Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7. Giannone Pietro
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Non pure quest'arte introdusse Ferdinando fra noi, ma pochi anni appresso, nel 1480, v'introdusse l'arte della lana e quasi gl'istessi privilegi concedè a' suoi Consoli. Volle che i professori si scrivessero nella matricola e che non fossero riconosciuti se non da' Consoli26. Surse per ciò un altro Tribunale, detto dell'arte della lana, che si compone di Consoli e loro Giudice ovvero Assessore; ed ove, sempre che voglia, può intervenire l'Avvocato fiscale di Vicaria. Parimente da' suoi decreti non s'appella, che nel S. C. ove si fanno le relazioni, e tiene molta conformità col Tribunale della nobil arte della seta.
Parimente negli anni 1458 e 1474 innalzò Ferdinando l'arte degli Orafi, istituendo il lor Consolato, a cui diede la facoltà d'aver cura de' difetti, che si commettessero nell'arte27 e prescrisse il modo e la norma per evitar le frodi; ed ugual vigilanza praticò in tutte le altre arti, perchè maggiormente fiorissero, e le fraudi si togliessero.
CAPITOLO IV
Come si fosse introdotta in Napoli l'arte della stampa e suo incremento. Come da ciò ne nascesse la proibizione de' libri, ovvero la licenza per istampargli; e quali abusi si fossero introdotti, così intorno alla proibizione, come intorno alla revisione de' medesimi
Ma quello di che Napoli e 'l Regno, e tutti gli uomini di lettere devono più lodarsi di questo Principe, fu d'essere stato egli il primo che introdusse in Napoli l'arte della stampa. Ferdinando fu un Principe non pur amante delle lettere, ma fu egli ancora letteratissimo; onde è, che nel suo Regno fiorissero tanti letterati in ogni professione, come diremo. Erasi l'arte dello stampare trovata nel principio di questo secolo verso l'anno 1428. Ma se deve prestarsi fede a Polidoro Virgilio, fu inventata nel 1451 da Giovanni Gutimbergo Germano, il quale in Erlem città d'Olanda cominciò ad introdurla. Si divolgò poi nelle città di Germania e nella vicina Francia. Due fratelli alemani, secondo scrive il Volaterrano, la portarono in Italia nell'anno 1458; uno andò in Venezia, l'altro in Roma, ed i primi libri che si stamparono in Roma, furono quelli di S. Agostino De Civitate Dei, e le Divine Istituzioni di Lattanzio Firmiano. Non guari da poi fu fatta introdurre in Napoli dal Re Ferdinando. Il Passaro narra, che nell'anno 1473 Arnaldo di Brassel Fiammengo la portasse, il quale accolto dal Re con molti segni di stima, gli concedè molte prerogative e franchigie. Altri rapportano che nell'anno 1471 fra noi l'introducesse un Sacerdote d'Argentina chiamato Sisto Rusingeno28. Che che ne sia, Ferdinando accolse i professori, e fece porre in opra la loro arte, onde s'incominciarono in Napoli a stampar libri. Fra i primi libri che qui s'imprimessero, furono i Commentarj sopra il secondo libro del Codice del famoso Antonio d'Alessandro; ed i libri di Angelo Catone di Supino, Lettor pubblico di Filosofia in Napoli, e Medico del Re Ferrante, il quale avendo emendato ed accresciuto il libro delle Pandette della medicina di Matteo Silvatico di Salerno dedicato al Re Roberto, lo fece stampare in Napoli nel 1474 da questo tedesco, che poco prima avea quivi da Germania portata la stampa29. Indi di mano in mano se ne stamparono degli altri, come l'opere d'Anello Arcamone sopra le Costituzioni del Regno e di tanti altri.
(Di queste prime stampe fatte in Napoli non se ne dimenticò l'Autore degli Annali Tipografici, rapportandole alla pag. 454).
Venne poi Carlo VIII in Italia ed avendo conquistato il Regno di Napoli, dimorando qui per sei mesi, quanto appunto lo tenne, alcuni Maestri francesi esperti in quest'arte subito vi si condussero e la ripulirono assai, riducendola in miglior forma, e rimase non così rozza com'era prima. Così tratto tratto, come suole avvenire di tutte le altre arti, si ridusse fra noi in forma più nobile, siccome si vede dall'impressione di alcuni libri fatti a questi tempi e fra gli altri dell'Arcadia del Sannazaro, che Pietro Summonte suo amico, mentre l'Autore seguendo la fortuna del Re Federico suo Signore dimorava in Francia, essendosi in Venezia due volte stampata piena d'errori e scorrettissima, la fece ristampare in Napoli in carta finissima e di buoni caratteri; e pure il Summonte si scusava col Cardinal d'Aragona a cui la dedicò, se la stampa non era di quella bellezza, la qual altra volta vi solea essere, e secondo per l'altre più quiete città d'Italia si costumava allora; poichè trovandosi Napoli per le rivoluzioni di guerra difformata, appena avea potuto avere comodità di quel carattere.
Ma venuto da poi in Napoli l'Imperador Carlo V ai conforti ed istanze del famoso Agostino Nifo da Sessa celebre Filosofo e Medico dell'Imperadore e suo famigliare, fu questa arte favorita molto più, e posta in maggior polizia e nettezza; poichè questo Imperadore nel 1536 concedè alla medesima, ed a' suoi professori grandi privilegi e franchigie, facendogli esenti da qualunque gabella, dogana o altro pagamento, tanto per la carta bianca che serve per la stampa de' libri e figure, quanto per tutte quelle cose che bisognano a perfezionarla; del qual privilegio, oltre il Summonte30, ne rendono testimonianza fra' nostri Scrittori, Toro31 ed il Consigliere Altimari32. Tanto che per li favori di questo Principe s'accrebbero in Napoli le stamperie: ed i letterati, vedendosi cotanto favoriti, s'ingegnarono mandare i parti de' loro ingegni in istampa; ed imprimendosi i libri degli Antichi, che prima scritti a penna, ed in membrane erano rari e non per tutti, recò ad essi grandissimo giovamento, non solo per aver libri con facilità, ma anche ben corretti. Quindi si videro fiorire per l'Accademie e crescer il numero de' letterati non solo in Napoli, ma nelle altre città del Regno, ove furon ancora introdotte le stamperie, come nell'Aquila, in Lecce, in Cosenza, in Bari, in Benevento ed in alcune altre. E l'edizioni riuscivan perfettissime in carte finissime e d'ottimi caratteri, come si può vedere da alcuni libri stampati in quei tempi, e fra gli altri dalle poesie di Bernardino Rota, dall'opere legali di Cesare Costa Arcivescovo di Capua e di tante altre, delle cui prime edizioni se ne veggono moltissime nella libreria di S. Domenico Maggiore di questa città.
Siccome la invenzione di quest'arte fu riputata a questi tempi la più utile e necessaria per lo commercio delle lettere, così ancora ne' susseguenti tempi venne ad apportarci danno; poichè gli uomini dati alla lezione di tanti libri che uscivano, caricavano sì bene la lor memoria d'infinite erudizioni, ma la riflessione mancava; onde non si videro, se non rari uomini di ingegno grande, e che facendo buon uso de' loro talenti, avessero potuto per se medesimi stendere le cognizioni e le scienze. Ancora presso di noi, nel precedente secolo, cominciò a recarci degli altri incomodi e delle confusioni: poichè tutti pretendendo esser dotti e savj, vedendo la facilità della stampa e la poca spesa che vi bisognava, venne uno stimolo universale agli uomini di lettere di stampar ciò che loro usciva di capo di penna in qualunque professione: onde nel secolo 17 si videro in istampa infiniti volumi impressi per la maggior parte da' Frati e da' Legisti, per lo più insipidi e pieni di cose vane ed inutili. Gli Stampatori davano loro fomento, e fecero, per non isgomentargli della spesa, fabbricar una carta d'inferior qualità, della quale regolarmente si servivano nella impressione de' loro libri, che poi chiamarono carta di stampa. Ma perciò non si tralasciarono da' più culti le edizioni in carte finissime e di ottimi caratteri. Tanto ha bastato all'avidità ed ingordigia de' pubblicani de' nostri tempi, che con tutto che l'Imperador Carlo V avesse conceduto privilegio di franchigia agli Stampatori per la carta bianca che dovea lor servire per uso di stampa, di pretendere che questa franchigia di dogana e d'ogni altra gabella dovesse ristringersi per la carta di stampa, non già ad altre carte di miglior qualità: quasichè in queste non si potesse stampare, ovvero prima d'introdursi questa diversità di carte, non si fosse stampato in carta finissima, ed in tutti i tempi dai più culti letterati non si fosse quella adoperata.
§. I. Abusi intorno alle licenze di stampare e di proibire i libri
Il buon uso della stampa, che produsse al Mondo tanti comodi ed utilità, per la pravità degli Autori, e per la facilità e prontezza che molti aveano di pubblicare ciò che loro usciva dalla penna, si converti da poi in un altro mal uso. L'eresia di Lutero che sparsa per la Germania minacciava le altre parti di Europa, per questa via della stampa si disseminava per varj libri: onde bisognò che i Principi vi ponessero occhio, e regolassero colle loro leggi l'uso di quella. I Pontefici romani vi badarono assai più e con maggiore oculatezza, come quelli che colla libertà della stampa potevano
26
Franchis decis. 722 nu. 28 et decis. 679. Tassone de Antefato, vers. 3 obs. 3 num. 305
27
V. Tasson. de Antef. pers. 3 obs. 3 num. 389.
28
Tom. Bozio de Sign. Ecl. cap. 5 sig. 93. Rocca de Typogr. etc. rapportati dal Sum. pag. 488 tom. 3.
29
Topp. Biblioth. Neap. fol. 17.
30
Summon. tom. 3 pag. 438.
31
Toro in Suppl. Comp. decis. ver. libri.
32
Altimar. ad Cons. Rovit. tom. 3 obs. 8 n. 29 et 31.