Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8 - Giannone Pietro


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che lo rimovesse; ed aveano già tirato dal lor canto Gregorio Rosso, Eletto del Popolo, il quale perciò ne' suoi Giornali non molto favorisce il Toledo, e non mancò di far le parti sue; poichè egli stesso racconta, che ai 26 novembre di quest'anno 1535 fu fatto chiamare dall'Imperadore, da cui fu domandato delle condizioni del Popolo Napoletano, e che cosa avrebbe potuto fare in beneficio del medesimo. La sua risposta fu, ch'era fedelissimo, ed amantissimo della sua Corona, e che per mantenerlo soddisfatto e contento non ci bisognava altro, che mantenerlo abbondante, senza angaria, e che ogni uno mangi al piatto suo, con la debita giustizia, e che stava per ultimo assai risentito e disgustato, per le nuove gabelle poste dal Vicerè. Questa giunta, com'egli stesso dice, fu cagione, che il giorno seguente fosse levato d'Eletto, e rifatto in suo luogo Andrea Stinca Razionale di Camera, persona dipendente dal Vicerè.

      Ma non perciò s'arrestarono i suoi rivali. Nel principio del nuovo anno 1536, Carlo per ricavar qualche frutto dalla sua venuta in Napoli, fece agli 8 di quel mese intimare un Parlamento nella Chiesa di S. Lorenzo, ove in sua presenza ragunati i Baroni e gli Ufficiali del Regno, espose egli di sua propria bocca i bisogni della Corona, e che per sicurezza del Regno e per le nuove guerre, che se gli minacciavano dal Turco e dal Re di Francia, bisognava sovvenirlo. Il giorno seguente ragunati di nuovo i Baroni, conchiusero in onore di Cesare, senza misurar le forze del Regno, più tosto per vanità e fasto, che per altro, di fargli un donativo di un milione e cinquecentomila ducati, donativo in niun tempo, nè in Napoli, nè altrove, giammai inteso e così sorprendente, e di somma cotanto immensa ed esorbitante, che l'istesso Cesare, vedendo l'impossibilità dell'esazione, bisognò, che loro facesse grazia di rimetterne ducati cinquecentomila, e contentarsi d'un milione10.

      Si giuntarono spesso i Deputati in San Lorenzo per trovare il modo della soddisfazione, e si determinò, che dovessero pagare i Baroni tre adoe, ed il rimanente i popolari. Parimente s'unirono per consultare quali altre nuove grazie e privilegi dovessero, in ricompensa di tanta profusione, cercare a Cesare. Se ne concertarono molte, e perchè questa Deputazione era maneggiata da Nobili, si pensò con tal opportunità chiedere a Cesare la remozione del Vicerè. Ma perchè dimandandogliela alla svelata, oltre al poco decoro del Ministro, eran certi di riceverne una ripulsa; fu proposto fra le cose principali, di dimandare in grazia all'imperadore di far rimuovere tutti i Ministri, così maggiori, come minori, per includervi con ciò anche tacitamente il Vicerè. A questa proposizione per se stessa imprudentissima, ancorchè vi concorressero la maggior parte de' Deputati Nobili, si opposero il Duca di Gravina, il Marchese della Tripalda, Cesare Pignatello e Scipione di Somma. Ma sopra tutti fortemente ripugnarono Andrea Stinca Eletto del Popolo, e Domenico Terracina, che, per essere stato Eletto negli anni precedenti, era stato fatto anche Deputalo del Popolo. Per ciò non si conchiuse niente, e furonvi gravi contese tra 'l Marchese del Vasto e Scipione di Somma, che vennero fra di loro sino a parole ingiuriose e piene di contumelie11.

      Mentre che queste cose si dibattevano in S. Lorenzo, l'Imperadore si tratteneva in quel Carnovale in feste, giuochi e maschere; ed una sera accompagnandolo il Marchese del Vasto, mentre si ritirava al Castello, postosegli vicino, gli esagerò per molte ragioni quanto compliva al suo servizio di levare il Toledo dal governo di Napoli; ma comprendendo dalle risposte dell'Imperadore, che avea poca voglia di levarlo, prese resoluzione di non andar più alla Deputazione a San Lorenzo, ma andarlo sol servendo nelle feste e giuochi, che ogni giorno si facevano. Ciò che riuscì di gran servizio del Vicerè, perchè non venendo alla Deputazione più il Marchese, s'intepidì il suo partito; anzi l'Eletto Stinca ed il Deputato Terracina, sapendo gli ufficj fatti dal Marchese con Cesare contra il Toledo, andarono a parlare all'Imperadore, e introdotti, l'Eletto Stinca cominciò ad esagerare a Cesare, che i Nobili intanto si sforzavano far ogni opra con S. M. perchè rimovesse il Toledo, perchè sono stati sempre soliti di opprimere e vilipendere il Popolo: che la loro insolenza era giunta a tanto, che maltrattavano non solo il Popolo Napoletano, ma i Capitani di guardia ed i Ministri di Giustizia: che tenendo uomini facinorosi ne' Portici delle loro Case, non temevano perseguitare molti, con straziarli ed insin ad uccidergli: toglievano a forza dalle mani della giustizia i ribaldi, ritenevano nelle loro case uomini facinorosi: i poveri artigiani non erano pagati delle loro fatiche, anzi con ingiurie e ferite malmenati; ma ora, che il Toledo avea estirpate queste tirannidi, con aver riposta la giustizia al suo luogo, per ciò i Nobili si movevano a rifiutarlo; che se sarà levato, tosto si tornerebbe all'antiche depressioni ed abusi.

      Queste parole, che trovarono l'animo ben disposto di Cesare, lo fecero maggiormente confermare nella opinione di non rimoverlo; laonde certificato del vero, acciò non rimanesse in cos'alcuna macchiata la riputazione di quel Ministro, volle che per mezzo suo, anche stando egli in Napoli, tutto si facesse, e per le sue mani passassero tutti gli affari più gravi, e ricolmollo di più favore, che prima. E poco da poi, affrettandosi tuttavia il suo ritorno, nel partir poi da Napoli per Roma, lo lasciò con maggior autorità di prima. E con ciò terminata la Deputazione in S. Lorenzo, non si pensò più a questo, ma concertati, e conchiusi 31 Capitoli e Grazie, che si doveano cercare a Cesare per la Città di Napoli, e 24 altre in beneficio d'alcune province e particolari, furono quelle dall'Imperadore nel nuovo Parlamento, che in sua presenza si tenne a S. Lorenzo, a' 3 di febbrajo di quest'anno, concedute, le quali ora si leggono infra i Capitoli della Città e Regno di Napoli, conceduti dagli altri Re suoi predecessori12.

      CAPITOLO III

      Il Toledo rende più augusta la Città con varj provvedimenti: suoi studi per renderla più sana e più abbondante. Lo stesso fa in alcune città e lidi del Regno, onde cinto di molte Torri potesse reprimere l'incursioni del Turco

      Partì l'Imperadore da Napoli a' 22 di marzo di quest'anno 1536 per la volta di Roma, per indi passare in Lombardia, e portarsi da poi in Ispagna; ed avendo lasciato al governo di Napoli il Toledo con maggiore autorità di prima, costui parimente con maggior grandezza d'animo e sicurezza riprese il governo

      Fece proseguire con maggior fervore i vasti disegni concepiti per maggiormente aggrandire ed abbellire la città di Napoli; acciocchè con maggior ragione le convenisse il titolo di Metropoli e Capo d'un sì vasto Regno; onde pose in opra tutta la sua splendidezza e magnificenza. Le opere fur fatte in diversi tempi, ma per non interrompere il racconto, le collocheremo sotto gli occhi tutte insieme. Avea egli prima proposto di far drizzare e mattonare le torte e fangose sue strade, e risarcire le sue mura; ma poichè l'entrate della Città non erano a ciò sufficienti, fu d'uopo pigliar espediente di ponere a questo fine una nuova gabella, e tenuti nella Città sopra ciò più consigli, fu conchiuso nel 1533, che si mettesse un tornese a rotolo sopra il pesce, carne salata e formaggio13. Surse tumulto fra' popolari, per opra di Fucillo Micone Mercatante di vino per questa nuova gabella; e sebbene il Toledo con intrepidezza e vigore avesse represso il tumulto con la morte di Fucillo e degli altri tumultuanti, nulladimeno stimò bene non cominciare allora ad esigerla. Ma sopraggiunti da poi nell'anno 1535 nuovi bisogni alla Città per gli appparecchi, che dovean farsi contra Barbarossa, che infestava le marine del Regno, fu duopo per supplire alle spese, ponere a' 20 marzo di quell'anno una nuova gabella a Napoli d'un denaro per rotolo; e dovendo, per li bisogni che premevano, quella prontamente esigersi, con tal occasione proccurò il Vicerè, senza che perciò ne nascessero più rumori, che s'esigesse non men l'una, che l'altra prima imposta per la mattonata, la quale infino a quel tempo non s'era ancora esatta. E da quel dì narra il Rosso14, si cominciarono a levare le selici, ch'erano per le strade di Napoli, e si posero i mattoni.

      Per la venuta dell'Imperadore, stando gli animi distratti altrove, s'intermise il lavoro, ma costui partito di Napoli, si proseguì con maggior fervore. Fece perciò il Toledo, a fin di rendere più bella e sana la Città, levare molti supportici, che tenevano la Città oscura: levar tutte le pennate, ch'erano avanti le case e le botteghe: fece rifar lo cloache, perchè corressero con maggior pendenza al mare: fece drizzare, ed appianare tutte le strade: e diede animo a' Cittadini, in modo che ognuno a gara si sforzava d'abbellire le sue case e palagi. Rese più ampia e forte la Città con allargar più in fuori le sue mura, così dalla parte di mare, come di terra, e con tanta prestezza che fu maraviglia; perciocchè in meno di due anni la fece circondare di un muro grossissimo


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<p>10</p>

Privil. et Capit. di Nap. fol. 103 a ter. Tasson. De Antef. vers. 4 observ. 3 num. 27.

<p>11</p>

Giorn. del Rosso, pag. 129 et 130.

<p>12</p>

Cap. et Privil. di Nap. pag. 102.

<p>13</p>

Giorn. del Rosso, p. 92.

<p>14</p>

Rosso, Giorn. p. 105.