Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6 - Giannone Pietro


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nella chiesa di S. Chiara. Narrasi, che quando questo Principe fu portato alla sepoltura, l'infelice padre vedendosi tolto l'unico suo figliuolo, dicesse: Caduta è la Corona dal capo nostro. Come veramente seguì per le ruine e turbulenze, che poi vennero al Regno, perchè a Carlo, se bene mentr'era in Fiorenza Maria di Valois sua seconda moglie gli avesse partorito un figliuolo maschio, che nomossi Carlo Martello, questi non visse più che otto giorni; nè di Maria, che sopravvisse al marito, lasciò maschi, ma due figliuole già nate, ed un'altra nel ventre. La prima nominossi Giovanna, e fu quella, che poi successe al padre, e fu Regina di Napoli. La seconda fu chiamata Maria, la quale poco da poi morì, e fu seppellita in S. Chiara. Poco appresso la vedova Duchessa partorì un'altra figliuola, che fu anche chiamata Maria, la quale, come diremo, divenne Duchessa di Durazzo.

      Carlo Duca di Calabria fu un Principe, se ben non molto bellicoso, adorno nondimeno di tutte le altre virtù convenienti a Re. Fu egli religiosissimo, giustissimo, clementissimo e liberalissimo, amatore de' buoni e nemico de' cattivi, e tale che il padre quasi dall'adolescenzia gli pose il governo di tutto il Regno in mano. Lo creò suo Vicario, ch'esercitò con tanta lode e prudenza, che il Re suo padre ne vivea molto contento e soddisfatto. Il Tribunal della Vicaria nel suo tempo era in somma floridezza e vigore. Egli vi creò Giustiziero Filippo Sangineto, con stabilirgli provisione di 150 once d'oro l'anno, e 90 once per diece uomini a cavallo e 16 a piedi per guardia e decoro di quel Tribunale. Ebbe in costume ogni anno cavalcare per lo Regno, per riconoscere le gravezze, che facevano i Baroni e Ministri del Re a' Popoli. Per mezzo di molti Capitoli da lui stabiliti, mentr'era Vicario del Regno, diede varie providenze, e sesto a molte cose appartenenti al buon governo e retta amministrazione della giustizia, della quale fu cotanto zeloso ed amatore, che nel suo sepolcro, per ispiegar questa sua virtù, si vede sotto i suoi piedi tener scolpita una conca d'acqua, nella quale pacificamente beve un lupo ed un agnello.

      Celebrate l'esequie del Duca, il Re pose ogni studio in fare bene allevare la bambina, che avea da succeder al Regno, ed egli intanto, come Principe di grande e generoso animo, non lasciò nè il governo del Regno, nè il pensiero della guerra di Sicilia.

      Ma passato alcun tempo, sentendosi già tuttavia invecchiare, pensò stabilire la successione del Regno, e benchè i Reali fossero molti nel medesimo Regno, come Roberto, Luigi e Filippo figliuoli del Principe di Taranto; Carlo, Luigi e Roberto figliuoli del Principe della Morea, ed altri, tra' quali avrebbe potuto eleggere alcuno abile alla successione e governo del Regno, dandolo per isposo alla picciola nipote; nulladimanco stimolato, come si crede, ed accenna Baldo39, d'alcun rimorso di coscienza, perchè il Regno per più diritta ragione dovea toccare a suo Nipote Re d'Ungheria figliuolo di Carlo Martello primogenito, o per altra occulta cagione, che a far ciò lo stringesse; si risolse di far tornare lo Stato in quel ceppo onde si era partito, e per questo deliberò d'eleggere uno dei figliuoli del già detto Re d'Ungheria40: benchè i calamitosi successi, che ne seguirono, dimostrarono apertamente, quanto il giudizio umano sia spesse volte fallace.

      Mandò a quest'effetto solenne ambasciaria a Caroberto Re d'Ungheria, il quale con molta allegrezza ricevè l'ambasciata, e fatta elezione d'Andrea suo figliuolo secondogenito, ne rimandò gli Ambasciadori con ricchi doni, dicendo loro, facessero intendere al Re Roberto, ch'egli fra pochi dì si sarebbe posto in viaggio collo sposo, e verrebbe a Napoli, come già fece non dopo molto indugio; perocchè partitosi d'Ungheria col picciolo figliuolo e gran compagnia di suoi Baroni per la via del Friuli, all'ultimo di luglio del 1333 giunse a Vesti città di Puglia, posta alle radici del Monte Gargano, dove da Giovanni Principe della Morea, mandato dal Re con molti Baroni e Cavalieri del Regno, fu onorevolmente ricevuto. Fu a' 26 settembre di quest'anno celebrato lo sponsalizio tra Andrea e Giovanna pari d'età, non avendo ambedue, che sette anni, e verso la fine d'ottobre, il Re d'Ungheria lieto d'aver lasciato un figliuolo così ben ricapitato, con la certezza di succedere a sì opulento Regno, si partì, e ritornò in Ungheria, lasciando alcuni de' suoi Ungari, che servissero il figliuolo, già intitolato Duca di Calabria, e tra gli altri lasciò con grande autorità un Religioso chiamato Fra Roberto, che avesse da essere Maestro di lettere e di creanza al picciolo Andrea.

      CAPITOLO III

Si rinova la guerra in Sicilia; ma s'interrompe per la morte del Re Roberto

      Re Roberto essendo libero dal pensiero del successore, solo gli rimaneva quella cura, che perpetuamente dopo Re Carlo il Vecchio tenne travagliati tutti i suoi successori, cioè di racquistare il Reame di Sicilia; mandò per tal effetto nuova armata in quell'isola, dove benchè facesse molti danni, non acquistò però Terra alcuna murata. Ma morto che fu il Re Federico l'anno 1337, lasciando per successore Pietro suo primogenito, tosto mandò Roberto in Avignone a pregar Papa Benedetto XII, il quale a' 20 decembre dell'anno 1334 era succeduto a Gio. XXII, che avesse da mandar un Legato appostolico in Sicilia, a richiedere Re Pietro, che volesse cedere quel Regno, ed osservare la Capitulazione fatta in tempo di Carlo Valois della pace; e questo fece non con isperanza di ottenere per quella via l'isola, ma con disegno, che il Papa, vedendosi disprezzare da Re Pietro, entrasse in parte della spesa della guerra. Nè mancò di mandare a visitare la Regina Elionora sua sorella, ed a tentarla che avesse disposto il figlio a cedere quel Regno, promettendole, che l'avrebbe aiutato ad acquistar il Regno di Sardegna con molte maggiori forze di quelle, che erano state promesse nella Capitulazione; ma la Regina, ch'era savia, rispose, ch'ella non avea tale autorità col figlio, che bastasse a tanto, e che pregava il Re suo fratello, che volesse più tosto tenerlo per servidore e per figlio, e massime non trovandosi eredi maschi, ond'era certo di non potere lasciare nè il Regno di Napoli, nè l'altre sue Signorie a persona più congiunta di sangue, di quel che gli era Re Pietro. Così, siccome questa ambasceria fece poco effetto, molto meno fece il Legato appostolico, perchè gli fur date parole, nè potendo far altro, lasciò il Re e l'isola scomunicata: del che curandosi poco Re Pietro, si fece subito incoronare.

      Rivolse perciò Roberto tutti i suoi pensieri alle armi, e a' 5 maggio del seguente anno 1338 mandò un'armata di settanta vele tra Galee ed Uscieri con 120 °Cavalieri per infestare quell'isola, e non molto da poi un'altra maggiore e meglio fornita; ma fuori dell'aver preso Termini per assedio, non vi fece cosa di momento. Il Re non trovandosi mai stanco di questa impresa, due anni da poi vi mandò Giufredi di Marzano Conte di Squillaci e suo G. Ammiraglio; la qual impresa fu meglio guidata, che nessun'altra, avendo il Conte preso Lipari, e sconfitti i Messinesi. L'aver acquistato Lipari fu cagione, che l'anno seguente, mandato con nuova armata Ruggiero Sanseverino in Sicilia, acquistasse Melazzo; e questa fu l'ultima impresa che il Re Roberto fece in Sicilia. Ma ciò che per tanti anni, e tante e sì ostinate guerre non s'era potuto porre in effetto, se morte non l'avesse impedito, si sarebbe veduto conseguire per una piccola contingenza: Re Pietro, ch'era succeduto al padre, non regnò se non che pochi anni; ed essendo morto, nè avendo lasciati altri, se non che Lodovico suo figliuolo fanciullo sotto il governo del zio; i Palizzi Baroni potentissimi in Messina con molti parenti loro e di Federico d'Antiochia, con quelli di Lentino, di Ventimiglia ed Abati, a' quali erano venuti più in odio i Catalani, che non furono agli antecessori loro i Franzesi, occuparono Messina, e mandarono da parte loro e di quella città a Napoli a giurare omaggio a Re Roberto; ma il messo trovò il Re che avea presa l'estrema unzione, e poco da poi morì. Esempio evidente de' giuochi, che fa la fortuna nelle cose umane, che avendo Re Carlo I e Re Roberto sessanta anni continui travagliato il Regno di Sicilia con sì potenti e numerosi eserciti, e mandato quasi ogni anno ad assaltarlo con tante potentissime armate, nè avendo mai potuto ricovrarlo, la fortuna avea riservato ad offerirglielo, quasi per beffa, al punto della morte; perchè non è dubbio, che se tal occasione fosse venuta due anni avanti, l'isola sarebbesi ricovrata, perchè con pochissime forze si poteano abbattere e spegnere quelle del pupillo Re, ed esterminar in tutto il nome dei Catalani da quell'isola.

      Morì questo savio Re, non men oppresso dagli anni, che da gravi affanni e travagli, che in questi ultimi anni intrigarono l'animo suo in molestissime cure: vedea, che in sei anni che Andrea Duca di Calabria era stato nel Regno e nudrito nella sua Corte, Accademia e domicilio d'ogni virtù, non avea lasciato niente de' costumi barbari d'Ungheria, nè pigliati di quelli, che poteva pigliare, ma trattava con quegli Ungari che gli avea lasciati il padre, e con altri che di tempo in tempo venivano; tanto che il povero vecchio si trovò pentito d'aver fatta tal elezione,


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<p>39</p>

Baldo in l. si viva matre, C de bonis mater. V. Ammirat. Ritratti pag. 299.

<p>40</p>

Frossardo nel lib. 2 della sua Istor. prende molti abbagli in narrando questo casamento di Giovanna.