Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7. Giannone Pietro
che per tutti i Regni d'Europa i Principi hanno invigilato soprammodo, che da Roma non si proscrivano libri che difendono la loro giurisdizione e le prerogative de' loro Popoli; e con tutto che fossero da quella Corte stati proibiti, non han fatta valere ne' loro Stati la proibizione, nè permesso che i decreti fossero ricevuti, tanto che senza scrupolo vengon letti, nè la proibizione curata; poichè hanno essi scoverto l'arcano di Roma, e quanto importa, che i loro sudditi non s'imbevino d'opinioni che ripugnano al buon governo.
Ne' Regni di Spagna, come si è detto, i decreti venuti di Roma, onde si proibiscono i libri che difendono l'autorità regia, sono ritenuti e si sospende l'esecuzione57.
In Francia la cosa è notissima, e tra le prove della libertà della Chiesa gallicana58, si legge un arringo fatto dall'Avvocato del Re Domenico Talon nel Consiglio regio, per occasione d'un consimile decreto emanato dalle Congregazioni del S. Ufficio e dell'Indice, dove fa vedere che simili decreti non debbono pubblicarsi, come pregiudizialissimi alla Corona ed allo Stato; ed avverte che far il contrario cagionerebbe gravi disordini; poichè da quelle Congregazioni tuttavia l'Indice proibitorio ed espurgatorio di libri si va accrescendo, ed alla giornata prende augumento, e si proscrivono libri in diminuzione delle Regalie del Re e libertà della Chiesa gallicana, siccome eransi avanzati di proibire sino agli Arresti del Parlamento contra Giovanni Castelli, l'opere dell'illustre Presidente, Tuano, le libertà della Chiesa gallicana ed altri Libri concernenti la persona del Re e la sua regal giurisdizione.
In Fiandra dal Consiglio di Brabante co' medesimi sensi ne fu avvertito l'Arciduca Leopoldo, a cui nel 1657 dirizzarono que' Consiglieri una Consulta, nella quale l'ammonirono, che trascurare questo punto sarebbe l'istesso che rovinar l'imperio; perchè già con lunga esperienza s'era veduto, che Roma non fa altro, che proscrivere que' libri che difendono la Regia autorità, tanto che ricevere quelli decreti senz'esame e senza il Placito Regio, è il medesimo che permettere che il Papa possa proscrivere ed interdire al Re di far editti o far imprimere libri o scritti, per li quali sono difese le ragioni sue regali e de' suoi vassalli. E confermando tutto ciò con esempj di fresco accaduti, gli raccordarono che intorno a quattro anni furono in Fiandra impressi due scritti, uno sotto il titolo: Jus Belgarum circa Bullarum receptionem; l'altro: Defensio Belgarum contra evocationes, et peregrina Judicia. In quelli non si toccava niun dogma o articolo di fede, ma unicamente si difendevano le ragioni di S. M. di non ammettersi Bolle senza il Placito Regio: ciò non ostante, erano stati da Roma con decreto Pontificio proscritti: tanto che bisognò che il Consiglio del Brabante con suo decreto facesse cassare ed annullare la proibizione, come si legge dell'arresto rapportato da Van-Espen nel suo Trattato De Placito Regio59.
Questa medesima vigilanza tennero anche un tempo i nostri Vicerè, e sopra tutti, come vedremo ne' seguenti libri di quest'Istoria, il Duca d'Alcalà: la tennero ancora il Conte di Benavente ed il Duca d'Alba, per la proibizione fatta a libri del Curte e d'Urries; ma ora par che in ciò siasi perduto quel vigore e zelo che si dovrebbe tenere del servigio Regio e del Pubblico; e siansi alquanto i Ministri del Re raffreddati in un punto cotanto importante: ciò che hammi mosso a far questa digressione. Non solo si veggono uscir da Roma libri pregiudizialissimi alle ragioni del Re e de' suoi vassalli, ma si permette che s'introducano nel Regno, e la loro lezione non è vietata; ma quello che merita più tosto riscotimento che ammirazione, è il vedersi che all'incontro si proibiscono in Roma ogni dì colla maggior facilità tutti i libri, ove si difendono, contro gli attentati di quella Corte, le ragioni del Re e delle Nazioni; e senza che i Decreti o Bolle siano qui ricevute, senza che vi s'interponga Regio Exequatur, che presso noi è per legge scritta indispensabile a tutte le provisioni che vengano da Roma, niuna eccettuata, si permette l'effetto, non si puniscono chi le osserva, e si crede il suddito peccare leggendogli contro il divieto di Roma, e non peccare rompendo la legge del Principe, per la quale queste provisioni, quando non siano avvalorate di Regio placito, si riputano nulle e di niun vigore, ed in effetto, è come se non vi fossero. E qual maggiore stupidezza fu quella ne' trascorsi anni tra noi usata, che contendendosi tra la Corte di Roma, e 'l nostro Re intorno a' Benefici che giustamente si pretendono doversi conferire a' Nazionali, ed il Principe l'avea con suo Editto comandato; appena uscite tre nobili Scritture, che difendevano l'Editto, e lo dimostravano conforme non meno alle leggi, che a' canoni, si videro tosto in Roma con particolar Bolla di Clemente XI proscritte e condannate alle fiamme, e noi taciti e cheti non farne alcun risentimento; ed all'incontro le contrarie girar attorno libere e franche, senza che si fosse lor dato il minimo impedimento? Anzi siam ridotti a tal vano timore, che non s'ardisce di dar alle stampe opere per altro utilissime, sol perchè si temono queste proscrizioni di Roma.
All'incontro non avviene così de' libri di Roma, che sono stampati e cento volte ristampati, e corrono sempre per le mani di tutti, donde la gente viene universalmente imbevuta di quelle opinioni pregiudizialissime all'autorità del Re ed alle ragioni de' Popoli. Forse altri dirà, non doversi di ciò molto curare, e non piatire in ogni passo per vane parole: non l'intende però così Roma. Sono parole sì, ma, come altri disse, parole che tirarono alle volte eserciti armati: parole che istillate continuamente agli orecchi dei Popoli, gli rendono persuasi di ciò che scrivono, onde nasce l'avversione, la contumacia e l'indocilità di non potergli poi più ridurre alla diritta via: condannano perciò nelle occasioni la parte del Principe, stimano noi miscredenti, e che si voglia colla forza solo sopraffargli. Empiono di false dottrine le coscienze degli uomini, e sovente pregiudizialissime allo Stato; onde nasce che si creda da alcuni potersi usar fraude ne' pagamenti de' dazj e delle gabelle; e se siano imposte senza licenza della Sede Appostolica, credono che non siano dovute, perchè così leggono nella Bolla in Coena Domini, e così ne' loro Casuisti e Teologi. Quindi s'apprendono i tanti alti concetti della potenza e giurisdizione ecclesiastica, ed all'incontro i tanto bassi della potestà del Principe60. Ma di ciò sia detto abbastanza e prendane chi può e deve di ciò cura e pensiero. Di questa mia qualsisia opera ben prevedo che l'abbia da intervenire lo stesso; ma io che, nè per odio, nè per altrui compiacenza ho intrapreso a scriverla, ma unicamente per amor della verità, e per giovare a coloro che vorranno prendersi la pena di leggerla, se ciò l'avverrà, rivolto al Signore che scorge i cuori di tutti ed a cui niente è nascoso, lo pregherò vivamente che la benedica egli, ed istilli negli altrui petti sensi di veracità e d'amore.
CAPITOLO V
Re Ferdinando I riforma i Tribunali e l'Università degli Studj: ingrandisce la città di Napoli e riordina le province del Regno
Non solo a questo Principe deve la città e Regno di Napoli, per avervi introdotte tante buone arti e di tante prerogative averlo fornito, ma assai più gli deve per la particolar vigilanza, che tenne nel riordinare i Tribunali di questa città, e di provvedergli di dotti ed integri Ministri, perchè la giustizia fosse in quelli ben amministrata. Egli accrebbe i Tribunali del S. C. e della Regia Camera con nuovi e migliori istituti, e in forma più ampia gli ridusse di ciò che Alfonso suo padre aveagli lasciati. Riordinò il Tribunale della G. C. della Vicaria, ed a' suoi Riti aggiunse nuovi regolamenti intorno al modo d'istituire le azioni e l'accuse, e in miglior forma prescrisse l'ordine giudiziario ed i compromessi, siccome si vede da' suoi editti che pubblicò nel 147761, donde poi i nostri più moderni Pratici, e fra gli altri Bernardino Moscatello Lucerino, preser la norma ch'è quella, che tuttavia in gran parte regola oggi i giudicj ne' nostri Tribunali.
Fu tutto inteso a fornir questo Tribunale d'ottimi Giudici; onde si narra che non ben soddisfatto d'alcuni Dottori ch'erano in Napoli, mandò a cercargli per le province del Regno, e presso il Summonte62 si legge una sua pistola drizzata ad un suo famigliare in Apruzzo, dove gli dice che avea caro d'avere da quella provincia due Dottori che fossero persone da bene per mettergli per Giudici nella Vicaria, e che facesse opera che dall'Aquila venisse Messer Jacopo de Peccatoribus, e che vedesse ancora se in Cività di Chieti ve ne fosse un altro, perchè gli piacerebbe averlo più presto da quella città che d'altra parte.
Nel suo Regno cominciarono a fiorire le lettere, onde si videro sorgere tanti uomini illustri
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Salgad. de Supp ad SS.
58
Probat. libert Eccl. Gall. cap 10 num. 11.
59
Van-Espen in Appendice, litter. E.
60
V. il P. Servita nell'Istoria dell'Inquis. ver. fin.
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Si leggono dopo i Riti della G. C. in più rubriche, e la prima comincia, de Procedendi modo in causis civilib.
62
Summ. t. 3 p. 505.