Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8 - Giannone Pietro


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Solimano avendo creato suo Ammiraglio il famoso Barbarossa, celebre Corsaro di mare, gli avea dato il comando d'un'armata di 80 Galee, per rimettere Ariendino Barosso, da altri chiamato Moliresetto, nella possessione del Regno di Tunisi, e scacciarne Muleasser suo fratello, e nel passaggio assaltare la Sicilia e la Calabria. Ed in effetto nella primavera del seguente anno 1534, apparecchiandosi alla venuta, ed uscito da' suoi Porti, passò poi nella fine di luglio il Faro di Messina dove brugiò alcune navi, e approdato in Calabria, saccheggiò S. Lucido, senza lasciarvi persona. Brugiò il Cetraro de' Monaci Cassinensi, con sette Galee, che ivi si facevan fabbricare dal Toledo: e passando a vista di Napoli, con più paura che danno della Città, mise la sua gente in terra nell'isola di Procida, saccheggiando quella Terra. Nè contento di questo, assaltò poi all'improvviso Sperlonga, facendo quivi moltissimi schiavi, e mandò gente per insino a Fondi per sorprender D. Giulia Gonzaga, e presentarla a Solimano, la quale per la gran fama della sua bellezza sparsasi da per tutto, era venuta anche in desiderio a quel gran Signore. Fondi fu saccheggiata, e D. Giulia appena ebbe tempo di salvarsi quella notte sopra un cavallo in camicia, come si trovava4. Allora fu, che i Napoletani per reprimere tant'orgoglio di Barbarossa, e liberar le marine del Regno dall'invasione de' Turchi, ragunati in pubblico Parlamento, a' 20 agosto, nel Monastero di Monte Oliveto, fecero un altro donativo a Cesare di ducati centocinquantamila, pagandone i Baroni cinquantamila e gli altri cento il Regno5.

      La medesima disgrazia intervenne a Terracina, con tanto timor della Corte di Roma e de' Romani, che si credette, che se fossero andati innanzi, sarebbe stata abbandonata quella Città. Il Pontefice Clemente, che trovavasi allora gravemente travagliato con dolori di stomaco, non potendo più resistere all'infermità, finì i suoi giorni il vigesimo quinto di settembre di quest'anno 1534.

      Morto lui i Cardinali la notte medesima, che si serrarono nel Conclave, elessero tutti concordi in Sommo Pontefice Alessandro della Famiglia Farnese, di Nazione Romano, d'età di 67 anni, Cardinal il più antico della Corte, ed uomo ornato di lettere, e d'apparenza di costumi. Furono in Roma fatte gran feste, per la letizia immensa, che n'ebbe il Popolo Romano, di vedere dopo 103 anni, e dopo tredici Pontefici, sedere in quel trono un Pontefice del Sangue Romano. Fu eletto li 13 d'ottobre, e coronato li 3 di novembre, e chiamossi Paolo II.

      Intanto Barbarossa, voltando le prore indietro navigò verso Tunisi, ed avendo con inganno sorpresa quella Città, ne scacciò Muleasser, e ripose nel Regno Barosso, e fortificatolo ivi, fortificò parimente la Goletta, e vi pose buon presidio di Mori.

      Considerando perciò Cesare, che se Solimano si impadronisse di quel Regno, passando sotto un Principe cotanto formidabile, sarebbe stato origine della destruzione del Regno di Sicilia e di Napoli, e di tutte le riviere del Mediterraneo insino alle Colonne d'Ercole, determinò sturbare il suo disegno; onde s'accinse per andare egli in persona a quella impresa. Spedì ordini per tutti i suoi Regni per arrolar gente; ed in Napoli per tutto quell'inverno non s'attese ad altro, che a questi apparecchi. Il Toledo fabbricò una Galea a sue spese per dar esempio agli altri, e fu imitato da molti. Il Principe di Salerno, il Principe di Bisignano, il Duca di Castrovillari, il Duca di Nocera, il Marchese di Castelvetere, e l'Alarcone Marchese della Valle, a loro spese, fecero lo stesso. Moltissimi Baroni e Cavalieri, sentendo, che a quest'impresa avea da venire in persona l'Imperadore, tutti si misero in ordine6.

      Entrato il nuovo anno 1535, ne' primi buoni tempi della primavera, il Marchese del Vasto, ch'era andato a Genova ad abboccarsi, per ordine dell'Imperadore col Principe Doria, tornò a Napoli con molte Galee e grosse Navi, e molta gente. Il Papa ajutò anche l'espedizione, ed avendo creato Generale della Chiesa Virginio Orsino, gli diede il comando di ventidue Galee, le quali parimente nel mese di maggio giunsero al Porto di Napoli.

      Sopra queste navi fu imbarcata in Napoli molta gente: il Vicerè Toledo vi mandò due suoi figliuoli D. Federico e D. Garzia, natigli dalla Marchesa di Villafranca sua moglie, che nel precedente anno 1534 a' 24 maggio era di Spagna arrivata a Napoli: vi si imbarcarono il Marchese del Vasto, il Principe di Salerno, D. Antonio d'Aragona figliuolo del Duca di Montalto, il Marchese di Laino, li Marchesi di Vico, e di Quarata, li Conti di Popoli, Novellara, di Sarno e d'Anversa, Scipione Caraffa fratello del Principe di Stigliano, D. Diego de Cardines fratello del Marchese di Laino, Cesare Berlingiero, Baldassar Caracciolo, Biase di Somma, Cola Toraldo, Costanzo di Costanzo, ed altri7. Partirono a' 17 maggio alla volta di Palermo, dove raccolte più navi e gente, s'ancorarono a Cagliari. Sopraggiunse in questa città l'Imperadore alli 11 giugno con le Galee d'Andrea Doria, e di D. Alvaro Bazan, Generale della squadra di Spagna, ed in esse quasi tutta quella Nobiltà; ed a' 13 del medesimo mese fece vela tutta l'armata numerosissima di 300 vele, da Cagliari alla volta d'Affrica, dove con prospero vento giunse in tre giorni.

      Presa terra a Porto Farina, Cesare diede il baston di Generale al Marchese del Vasto, con ordine, che tutti l'ubbidissero. Fu investita la Goletta, ed a' 4 luglio con gran travaglio e morte di molta gente fu quella presa. I Napoletani si portarono con molto valore; ed il Principe di Salerno Generale della fanteria Italiana si segnalò notabilmente: vi morirono il Conte di Sarno e Cesare Berlingiero, il Conte d'Anversa, Baldassar Caracciolo, Costanzo di Costanzo, Ottavio Monaco ed altri Napoletani. Fu anche presa Tunisi, cacciato Ariendino Barosso, fugato Barbarossa, e riposto dall'Imperadore nell'antico Seggio di quel Regno Muleasser, facendolo suo Tributario, obbligandosi mandargli per tal effetto ventimila scudi d'oro l'anno e sei cavalli moreschi.

      Non mancò, chi giudicasse questa spedizione di Carlo con tanto apparato di guerra aver avuto infelice ed inutile successo per poco consiglio di Cesare, il quale potendosi far assoluto Signore di quel Regno, stimato da lui cotanto opportuno per salvar dall'incursione de' Turchi i Regni di Sicilia e di Napoli, e tutte le riviere del Mar Mediterraneo, avesse con renderselo sol tributario voluto lasciarlo al Re Muleasser. E Tommaso Campanella in que' suoi fantastici discorsi sopra la Monarchia di Spagna, non lascia per ciò di biasimarlo, e l'evento dimostrò, essere questa impresa stata affatto inutile, e senz'alcun profitto; poichè in discorso di tempo, mal soddisfatti i Tunisini del governo di Muleasser, aderirono ad Amida suo figliuolo, il quale aspirando al paterno Reame, non tralasciava l'occasioni di tendergli insidie: di che il Re insospettito, con imprudente consiglio, prese risoluzione di partirsi di Tunisi, e venire in Napoli per domandar soccorso ed ajuto dal Vicerè Toledo. Appena egli partito, Amida coll'ajuto degli Arabi, e di alcuni principali Mori, occupò il Regno: di che avvisato Muleasser affrettò il cammino verso Napoli, dove giunto nell'anno 1544, e ricevuto dal Vicerè con dimostrazioni reali, attese ad assoldar gente; ma non potendosi unirne tanta quanta il bisogno richiedea, il Toledo non tralasciò d'ammonirlo, che l'impresa dovea riuscirgli di grandissimo pericolo; poichè, se per riacquistare poc'anzi quel Regno, fu duopo che l'Imperadore stesso con grossa armata e forte esercito vi si adoperasse, quale speranza poteva aver egli in quei pochi soldati, che s'erano uniti, il cui numero non erano più di dumila? Ma il Re lusingato dalla fede che credeva durare in alcuni suoi Governadori, volle partire, e giunto alla Goletta, fidandosi nelle parole d'alcuni Mori, che con inganno gli dissero, che Amida era fuggito da Tunisi, si mosse con gran fretta a quella volta, dove, appena essendo comparso, fu assalito dal figliuolo, che ruppe il suo esercito, e rimaso prigione, lo fece barbaramente accecare. Così si perdè tutto, ed il Vicerè per tal nuova ebbe dispiacere grandissimo, considerando il danno, che da tal perdita avea da succedere al Regno: siccome fu, perchè perpetuamente restò esposto alle prede ed incursioni di que' barbari corsari.

      §. I. Venuta di Cesare in Napoli

      Disbrigato l'Imperadore dall'impresa di Tunisi, e lasciata fortificata la Goletta con presidio di Spagnuoli, ed in Tunisi Muleasser reso suo tributario, a' 17 agosto partì con tutta l'armata per Sicilia. Il Marchese del Vasto, ed i Principi di Salerno e di Bisignano, coll'occasione di questo ritorno, fecero grand'istanza a Cesare, che venisse a Napoli a dimorarvi qualche mese per vedere la bellezza di questa Città, ed onorarla colla sua presenza. Eran, fra gli altri stimoli, mossi costoro a desiderar la sua venuta in Napoli, perchè disgustati col Toledo per cagione del suo rigoroso governo, col quale teneva abbassata la Nobiltà, potessero con tal congiuntura indurre Cesare a rimoverlo. L'Imperadore si risolse venire, e giunto ai 20 agosto a Trapani, indi dopo un mese a Palermo, venne poi a Messina. Passato il Faro si portò a


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<p>4</p>

Giorn. del Rosso, pag. 103.

<p>5</p>

Summ. tom. 4. Tasson. de Antef. vers. 4 obs. 3 num. 25.

<p>6</p>

Giorn. del Rosso pag. 105.

<p>7</p>

Giorn. del Rosso, p. 107.