Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8 - Giannone Pietro


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imperciocchè molti avendo orrore di sì rigido Tribunale, lasciando le paterne case, si contentavano più tosto fuggire, ed andar altrove raminghi, tanto che fu egli obbligato levarlo e che più non se ne parlasse. Il Vicerè, prima di ricevere queste insinuazioni da Cesare, avea già da molto tempo pensato da se stesso a questo rimedio; ma sapendo, che l'Inquisizione era stata ai Napoletani sempre d'orrore ed odiosa, e che, nè Ferdinando il Cattolico, nè altri Vicerè, che più volte l'avean tentato, mai eran stati bastanti a metterlo in opera, rispose perciò all'Imperadore, che l'impresa era molto ardua, ma con tuttociò avrebbe egli usata ogni industria e poste in opera le più sottili arti, e come se nè da Cesare nè da lui procedesse, avrebbe proccurato spingere e tirar avanti il disegno nella maniera più accorta e cauta, che si potesse.

      In questi medesimi tempi il Pontefice Paolo III, vedendo ancor egli, che in Italia andava serpendo il male, rinvigorì dall'altra il Tribunal dell'Inquisizione di Roma; e con intelligenza di Cesare mandò Commessarj dell'Inquisizione Romana per tutte le Province d'Italia, i quali però erano ricevuti con condizione, che dovessero procedere per via ordinaria, con manifestazione de' testimonj e, sopra tutto, senza la confiscazione de' beni.

      Il Toledo reputando, che col fare apparire non da lui, ma da Roma, venir tentata l'impresa, e che sotto questo manto avrebbe coperto il suo disegno, proccurò col Cardinal Borgia, uno degl'Inquisitori di Roma suo parente, che, siccome erasi fatto nell'altre Province d'Italia, si mandasse in Napoli un Commessario, con Breve del Papa, dove si comandasse, che per via d'Inquisizione dovesse procedersi contra i Chierici, Claustrali e Secolari; siccome in effetto venne il Breve, ed al Vicerè fu comunicato, il quale però si pose in grande angustia per trovar il modo di poterlo far eseguire.

      Narrasi, che 'l Pontefice di buona voglia, a' prieghi del Cardinal Borgia, avesse conceduto il Breve, non perchè egli si curasse molto di porre l'Inquisizione in Napoli, avendo scoperto i disegni di Cesare e del Toledo, che volevano porla all'uso di Spagna e non già di Roma (tanto che questa competenza giovò molto a' Napoletani) ma perchè tenendo odio occulto contra l'Imperatore, sapendo quanto fosse d'orrore a' Napoletani l'Inquisizione, giudicava, che col tentar di metterla in Napoli, si dovessero cagionare in questa città alterazioni, tumulti e sedizioni.

      Uberto Foglietta genovese40, seguito dal Presidente Tuano41, scrive, che il Toledo a' Commessarj dell'Inquisizione venuti da Roma, che lo richiedevano secondo il costume, dell'Exequatur Regium al Breve, avesse risposto, che in ciò non s'affrettassero tanto, ma tenessero presso di loro il Breve, perchè, quantunque per non insospettire i Napoletani odiosissimi all'Inquisizione, non poteva allora darlo, stessero però di buon animo, con tener sotto silenzio il tutto, perch'egli avrebbe oprato in modo, che il Breve s'eseguisse.

      Però i nostri Scrittori napoletani, contemporanei non men che il Foglietta, a questi successi, i quali, siccome devon cedere all'eleganza e maestà del suo stile, così è di dovere, che, come forastiero, egli ceda per la verità e più minuta e distinta narrazione di questa istoria a costoro che trovaronsi presenti, e furono in mezzo di quegli affari, e li trattarono con pericolo della vita e perdita delle loro robe. Narrano questi, che il Vicerè, dopo alquanti giorni, dal Consiglio Collaterale fece dar l'Exequatur al Breve; ma che non volle farlo pubblicare per la Città a suon di trombe, nè con prediche, per timor di qualche sollevamento; ma volle che solamente per cartone affisso nella porta dell'Arcivescovato si palesasse; nell'istesso tempo, ritiratosi egli a Pozzuoli, ove l'inverno soleva dimorare, ordinò a Domenico Terracina, quanto al Popolo odioso, altrettanto suo dependente, avendo a questo fine, (oltre averselo fatto compare) quattro mesi prima proccurato di farlo elegger di nuovo Eletto del Popolo, ed agli altri Ufficiali della città, de' quali egli si fidava, che insinuassero con dolci maniere alle lor Piazze, che non bisognava di quell'editto d'Inquisizione far tanto rumore, nè sgomentarsi tanto, poichè quello non era ad uso di Spagna, ma veniva per provisione del Papa, Giudice competente in quella causa, di che la città non avea occasione di dolersi del Vicerè, di cui non era volontà, nè dell'Imperadore di metter l'Inquisizione; ma che il Papa per moto proprio lo faceva, acciò, se la città fosse in qualche parte contaminata d'eresia, se ne avesse da purgare; e non essendo, se ne fosse con questa paura preservata.

      Dall'altra parte i Napoletani, a' quali essendo noti gli artificj del Vicerè, erano entrati in sommo sospetto, aveano eletti perciò Deputati, li quali essendo più volte ricorsi al Vicerè per questi rumori, che si sentivano d'Inquisizione, furono altrettante volte assicurati dal medesimo, ch'egli non avrebbe permessa novità alcuna. Tuttavolta la fama essendo continua e grande, che l'Inquisizione sarebbe stata fra poco tempo posta, non cessavano i timori ed i sospetti; ma quando poi in un dì di Quaresima di questo nuovo anno 1547 coi propri loro occhi videro l'Editto affisso nella porta della Chiesa Cattedrale, il quale da molti letto, era esagerato molto più di quel che conteneva, cominciarono molti a sollevarsi e farne rumore, e corsi al Vicario dell'Arcivescovado (il qual udito il tumulto per timore s'era nascosto) fecero stracciare l'Editto. Il Vicerè inteso il tumulto, la Domenica delle Palme fece tosto chiamar a se il Terracina e gli altri Ufficiali della città, a' quali niente parlando d'Inquisizione, ma solo esagerando l'eccesso, persuadeva di doversi procedere contra i tumultuanti ad un severo castigo; e se bene quasi tutti erano per acconsentirgli, nulladimeno per tema del Popolo, già insospettito e sollevato, non risposero risoluti, ma diedero buone parole, con riserva di farlo intendere alle loro Piazze: perlochè congregati gli Eletti, così nobili, come popolari nelle loro Piazze, e proposto il negozio per arduo, conchiusero di dover andare dal Vicerè a Pozzuoli, e creati scelti uomini, e di qualità per Deputati, se n'andarono giuntamente a Pozzuoli, dove avanti il Vicerè, Antonio Grisone gentiluomo del Seggio di Nido parlò con molto vigore ed energia, mostrandogli quanto fosse stato sempre alla città e Regno odioso ed insoffribile il nome dell'Inquisizione, e sopra tutto, che trovandosi con facilità uomini ribaldi, che per denari e per odio facilmente s'inducono a far testimonianze false (il che molto bene poteva egli aver conosciuto, che per estirpar le scuole de' testimonj falsi, era stato costretto di far pubblicar contra d'essi un rigoroso bando a pena della vita) in breve tempo si sarebbe veduto il Regno e la città tutta sconvolta e rovinata; lo pregava per tanto, in nome di tutti, a non voler permettere, che a tempo suo, quando ne aveano ricevuti tanti beneficj, Napoli restasse di tanto obbrobrio e vergogna macchiata, e da così intollerabil giogo oppressa.

      Il Vicerè gli rispose con molta umanità, dicendogli, che non era di mestieri, che per ciò si fossero incomodati di venir sino a Pozzuoli: che egli amava molto più di quel, che credevano, la loro città, la quale poteva chiamarla anche sua patria, non meno per avervi abitato tanti anni, che per aver maritata una sua figliuola ad uno de' suoi Nobili; che non era stata mai intenzione nè di sua Maestà, nè sua, d'imporre Inquisizione; anzi che più tosto avrebbe egli deposto il governo del regno, che soffrire questa novità in tempo suo: restassero per tanto sicuri, che d'Inquisizione non si parlerebbe mai. Soggiunse però, che sapendo essi, che molti, benchè ignoranti e di poco conto, parlavano troppo licenziosamente, e che perciò davano qualche sospetto d'infezione, non giudicava fuor di proposito, nè la città lo dovea tener per male, che se alcuni ve ne fossero, siano per la via ordinaria e secondo i Canoni inquisiti e castigati; acciocchè le persone infette non abbiano ad attaccar la loro contagione agli altri sani; e che per questo fine e non per altro, e credeva, che fossero stati affissi quegli Editti. I Deputati udita questa risposta, gli resero grazie infinite e tutti allegri tornati a Napoli, la riferirono alle Piazze, la quale sebbene avesse universalmente apportata somma allegrezza, nulladimeno molti da quelle ultime parole, di castigare i colpevoli per via di Canoni, non lasciarono il sospetto, interpetrando la mente del Vicerè non essere in tutto aliena dall'Inquisizione, ma di volerla cominciare con apparenza giusta, acciò col tempo ella passasse a termini più ardui, tanto che finalmente restasse poi da senno Inquisizione all'uso di Spagna.

      Crebbe poi il sospetto dal vedere, che il Terracina co' suoi partigiani non tralasciava d'andar insinuando a' popolari di non doversi di ciò curar molto, e farne tanti schiamazzi; ma ciò da che più se ne resero certi fu, quando a' 21 di maggio dell'istesso anno 1547 videro nella porta dell'Arcivescovado affisso un altro editto assai più del precedente chiaro e formidabile, parlando alla scoverta d'Inquisizione. Allora la città si sollevò, e con grande strepito per le piazze di Napoli si gridò arme, arme: fu immantinente l'editto lacerato, il Popolo tumultuosamente corse dal Terracina,


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<p>40</p>

Ubert. Fol. Tumult. Neapolit.

<p>41</p>

Tuan. lib. 3 hist.