Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7 - Giannone Pietro


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nacque che poi i Vescovi quando volevano stampare i loro Sinodi, i loro editti, insino i calendarj circa l'osservanza delle loro diocesi, anche i Brevi dell'indulgenze concedute dal Papa alle loro chiese e cose simili, ricorrevano al Vicerè e suo collateral Consiglio per la licenza. Così leggiamo, che volendo l'Arcivescovo di Napoli Annibale di Capua stampar un Concilio provinciale, cercò licenza di farlo, e dal Collaterale, a primo febbrajo del 1580, gli fu data con riserba, che se in quello vi era alcuna cosa contro la regal giurisdizione, si avesse per non data nè consentito a quella in modo alcuno. L'Arcivescovo di Capua per mezzo del suo Vicario chiese il permesso di poter far stampare un nuovo Calendario circa l'osservanza delle feste della sua Diocesi, e rimessane la revisione al Cappellan maggiore, questi a' 5 novembre del 1582 fece relazione al Vicerè, che poteva darsi la licenza. Il Vescovo d'Avellino dimandò l'Exequatur Regium e la licenza di poter far stampare un Breve d'indulgenze concedute dal Papa alla sua Chiesa nel dì di S. Modestino, e commessosi l'affare al Cappellan maggiore, questi a' 26 aprile del 1577 fece relazione al Vicerè che potevasi dare l'Exequatur al Breve e la licenza di stamparlo42. Ciò che poi si è inviolabilmente osservato, sempre che i Ministri del Re han voluto adempire alla loro obbligazione ed aver zelo del servigio del loro Signore.

      §. II. Abusi intorno alle proibizioni de' libri che si fanno in Roma, le quali si pretendono doversi ciecamente ubbidire

      Bisognò ancora rintuzzare un'altra pretensione della Corte di Roma intorno a quest'istesso soggetto della proibizion de' libri. Pretendevano, che a chiusi occhi i Principi cristiani dovessero far valere ne' loro dominj tutti i decreti che si profferivano in Roma dalle Congregazioni del S. Ufficio o dell'Indice, per li quali venivano i libri proibiti, e che non stassero soggetti questi decreti a' loro Regj placiti, onde dovessero da noi eseguirsi, senza bisogno d'Exequatur Regium. Della cui necessità e giustizia, sarà da noi diffusamente trattato ne' seguenti libri di quest'Istoria.

      Ma non meno in Francia che in Ispagna, in Germania, Fiandra ed in tutti gli altri Stati de' Principi cattolici, che nel nostro reame (sempre che s'abbia voluto usare la debita vigilanza) fu lor ciò contrastato, e come ad un attentato pregiudizialissimo alla sovranità de' Principi, se gli fece valida l'esistenza; tanto che siccome tutte le Bolle, rescritti ed altre provisioni che vengono di Roma, non si permettono, che si pubblichino e si ricevano senza il placito Regio; così ancora i decreti fatti sopra la proibizione de' libri soggiacciano al medesimo esame. Anzi se mai i Principi ed i loro Ministri devono usar vigilanza nelle altre scritture che vengono di Roma, in questi decreti devono usarla maggiore; così perchè si sa la maniera, come in Roma i libri si proibiscono, come ancora il fine perchè si proscrivono, ed i disordini e scandali che potrebbero cagionare ne' loro dominj, se si lasciassero correre a chiusi occhi.

      Si sa che i Cardinali che compongono queste due Congregazioni onde escono tali decreti, non esaminano essi i libri: alcuni per la loro insufficienza, altri perchè distratti in occupazioni riputate da essi di maggiore importanza, non possono attendere a queste cose, e molto meno il Papa, da chi sarebbe impertinenza il pretenderlo. Essi commettono l'esame ad alcuni Teologi che chiamano Consultori, ovvero Qualificatori, per lo più Frati, i quali secondo i pregiudicj delle loro scuole regolano le censure. Ciò, che non consente colle loro massime, riputano novità, e come opinioni ereticali le condannano. I Casuisti, che s'han fatta una morale a lor modo, giudicano pure secondo que' loro principj. Ma il maggior pregiudicio nasce quando si commette l'affare a' Curiali istessi ed agli Ufficiali e Prelati di questa Corte per esaminar libri attenenti a cose giurisdizionali; può da se ciascun comprendere, quanto in ciò prevaglia l'adulazione in ingrandire l'ecclesiastica e deprimere la temporale. Si sa quanto da costoro s'estolle sopramodo l'autorità del romano Pontefice sopra tutti i Principi della terra, insino a dire che il Papa può tutto, e la sua volontà è norma e legge in tutte le cose: che i Principi ed i Magistrati siano invenzioni umane; e che convenga ubbidir loro solamente per la forza; onde il contraffar le loro leggi, il fraudar le gabelle e le pubbliche entrate, non sia cosa peccaminosa, ma solo gli obbliga alla pena, la quale o colla fuga o colla frode non soddisfacendosi, non per ciò restano gli uomini rei innanzi la Maestà Divina, compensandosi col pericolo che si corre: ma per contrario, che ogni cenno degli Ecclesiastici, senza pensar altro, debbia esser preso per precetto divino ed obblighi la coscienza. Sono tanti arghi e molto solleciti e vigilanti, perchè non si divulghi cosa contraria a queste loro mal concepite opinioni. Ed è ormai a tutti per lunga esperienza noto, che la Corte di Roma a niente altro bada più sollecitamente che di proscrivere tutti i libri che sostenendo le ragioni de' Principi, i loro privilegj, gli statuti, le consuetudini de' luoghi e le ragioni de' loro sudditi, contrastano queste nuove loro massime e perniziose dottrine.

      Fatte che hanno questi qualificatori le censure le portano a' Cardinali, i quali senza esaminarle in conformità di quelle condannano i libri. E lo stile d'oggi in formar tali decreti è pur troppo grazioso: si condanna semplicemente il libro, senza censura e senza esprimersi o designarsi niuno particolar errore, che avrebbe forse potuto dar occasione alla proibizione; ma generalmente come continente proposizioni ereticali, scismatiche, erronee contro i buoni costumi, offendenti le pie orecchie e cose simili, e senza impegnarsi a spiegare quali siano l'ereticali, l'erronee etc. se ne liberano con una parola respective, lasciando l'autore ed i lettori nell'istessa incertezza ed oscurità di prima. L'esperienza ha poi mostrato, che per queste sorti di proibizioni ne siano nate presso i Teologi stessi gravi contrasti, li quali sovente han perturbato lo Stato, perchè accaniti i Frati di opinione contraria, non han mai finite le risse e le contese.

      Parimente a questi decreti sogliono andar congiunte alcune clausole penali contro i lettori e detentori dei vietati libri che sovente toccano la temporalità de' sudditi o conturbano i privilegj ed i costumi delle province. Sovente per alcuni errori che si trovano sparsi in un libro, che a' Professori ed alla Repubblica sarà utilissimo, si proibisce interamente il libro; onde lo Stato viene a riceverne incomodo e danno.

      Per tutte queste ed altre ragioni, non meno i più saggi Teologi43, che la pratica inconcussa di tutte le province d'Europa, han fatto vedere che si appartenga al Principe, non meno che fassi nell'altre provisioni che vengono da Roma, d'invigilare sopra questi decreti. Qualunque decreto che venga da Roma da queste Congregazioni o editto che si faccia dal Maestro del Sagro Palazzo, onde vengono i libri vietati, non è stato mai esente dal placito regio ma fu sempre sottoposto ad esame: siccome lo stile di tutte le province cristiane il quale ebbe il suo principio, sin che da Roma cominciarono ad uscire queste proibizioni, lo dimostra. E ben si vide praticato nell'Indice stesso volgarmente detto Tridentino, fatto compilare dal Pontefice Pio IV poco da poi terminato il Concilio.

      Secondo l'antica disciplina della Chiesa, la censura de' libri s'apparteneva a Concilj, siccome il Concilio Niceno, Efesino e di Calcedonia fecero de' libri d'Arrio, di Nestorio e d'Eutiche. Volendo i PP. del Concilio di Trento seguitare le medesime pedate, da poi che quello fu ripigliato sotto il Pontefice Pio IV, proposero in una Congregazione tenuta in Trento a' 26 gennaio del 1562 che dovessero esaminarsi i libri dati fuori dopo l'eresie nate in Germania ed altrove, e sottoporsi alla censura del Concilio, acciò che determinasse quello, che gli parrebbe: fu conchiuso, che si commettesse ad alcuni PP. la cura di farne Catalogo, ovvero Indice di quelli e de' loro Autori; siccome da' Presidenti di esso fu data la commessione a diciotto Padri, a' quali poi con decreto del Concilio fu incaricato, che diligentemente esaminassero i libri riferendo poi al Sinodo ciò che aveano notato, per darvi providenza44. Essendosi da poi affrettata la conchiusione del Concilio, di quest'affare dell'Indice non se ne trattò altro, ma solamente nell'ultimo giorno che quello ebbe fine, essendosi letto il decreto della sessione 18 fu risoluto, che non essendosi potuto dal Concilio porre a quest'affare l'ultima mano per tanta moltitudine e varietà di libri, ordinava per ciò che tutto quello, che i Padri destinati alla cura di quest'Indice avean fatto, che lo presentassero al Pontefice, dalla cui autorità e parere si determinasse l'Indice e fosse divulgato.

      In conformità di ciò, essendosi disciolto il Sinodo fu da que' Padri presentato al Pontefice Pio IV un Indice, ove aveano notati gli Autori ed i libri, che riputavano doversi proscrivere. Il Pontefice, come egli testimonia nella sua Bolla pubblicata per ciò in forma di Breve, che incomincia: Dominici gregis,


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<p>42</p>

Chiocc. M. S. Giurisd. de Typogr. tom. 17.

<p>43</p>

Fra' quali è da vedersi Van-Espen de Promulgat. Ll. Eccl. par. 4 cap. 1 § 1, 2 et 3.

<p>44</p>

Decr. Conc. Trid. sess. 18.