Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8 - Giannone Pietro


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corrotti costumi degli Ecclesiastici, ebbe date l'ultime pruove del suo rigore per estirparli affatto; alcuni di essi pertinaci ne' loro errori, per non abbandonarli, ricorsero, chi alla protezione di qualche Principe, e chi affettando una pura vita Appostolica, simulando virtù e costanza, niente curando morti e prigionie, si risolsero di soffrire qualunque strazj e tormenti, ed eziandio le morti più crudeli, costoro per tal cagione amarono essere chiamati Patareni, riputandosi perciò somiglianti a' Martiri dell'antica Chiesa. Multiplicossi il lor numero, e non vi fu città d'Italia, che non ne restasse infetta. Gli altri, fra' quali i più considerabili furono gli Albigesi, per un'altra via più si disseminarono, poichè essendo favoreggiati dal Conte di Tolosa e da altre persone di stima, avevano sparsa la loro dottrina in molte province della Francia.

      Sursero opportunamente in questi medesimi tempi a favor della Chiesa Romana que' due grandi uomini, Domenico e Francesco, i quali per la loro santità resisi chiari da per tutto, fondarono, come si disse, le Religioni de' Predicatori e de' Frati Minori: ed in vero assai opportuni ci vennero per resistere a sì contrarj venti, onde la Navicella di Pietro era combattuta: ma tennero diverse strade. Francesco per opporsi a' Patareni volle col suo esempio mostrare qual fosse la vera vita Appostolica, ed il vero imitare Cristo, fondando la sua Religione in una rigida povertà, nell'umiltà e ne' puri ed incorrotti costumi: acciocchè coll'esempio e coll'opere riducesse i traviati in via.

      Domenico di Nazione Spagnuola e del nobil legnaggio de' Gusmani, fu rivolto co' suoi Frati ad abbattere gli altri, e principalmente gli Albigesi; contra i quali, armato di forte zelo disputò, orò, declamò e colle sue prediche e concioni cercava convincerli dei loro errori, e far accorta la gente a non lasciarsi ingannare. Ma poco giovando con quegli ostinati le dispute e le prediche, stimò più opportuno mozzo per estirparli, di ricorrere (come aveano fatto i contrarj) agli ajuti de' Principi; e creato dal Pontefice Innocenzio III, Inquisitor generale contra di loro, ricorse agli ajuti del Conte di Monteforte e di molti altri Signori Spagnuoli, Tedeschi e Franzesi; questi uniti con gran numero di Prelati, e molte truppe, presero contra di loro la Croce, e così crocesignati scorrevano le province per distruggerli, e scorrendo per la Narbona e per altri luoghi, molti ne vinsero e distrussero. Nè di ciò contento Domenico venne in Roma, e nel Concilio, che si tenne in Laterano, in più sessioni orò contra gli Albigesi, e fece condannar per eretica la loro dottrina.

      Da questo principio nacque poi il costume, che nelle province pacate, ove gli Eretici non erano a turme, tanto che fosse bisogno di crociate, sospettandosi in qualche Città esservi eretici, si mandassero dal Papa gl'Inquisitori; e poichè in Roma era piaciuta più l'opera di Domenico, che di Francesco, fu dato quest'ufficio principalmente a' Domenicani, i quali uniti col Magistrato secolare inquisivano degli errori, e coloro, che erano convinti, essi gli sentenziavano con dichiararli Eretici: e dopo questo gli davano al braccio del Magistrato secolare per fargli ardere, o in altro modo punire.

      Nel Regno degli Svevi, Federigo II e Manfredi non permisero, che da Roma venissero Inquisitori; ma siccome fu rapportato nel riferito libro XIX si valeva, intorno alla conoscenza del diritto, de' Prelati del regno, e per ciò che riguardava la conoscenza del fatto e della condannagione, de' suoi ordinari Magistrati.

      Gli Angioini, come ligi de' Pontefici Romani, ammisero nel regno Inquisitori di Roma, li quali, ancorchè non vi tenessero Tribunal fermo, scorrevano, come ivi fu veduto, le nostre province, favoriti da que' Re, da' quali anche venivan loro somministrate le spese.

      Gli Aragonesi cominciarono poi a scemar loro tanto favore, nè, se non molto di rado gli ammettevano, ed ammessi volevano essere informati minutamente d'ogni cosa, nè si permetteva ad essi, senza espressa licenza del Principe ed assistenza di Magistrato secolare, far esecuzione di fatto.

      E quantunque ne' primi anni del regno di Ferdinando il Cattolico, cercassero di stabilirsi meglio, e sottrarsi da tanta soggezione e dependenza: nulladimeno i Napoletani, per fortificarsi contra ogni sospetto, indussero il G. Capitano ad assentire alle loro domande; in guisa, che volendo prendere la possessione del regno in nome di Ferdinando suo Re, da cui avea avuta pienissima autorità, promise loro, che nel regno non ci sarebbe giammai stata, nè Inquisizione, nè Inquisitore; onde il G. Capitano vi procedeva con molta oculatezza, sempre intento a reprimere le sorprese, che Roma, quando le veniva in acconcio, non tralasciava di fare. A questo fine nel 1505 scrisse al M. Foces, che avendogli il Vescovo di Bertinoro Commessario Appostolico ed Inquisitore fatta istanza da parte del Papa, che si carcerassero alcune donne indiziate d'eresia, le quali fuggite da Benevento s'erano ricovrate a Manfredonia per passare in Turchia, proccurasse con diligenza averle in mano, e carcerate che le avesse, ne desse a lui avviso, per ordinargli poi quel che doveva eseguire. Parimente il Conte di Ripacorsa nel 1507 scrisse a Fra Vincenzo di Ferrandina, rampognandolo, come erasi portato in Barletta a far inquisizione contra alcune persone, senza sua saputa, e senz'aver mostrato sua commessione: gl'incarica pertanto, che s'astenesse di procedere, e venga da esso a mostrargliela, altrimente non senza sua ignominia avrebbevi dati forti provvedimenti26.

      Questo, a' primi tempi di Ferdinando il Cattolico, fu lo stile praticato nel Regno contra gl'indiziati e sospetti d'eresia, la cui inquisizione non dava spavento, perchè questi Commessarj non aveano Tribunal fermo: le loro commessioni doveano portarsi al Consiglio Regio, nè potevan eseguirsi senza il Placito Regio; scorrevano assai di rado le province, ed il tutto si faceva col permesso del Re e coll'assistenza, consiglio e favore de' Magistrati secolari, e senza molto strepito e rumore. S'aggiungeva, che in Italia e più nel nostro regno erano estinte le reliquie degli antichi Patareni: non v'era sospetto alcuno di nuova dottrina contraria a quella della Chiesa Romana; tanto che l'Inquisizione di Roma per non star oziosa, avea cominciato ad attribuire a quel Tribunale alcuni delitti che non meritavano un Tribunale estraordinario, e che potevan ben come prima esser corretti da Tribunali ordinari. Per lo più gl'Inquisitori si raggiravano sopra le bestemmie, che per tirarle al loro Tribunale, le qualificavano per ereticali, ancorchè profferite, o per cattivo abito o per iracondia o per ubbriachezza o finalmente per sciocchezza ed ignoranza. Così colui, che volendo lodar un buon vino diceva che lo berrebbe Cristo, non iscappava dalle loro mani: chi assordato da loro fastidiosi ed importuni suoni, impaziente malediceva le campane, non era fuor di pericolo: chi declamando contra i corrotti costumi del Clero, de' Preti e de' Monaci gli scherniva, derideva o malediceva: e perchè la materia non mancasse, vi arrolarono i sortilegi, le invocazioni de' demonj e mille altre sciocchezze di vili femminette, le quali erano adoperate più per imposturar la gente, o per vil guadagno, che per difetto di credenza. Vi arrolarono anche i delitti di fragilità: così la bigamia, le notturne assemblee ove sotto il manto di religione, si commettevano mille laidezze ed altri eccessi, più per fragilità commessi che per non credere, si qualificavano a questo fine per ereticali. In breve non vi era molto che fare per la correzione de' dogmi e de' falsi credenti, ma tutte le loro occupazioni erano per la correzione de' costumi e della disciplina. Cotanto a questi tempi il Tribunal dell'Inquisizione erasi reso affatto inutile, onde non potea aversene in Napoli, nè altrove timore o bisogno alcuno.

      Ma quanto in Italia queste cose erano in quiete, altrettanto nella Spagna si sentivano strepitose e piene d'orrore. Ferdinando il Cattolico, dopo aver discacciati i Mori e conquistato il regno di Granata per purgar la Spagna d'ogni reliquia di Mori e d'Ebrei e per estirparli affatto, avea ivi fatto ergere un Tribunal spaventoso d'Inquisizione e amministrato dai Frati Domenicani27, ove sotto zelo di religione, si posero in opra le più crudeli ed orribili prigionie, esilj, morti e confiscazioni di beni, e quel che più dava orrore, erano i modi tragici, i lugubri apparati, le tante croci, le spaventose invettive, imprecazioni e scongiuri, e le pire accese, ove dovea il reo brugiarsi, in guisa che non tanto la morte, quanto l'orribil apparato di quella spaventava. Indiziato alcuno, ancorchè con leggieri sospetti, si poneva in tenebrose carceri, ove da niun veduto, in pane ed acqua per più mesi era trattenuto, e sovente senza sapersene la cagione. Nelle difese non se gli dava nota de' testimonj, se mai gli fossero sospetti, nè s'ammettevano discolpe; i beni tosto eran sequestrati; e se secondo le severe leggi del Tribunale, veniva taluno convinto ovvero per non poter soffrire gli acerbi tormenti, confessava ciò, che mai fece, era condennato ad ardere nelle vive fiamme. Altri indiziati, a perpetui esilj eran condennati, ed eran tutti spogliati de' loro beni; e condennati, o essi se restavano in vita, o i loro eredi, ad una perpetua infamia ed estrema mendicitàСкачать книгу


<p>26</p>

V. Chioc M. S. Giuris. tom. 8.

<p>27</p>

Ubert. Foliet. Tumul. Neapolit. Thuan. lib. 3. Histor.