Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6 - Giannone Pietro


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in vigor di Bolle appostoliche la Badia di S. Giovanni d'Abate Marco della diocesi di Cassano, n'era stato spogliato di fatto da Giovanni Caseo, gli ordina perciò, che servata la forma de' Capitoli del Regno restituisca detto Abate nella possessione, e gliela mantenghi, donec justa causa possessionis duraverit. Il medesimo Gran Capitano nell'anno 1506 ordina al Governadore di Calabria, che essendo vero, che l'Abate di S. Giovanni di Florio di Calabria sia stato spogliato di fatto dal Cherico Martino di Torponibus d'alcune Chiese, e Grancie annesse alla sua Badia, lo rimetta nella primiera possessione, e gliela conservi, donec etc.

      Il Vicerè D. Giovanni d'Aragona Conte di Ripacorsa nel 1507 scrive al Governador di Calabria, ed agli altri Ufficiali di quella Provincia, che Fra Lodovico di Nicotera Vicario Generale di detta Provincia dell'Ordine di S. Francesco dell'Osservanza gli avea esposto, che da molti Prelati di quella provincia eran usate molte violenze a' Frati Osservanti del suo Ordine, che perciò ordina a detti ufficiali, che ad ogni istanza del detto Vicario procedano co' dovuti rimedi, che con effetto detti Prelati cessino ogni via di fatto, e di violenza contro detti Osservanti: ma se pretendono cos'alcuna, propongano le loro ragioni avanti Giudici competenti. Il medesimo Conte in detto anno scrive al Capitano di Cariati, dicendogli, che li giorni passati essendo stato spedito dal S. C. un editto, giusta la forma de' Capitoli del Regno, a favore di Tommaso Assagno Paleologo, il qual dicea essere stato turbato dal Vescovo di Cariati sopra la possessione del Casale di Belvedere, e territorj di Malapezza; dovendosi quello affiggere nelle porte della maggior Chiesa di Cariati, ed essendo ivi apparecchiato l'Algozino con l'editto in mano, ed il Giudice, Notajo e Testimonj per far l'atto dell'affissione; il Vicario del Vescovo colla maggior parte del Clero uscendo della Chiesa, levarono l'editto da mano dell'Algozino, e lo stracciarono, maltrattandolo insieme col Notajo, non senza grave offesa della dignità del S. C. comanda perciò al suddetto Capitano, che ordini al detto Vicario, ed a que' Preti, che v'intervennero, che fra quindici giorni debbiano venire in Napoli a presentarsi avanti il Vicerè, e non mai partire senz'espressa sua licenza.

      Nell'anno 1574 Decio Caracciolo Abate della regal Cappella, ed Abadia di S. Pietro a Corte di Salerno, avendo dimandato al Vicerè esser conservato, e mantenuto nel quasi possesso d'esercitare alcune sue giurisdizioni spirituali e temporali, che teneva in detta Badia, nel quale era turbato dall'Arcivescovo di Salerno, che pretendeva di fatto spogliarlo di quelle; fu commesso l'affare al Regio Cappellan Maggiore, che provvedesse servata la forma di questi Capitoli, avanti del quale, speditosi il solito editto, comparve l'Arcivescovo, e formatosi processo, fu l'Abate mantenuto nella possessione delle giurisdizioni di detta sua Chiesa.

      Nel 1593 avendo Giovanni Alfonso, Ferrante, ed altri della famiglia Buonuomo della città di Pozzuoli esposto al Vicerè, che tenendo essi nella maggior Chiesa una Cappella con un Sepolcro antico di loro Antenati, il Vescovo di Pozzuoli di fatto, e di notte avea fatto diroccare e levar detto sepolcro; dimandarono, che siccome di fatto s'era levato, così fosse riposto, e conservati nella possessione, nella quale erano. Fu il negozio dal Vicerè rimesso al Cappellan Maggiore, il quale, servata la forma di questi Capitoli, spedì il solito editto; ed ancorchè il Vescovo di quest'editto n'avesse avuto ricorso in Roma, e dalla Congregazione de' Cardinali fosse spedita lettera al Nunzio in Napoli, che facesse ordine al Cappellan Maggiore, che sotto pena di scomunica rivocasse l'editto, e che non tollerasse questa pratica, come pregiudiziale alla giurisdizione ecclesiastica, nulladimanco dal Cappellano Maggiore, e dal Collateral Consiglio fu fatta consulta al Vicerè insinuandogli, che non dovesse tener conto delle pretensioni di Roma, essendo l'osservanza di questi Capitoli antichissima nel Regno, e fondati a somma giustizia, per evitare gli spogli e le violenze.

      Nel corso d'un altro secolo appresso, insino a' dì nostri, s'è tenuto questo stile sempre per fermo e costante, e gli Archivj del S. C. sono pieni d'innumerabili processi fabbricati sopra l'osservanza de' medesimi: tanto che oggi presso noi questa osservanza non riceve più contrasto, nè ammette più dubbio o difficoltà alcuna.

      CAPITOLO V

Delle quattro Lettere Arbitrarie

      Fra' capitoli del Re Roberto, non sono meno celebri i Conservatori regj, che le quattro Lettere Arbitrarie: riconoscono per Autore anch'elle questo savio Principe, il quale usando ora rigore, ora clemenza, secondochè la quiete e tranquillità del suo Regno richiedevano, le drizzava alli Giustizieri delle province. Ne leggiamo ancora un'altra diretta a Giovanni di Haya Maestro Giustiziero e Reggente della Corte della Vicaria, la quale in alcuni esemplari va sotto la rubrica: Litera arbitralis; in altri sotto il titolo: De Praeminentia M. C. Vicariae, e comincia: Si cum sceleratis. Quest'ultima, come quella che contiene le grandi prerogative che furono solamente concedute al Gran Giustiziero e suo Tribunale, e non agli altri Giustizieri delle province, come di procedere contro i disrobatori di strade, omicidi, ladri, famosi ladroni ed altri, per loro gravi ed infami delitti, senza accusa e senz'ordine; e di poter procedere col solo processo informativo alla tortura de' rei (prerogativa, che unicamente s'appartiene al Tribunal della Vicaria): ciò che non essendo stato ad altri conceduto, siccome furono le altre quattro lettere arbitrali drizzate a' Giustizieri delle province; quindi avvenne, che questa non si annoverasse tra le quattro, ma la facessero passare sotto il titolo de Praeminentia M. C. Vicariae. Girolamo Calà45 nel Trattato che compilò sopra questo soggetto, credette che tal prerogativa non dal Re Roberto fosse stata data a questo Tribunale, ma che prima l'avea già avuta da Carlo II suo padre per lo capitolo in accusatis; e che per questo capitolo si cum sceleratis, da Roberto le fosse stata tolta più tosto che conceduta, vedendosi essere stato quello drizzato a Giovanni di Haya, a cui unicamente fu conceduto tal arbitrio per le sue particolari ed eminenti virtù di fede, di giustizia e di zelo, e d'odio contro gli scellerati: dice però che da Roberto fu restituita tal preminenza a questo Tribunale per lo Capitolo juris censura, e per l'altro provisa juris sanctio. Ma non bisogna allontanarsi da quel che sentirono gli altri nostri Scrittori regnicoli, essere stata tal autorità ed arbitrio conceduto da Roberto a Giovanni, non già per le sue particolari virtù, ma come Gran Giustiziero della G. C. della Vicaria, per cui venne comunicata al suo Tribunale. Assai più s'ingannò quest'Autore, quando scrisse, che da Roberto le fosse stata restituita tal preminenza per li Capitoli juris censura, e provisa juris sanctio, come se quelle lettere fossero state drizzate al Gran Giustiziero di quel Tribunale. Il Capitolo juris censura, come si vedrà più innanzi, fu drizzato al Capitano di Napoli, Ufficiale, come si è detto, ch'era allora affatto diverso, e distinto dal Giustiziere della Vicaria: e l'altro conviene a tutti i Giustizieri delle province, non già unicamente al Giustiziere della G. C.

      Furono chiamate Lettere Arbitrarie, non solo perchè Roberto le concedè rivocabili a suo volere e beneplacito; ma anche perchè si commetteva all'arbitrio degli Ufficiali di procedere ne' delitti in ogni tempo, o con tortura o senza, o con accusa, o per inquisizione, ovvero con composizione, usando clemenza, o con imporre le pene stabilite dalle leggi, usando rigore. Una di queste lettere porta perciò il titolo: De Arbitrio concesso Officialibus. L'altra, de Componendo, et Commutatione poenarum. La terza, Quod latrones, disrobatores stratarum, et piratae omni tempore torqueri possunt; e l'altra, de non procedendo ex officio, nisi in certis casibus, et ad tempus. Quella che fu drizzata a Giovanni di Haya pure fu detta Lettera Arbitrale; perchè nella fine si leggono queste parole: In his enim tibi plenam potestatem meri, et mixti Imperii, ac arbitrium competens duximus concedendum. È da credere che fosse stata dettata da Bartolommeo di Capua, come quella, che porta la data del 1313, quinto anno del Regno di Roberto.

      Fabio Montelione da Girace in quel suo ridicolo Commento, che fece nell'anno 1555 sopra queste quattro Lettere Arbitrarie, dedicato da lui a Carlo Spinelli I, Duca di Seminara, portò opinione, che la prima lettera arbitrale fosse quella, che tra' capitoli del Regno leggiamo sotto la rubrica De non procedendo ex officio, ec. la qual comincia: Ne tuorum: ma se deve attendersi l'ordine de' tempi, dovrà quella riputarsi l'ultima, non la prima. Fu questa istromentata per Giovanni Grillo Viceprotonotario del Regno, dopo la morte di Bartolommeo di Capua, nel 1329 ventesimo primo anno del Regno di Roberto, come porta la sua data; la quale deve correggersi, ed in vece di Regnorum nostrorum anno 20 deve leggersi anno 21. In questa si dà arbitrio e potestà a' Presidi e Capitani di poter procedere ex officio in alcuni delitti, senza querela, o accusazione, cioè in tutti quelli, dove dalle leggi vien imposta pena di morte civile o naturale,


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Calà de Praemin. M. C. V. cap. 2.