Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro
allora in Napoli erano molti portici, come grotte oscure, ove la notte i ribaldi assalivano i poveri incauti, gli fece buttar tutti a terra, fra' quali furono i portici di S. Martino a Capuana, e l'altro di S. Agata, antichi edificj, che davan spavento a passarvi anche di giorno. Per quest'istessa cagione fece tor via le pennate di tavole, e li balconi degli artigiani, che tenevano sporti in fuori alle strade, ove di notte s'appiattavano i ribaldi per assalire coloro, che vi passavano. Parimente, essendo uno scoglio in mare vicino al Castello dell'Uovo, chiamato il Fiatamone, ov'erano molte grotte, nelle quali i giovani dissoluti commettevano orribili disonestà, lo fece tutto rovinare, sino da' fondamenti. E le donne disoneste, che abitavano disperse per la città, mischiate con l'oneste, le fece scacciar tutte da que' luoghi, e le ridusse ne' pubblici lupanari. Nè cessò mai di perseguitare una sorta d'uomini chiamati Compagnoni, vietando con pubblici bandi, che niuno andasse in quadriglia, infino che gli stirpò affatto dalla città.
Tolse a' delinquenti gli Asili, che per la protezione de' potenti aveansi fatti ne' palagi de' principali Baroni; ed avuta notizia, che in Napoli vi erano molte case, dove si ricettavano i fuorusciti, dandosi loro non sol ricetto, ma vitto e danari, per servirsene i Protettori per loro pravi disegni, le fece diroccare, tante che niuno ebbe poi più ardire di ricettargli. Gli artigiani eran prontamente pagati; non loro s'usavano più insolenze: ed i Ministri della giustizia erano come si conveniva rispettati. Anzi perchè la Città fosse meglio guardata, creò altri Capitani di guardia, ed ordinò, che sparsi alloggiassero per la Città per maggior custodia. Creò parimente nuovi Bargelli di campagna, acciocchè i delinquenti si tenessero men sicuri nella Campagna, che dentro la Città.
Parimente trovando introdotti molti altri abusi, gli estirpò tutti. Erasi introdotto costume in Napoli, che quando le donne vedove si rimaritavano, s'univan le brigate, e la notte con suoni villani e canti ingiuriosi, andavano sotto le finestre degli sposi a cantar mille spropositi ed oscenità, e questi suoni e canti chiamavano Ciambellarie; donde ne sortivano molte risse, e talora omicidj; e sovente gli sposi per non sentirsi queste baje, si componevano con denaro, o altra cosa colle brigate, perchè se n'andassero. Durava ancora il costume tramandato dalla antica gentilità, ne' tempi delle vendemmie, di vivere con molta dissolutezza e libertà: i Vendemmiatori non s'arrossivano incontrando donne, ancorchè onestissime e nobili, Frati ed altri uomini serii, di caricarli di scherno e di parole oscene, con tanta licenza, quanta si vede nel Vendemmiatore di Luigi Tansillo. Duravano ancora le superstiziose e lugubri dimostrazioni di duolo, che si facevano ne' funerali, ove le donne, non pure nelle loro case, ma nelle pubbliche piazze accompagnando il feretro, e nelle Chiese, con smoderato strascino di abiti luttuosi, con urli, pianti e graffiature di viso, empievano la Città di doglia e di pianti. Estirpò il Toledo questi abusi, riducendo il lutto de' funerali a comportabile e buono uso; e siccome per conservazione delle loro doti fece pubblicar Prammatica, così ripresse il soverchio lor lusso nel vestire.
Fece pubblicar bandi severissimi sopra i duelli, dai quali derivavano nella Città molti e spessi disordini e rumori: stabilì, che i provocanti a duello, fossero rei di pena capitale, e coloro, che non l'accettavano, non fossero notati d'infamia.
Sterminò da poi con rigore esattissimo un pernizioso e reo costume introdotto nella Città, per cui non stavan sicuri i più casti e guardati luoghi, acciocchè l'onestà delle donzelle non fosse insidiata. Il governo del Principe d'Oranges v'avea data forza, poichè nei suoi tempi, i nobili giovani usando mille insolenze, non erano puniti de' ratti, che facevano di molte onorate e nobili donne; perchè il Principe nella preda v'avea anche la sua parte: e per procedere con sicurezza, e penetrare i più guardati e riposti luoghi, si servivano per salirvi di scale di funi, non perdonando nè anche a' Monasteri. Il Cardinal Pompeo Colonna, come in sì fatte cose indulgente, non vi provvide abbastanza; ma il Toledo detestando le corruttelle ed i pubblici scandali, fece pubblicar un severissimo bando, col quale s'imponeva pena di morte naturale senza remissione alcuna, a chiunque persona si fosse trovata di notte con scale di legno o di fune o di qualunque altra materia. Di questo bando (ancorchè non si legga nelle nostre Prammatiche) ne fece memoria il Presidente de Franchis; ma da poi nel 1560 D. Parafan di Rivera Vicerè nel Regno di Filippo II ne fece pubblicar Prammatica, che si legge sotto il titolo De Scalarum prohibitione noctis tempore: dove quel Ministro nascondendo per onestà il principal fine della legge, fece intendere, che per molti ladri ed altri, che andavano la notte con iscale scalando le case e rubando, donde nasceva alcuna sospezione della pudicizia delle donne onorate, fossero puniti con pena di morte naturale, o altra pena riservata a suo arbitrio, tutti coloro, che si trovassero di notte portar le suddette scale.
Ma il bando di D. Pietro fu più severo, e fu fatto eseguire con molto rigore, siccome infelicemente avvenne nel 1549 ad un nobile, che colto di notte, mentre scendeva per una di queste scale dalla finestra di una gentildonna, lo fece decapitare, con tutto che per salvarlo si fossero interposte la Principessa di Salerno e quella di Sulmona, e quasi tutta la Nobiltà. Lo stesso sarebbe accaduto a Paolo Poderico Cavaliere molto stimato nella Città, il qual preso, mentre di notte avea appoggiata la scala sotto la finestra della sua amorosa, fu condennato a morte; ed il Vicerè, ancorchè fosse suo grande amico, non volle impedir la condanna, ma diede luogo a' parenti, che trovandosi colui Cherico, dimandassero la remissione del reo alla Corte Ecclesiastica, siccome si fece; ed il Poderico essendosi rimesso a quella Corte, in tal maniera scampò il tumulo.
§. I. Riforma del Tribunal della Vicaria
Riordinò, oltre a ciò, il Toledo molte altre costituzioni riguardanti l'esatta amministrazione della giustizia, e riformò a questo fine il Tribunale della Vicaria. Ordinò, che il reggente con tutti i Giudici e gli altri Ufficiali si trovassero insieme ad ore determinate nel lor Tribunale a ministrar giustizia. Perchè i Giudici di Vicaria a suo tempo non eran più che quattro, onde a cagion di questi suoi ordinamenti non potevano soddisfare alla moltitudine delle accuse, ve ne aggiunse egli due altri, e volle che fossero per stabilimento sei, cioè quattro criminali, e due civili. Stabilì, che si punissero con pena di falsarj coloro, i quali per calunnia, e falsamente proponessero le querele. Che nell'accuse delle contumacie dei delinquenti, ed in tutte le altre materie di giustizia, il Fisco non fosse costituito in mora. Che i voti non si pubblicassero prima d'esser uditi dal Fisco. Che a' carcerati poveri si desse il pane ogni giorno per loro vitto; e fece per li poveri infermi carcerati costruire un sufficiente Ospitale vicino alle carceri, ove s'avessero a curare gl'infermi a spese del Re, impetrandone a tal fine assenso dall'Imperador Carlo V, ed affinchè quei miserabili fosser con maggior diligenza ed attenzione difesi, fece augumentare il salario all'Avvocato e Proccuratore de' Poveri.
Ordinò, che le composizioni si facessero moderate. Che coloro, ch'escono di carcere, non pagassero cos'alcuna. Che nelle ferie estive si cavassero dalle prigioni i carcerati per debiti civili, dando sicurtà di concordarsi co' loro creditori, o di ritornare nelle carceri.
Determinò le paghe de' Mastrodatti, Scrivani ed altri Ufficiali minori di questo Tribunale, comandando perciò, che si formasse Pandetta de' loro diritti, siccome fu fatto, ed estirpò le scuole de' testimoni falsi; e fece bando a pena della vita a chi giurasse il falso, ovvero quelli producesse in giudicio; e vi diede altri savi provvedimenti, che insieme co' riferiti, vengono additati nella Cronologia prefissa al primo tomo delle nostre prammatiche.
§. II. Riforma del Tribunal della Regia Camera
Riordinata la Vicaria, con non minor felicità passò alla Riforma della Regia Camera. Vedeva il bisogno, che alla giornata cagionavano le guerre intraprese dal suo Signore co' Turchi, la poca economia, che v'era nello spendere, le spesse contribuzioni e donativi, che indebolivano il Regno, ed il cercar sempre denari, acciocchè gli eserciti non s'ammutinassero: per riparare in parte a tanti bisogni rivoltò l'animo a riordinare, come potesse il meglio, questo Tribunale, di cui era il pensiero, e dovea esser la cura del Patrimonio Regale, d'ingrandirlo, far evitare i disordini e le ruberie, che si commettevano nell'amministrazione di quello da Ministri subalterni; e che non capitassero male le rendite e l'esazioni Regali.
Proccurò a questo fine, che da Carlo V istesso fossero stabiliti più statuti attinenti alla buona amministrazione di quello, li quali egli pubblicò tutti in Napoli, comandando, che fossero esattamente eseguiti. Stabilì da poi egli diversi altri provvedimenti, onde diede molte norme a questo Tribunale intorno alla vigilanza dell'esazione.
Ordinò,