giustizia: e nell'anno 1485 scrive al Castellano di Catanzaro che lo mantenga, e conservi nella pacifica possessione, nella quale era stato, e stava del suo Vescovado, facendogli corrispondere tutte le sue entrade e frutti spettanti a quello. Il medesimo Re nell'istesso anno scrive a Carlo Carafa Signore della terra di Montesarchio, dicendogli, che Fra Jacopo Sordella dell'Ordine di S. Gio: Gerosolimitano Commendatore della Commenda di detta Terra gli avea esposto, che possedendo detta Commenda concedutagli dalla sua Religione, ne era stato di fatto scacciato da Fra Ipolito d'Amelia in vigor di certe lettere ottenute surrettiziamente dalla Corte di Roma: perciò gli ordina che costandogli di questo spoglio per sommaria informazione, lo restituisca nella possessione.
Il Gran Capitano D. Consalvo di Cordua nel 1503 scrive ad un Ufficiale regio,
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Lucas de Penna in not. ad cap. ad regale fastigium.