Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7. Giannone Pietro
tanti Regali di Napoli s'aggiungeva ancora la famiglia del Duca di Calabria, il quale casato, come si è detto, con Ippolita Sforza figliola del Duca di Milano, avrà con lei procreati tre figliuoli, Ferdinando primogenito, che poi gli successe nel Regno, Pietro ed Isabella; ma Pietro premorì non meno al padre, che all'avo, e Isabella fu data in moglie a Giovanni Galeazzo figliuolo di Galeazzo Duca di Milano, il quale morto il padre fu sotto il baliato e tutela di Lodovico suo zio: quegli, che, come si dirà, pose in Italia tanti incendj, e fu cagione di tante rivoluzioni e disordini. La Casa regale di Napoli non avea in questi tempi da invidiare qualunque Corte de' maggiori Principi d'Europa; e narra Camillo Tutini, deplorando la sua infelicità nel supplemento della varietà della fortuna di Tristano Caracciolo, che un giorno in un festino celebrato in Napoli comparvero più di cinquanta persone di questa famiglia, tal che non si credea che si potesse estinguer mai; ed era sostenuta colla maggior splendidezza e magnificenza, così nelle congiunture delle celebrità, che si facevano per tante nozze ed incoronazioni, come per riguardo di tante Corti, che questi Reali tenevano e per tanti Ufficiali maggiori e minori della Casa e dell'ostello regale, li quali con molto fasto, mentre fu Napoli Sede Regia, si mantennero.
Non solo fu mantenuto il fasto e lo splendore della Casa regale, ma Ferdinando volle anche ristabilire nel Regno gli Ufficiali della Corona, i di cui uficj esercitati per la maggior parte da que' ribelli Baroni, che egli avea spenti, eran per le precedute rivoluzioni e disordini, rimasi vacanti. Per la morte del Principe di Taranto, dovendosi provvedere l'uficio di Gran Contestabile, egli n'investì Francesco del Balzo Duca di Andria. Vacando ancora per la ruina del Principe di Rossano il G. Ammirante, lo diede a Roberto Sanseverino Principe di Salerno. Per la ribellione di Ruggiero Acclocciamuro fece G. Giustiziere Antonio Piccolomini Duca d'Amalfi e Conte di Celano. Elesse per G. Protonotario Onorato Gaetano Conte di Fondi: per G. Camerario Girolamo Sanseverino Principe di Bisignano: per G. Cancelliere Giacomo Caracciolo Conte di Brienza e per G. Siniscalco D. Pietro di Guevara Marchese del Vasto. Questi Ufficiali durante il Regno degli Aragonesi erano nell'antico loro splendore e preminenza; anzi si videro ora più rilucere, quanto che Ferdinando non avea altri Stati e perciò proccurava ingrandire le loro prerogative per porre in maggior lustro il suo unico Regno.
Ancorchè questo Principe fosse stato terribile coi suoi Baroni per le precedute ribellioni, e s'avesse perciò acquistato nome di crudele e d'inumano; nientedimeno non tralasciava per acquistar benevolenza presso i suoi aderenti di innalzarli con onori e dignità. Accrebbe per ciò il numero de' Titoli e di Conti sopra ogni altro, creandone molti, come nel 1467 fece con Matteo di Capua, che lo creò Conte di Falena, con Scipione Pandone, facendolo Conte di Venafro, con D. Ferrante Guevara, che lo creò Conte di Belcastro e con tanti altri; ond'è che accrebbe il numero de' Titoli nel Regno assai più, che non fece il Re Alfonso, siccome si vede chiaro dal catalogo, che ne tessè il Summonte, numeroso assai più degli altri, così ne' tempi d'Alfonso, come degli altri Re angioini suoi predecessori.
Egli ancora, come si disse, fra gli altri Ordini di Cavalleria istituì nel Regno un nuovo Ordine, chiamato dell'Armellino di cui soleva molti ornare. L'istituì per le gare ch'ebbe col Principe di Rossano, il quale, come s'è detto essendosi dato alla parte del Duca Giovanni d'Angiò, non potendo colla forza vincere il nemico, rivoltossi agl'inganni, ed a' tradimenti, perchè nell'istesso tempo che, per via di nuove parentele col Re, erasi con lui pacificato e mostrava aver lasciato il partito di Giovanni, ordinò contro al Re nuovi trattati col Duca: di che accortosi Ferdinando lo fece pigliare, e mandato prigione a Capua, lo fece poi condurre a Napoli. Molti consigliavano il Re, che lo facesse morire; ma non vi consentì Ferdinando, dicendo, che non era giusto tingersi le mani nel sangue di un suo cognato, ancorchè traditore. Volendo poscia dichiarar questo suo generoso pensiero di clemenza, figurò un armellino, il qual pregia tanto il candor della sua politezza, che più tosto da' cacciatori si fa prendere, che imbrattarsi di fango, che coloro sogliono spargere intorno alla sua tana per pigliarlo. Si portava per ciò dal Re una collana ornata di gemme e d'oro coll'Armellino pendente, cui motto: Malo mori, quam foedari. Per opporsi al Duca Giovanni ed alla sua Compagnia de' Cavalieri detta de' Crescenti, istituì perciò egli quest'altra detta dell'Armellino, ornando di questa collana molti, facendogli Cavalieri; ed il Pigna20 rapporta che fra gli altri, fece di questa Compagnia Ercole da Este Duca di Ferrara suo genero, al quale per Giovan Antonio Caraffa Cavalier napoletano mandò una di queste collane.
Oltre d'aver Ferdinando in tante maniere illustrato il Regno, come Principe provido ed amante dell'abbondanza e delle ricchezze de' suoi sudditi, egli facilitò i traffichi a' mercatanti, ed agevolò il commercio in tutte le parti non meno d'Occidente che d'Oriente; ma sopra tutto (di che Napoli deve confessar molto obbligo a questo Principe, e porre per una delle cagioni della sua grandezza, ed accrescimento de' suoi cittadini e delle ricchezze) fu l'avervi introdotte ed accresciute molte arti, e particolarmente l'arte di lavorar seta e tessere drappi e broccati d'oro.
Erasi quest'arte cominciata già ad introdursi in molte città d'Italia, ond'egli dopo la morte della Regina Isabella sua moglie nel 1456 pensò introdurla anche in Napoli, e fattosi da diversi luoghi chiamare più periti di quella, finalmente scelse Marino di Cataponte veneziano di quest'arte sperimentato maestro, il quale ricevuti dal Re in prestanza mille scudi per servirsene per lavorare, fece qui tessere drappi di seta e d'oro: e per maggiormente accrescerla fece franco ed immune d'ogni dogana e gabella tutto ciò che serviva per questo lavoro, concedendo che la seta, oro filato e la grana, ed ogni altra cosa bisognevole per servizio di quest'arte tanto per tingere quanto per tessere e far broccati e tele d'oro fosse esente da ogni pagamento21. Di vantaggio stabilì, che i lavoratori di quelli dovessero esser trattati e reputati in tutto come Napoletani: che nelle loro cause tanto civili, quanto criminali non possano essere riconosciuti da niuno Tribunale o Ufficiale, eccetto che da' loro Consoli: che tutti quelli di qualunque nazione si fossero, che in Napoli venissero ad esercitar quest'arte siano guidati ed assicurati e franchi e liberi da ogni commesso delitto, nè da altri potessero essere riconosciuti se non da' loro Consoli: che tutti coloro, che vorranno fare esercitare, o eserciteranno quest'arte, siano mercatanti, maestri, scolari o ajutanti, si debbano far scrivere nella matricola, o sia libro della lor arte, nel quale scritti che saranno, debbano godere di tutti i privilegi e capitoli conceduti o che si concederanno dal Re e suoi successori nel Regno: che in ogni anno nel dì di S. Giorgio, assembrati, dovessero eleggere tre Consoli per lo reggimento e governo di quella, i quali ogni Sabato dovessero tener ragione con amministrar loro giustizia. Molti altri privilegi furono da Ferdinando conceduti a quest'arte ed a Marino Cataponte. Altri ancora ne concedè a Francesco di Nerone fiorentino, al quale promise pagargli ducati trecento l'anno di provisione, acciò assistesse e la esercitasse in Napoli. Altri a Pietro de Conversi genovese, ed altri a Girolamo di Goriante pur fiorentino22. Li successori Re parimente nobilitarono quest'arte con nuove altre prerogative, tanto che si eresse perciò in Napoli un nuovo Tribunale, che si chiama della nobil arte della seta. Lo compongono i Consoli, il Giudice, ovvero loro Assessore e l'Avvocato fiscale di Vicaria vi puol anche intervenire23. Da' suoi decreti non dassi appellazione, se non al S. C. dove il Giudice fa le relazioni stando in piedi e con capo scoverto, nè se gli dà titolo di Magnifico, come rapporta il Tassoni nel suo universale magazzino.
Non è da tralasciare ciò che ponderò il Summonte24 nella sua istoria di Napoli scritta, come ogni un sa, sono più che cento anni, che per quest'arte fu cotanto accresciuta Napoli e nobilitato il Regno, che concorrendo da tutte le parti molti a professarla, ed i naturali dandosi a quella, si vide la città accresciuta d'abitatori, e vivere la metà degli abitanti col guadagno d'essa, venendovi non pure dalle città e Terre convicine del Regno, ma anche intere famiglie da diverse parti d'Europa, tanto che a' suoi tempi, e' dice, che avea preso tanta forza, che per ciò la città si vide ampliata ed ingrandita forse un terzo più, che non era.
Così scrive quest'Autore quando i lussi e le pompe non erano arrivate a quella grandezza ed estremità, che abbiam veduto a' tempi nostri dopo un secolo e più ch'e' scrisse. Ora le cose sono ridotte al sommo e non vi è picciola donnicciuola, o vil contadino o artigiano, che non vestano di seta, quando ai tempi di questi Re d'Aragona, come ce n'è buon testimonio il Consigliere Matteo d'Afflitto, gli abiti serici
20
Pigna lib. 8. Hist. della fam. d'Este. Eugen. disc de' Cav.
21
V. Franchis decis. 722 num. 17 et 18.
22
V. Tasson. de Antefat. vers. 3 obs 3 nu. 30.
23
Franchis decis. 679.
24
Summ. tom. 3 pag. 451.