Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9 - Giannone Pietro


Скачать книгу
che l'armata fosse venuta nel mese di settembre, perchè alla sua comparsa si sarebbe fatta la sollevazione, con entrare nelle terre, e gridando libertà, ammazzare gli Ufficiali del Re, e tutti coloro che si fossero opposti.

      Ma come è difficile, ove vi corra tempo, e sia grande il numero de' congiurati, tenersi simili maneggi lungamente celati, fu la congiura scoverta da Fabio di Lauro e Giovan-Battista Blibia di Catanzaro, complici di quella, li quali la palesarono a D. Luigi Xarava, che si trovava allora Avvocato Fiscale della provincia di Calabria ultra, e per mezzo del medesimo ne fecero una piena e distinta relazione al Conte di Lemos Vicerè. Il Conte spedì tosto in Calabria D. Carlo Spinelli con amplissima autorità, il quale col pretesto di fortificar quelle Marine contra l'invasione de' Turchi, pensava a man salva imprigionare tutti i congiurati; onde portatosi in Catanzaro, ed all'ultimo d'agosto di quest'anno 1599, ricevute avanti il Fiscale le deposizioni di Fabio di Lauro e Giovan-Battista Blibia, cominciò a carcerare segretamente alcuni de' congiurati; ma la fuga d'uno, e l'essersi da poi il cadavere del fuggitivo affogato in mare, veduto in quelle marine, rese pubblico il fatto; onde sparpagliati i congiurati si diedero in fuga, e costrinsero lo Spinelli a palesemente operare. Alcuni spensierati furono presi senza contrasto, fra' quali fu Maurizio di Rinaldo, il quale, e prima e dopo la tortura, confessò il tutto; altri scapparon via; ma Tommaso Campanella, ch'era corso alla marina travestito per imbarcarsi, fu colto in una capanna per opera del Principe della Rocella. Fra Dionisio Ponzio, ancorchè fosse stato più presto ad imbarcarsi, per sottrarsi dal supplicio, fu arrestato in Monopoli in abito sconosciuto di secolare.

      E veramente fu la congiura scoverta a tempo opportuno; poichè già il Bassà Cicala, secondo il trattato, a' 14 settembre del medesimo anno s'era fatto vedere al capo di Stilo con 30 Galee, il quale non avendo trovata quella corrispondenza, che i congiurati gli avean fatta sperare, anzi vedute le marine guarnite di soldatesche ben disposte a riceverlo, si ritirò alla Fossa di S. Giovanni, donde, dopo la dimora d'alcuni giorni, fece vela verso Levante.

      I presi furon esaminati e tormentati, li quali nelle loro deposizioni scovrirono altri, che erano intesi nella congiura, e furono mandati in Napoli sopra quattro Galee, e giunti al Porto, il Vicerè, per terror degli altri, ne fece due d'essi sbranar vivi dalle Galee medesime, ed appiccare quattro all'antenne: tutti gli altri furono mandati in carcere per punirli secondo il merito di ciò che venivano rei. Il Campanella, col Ponzio, ed alcuni altri Preti e Frati, stati presi, furon condotti nel Castello.

      Nacque tosto contesa di giurisdizione intorno alla loro condanna: gli Ecclesiastici pretendevano volerli essi giudicare, all'incontro i Ministri regj dicevano, che la cognizione del delitto di fellonia s'apparteneva a' Tribunali del Re, non ostante il carattere, che portavano molti de' congiurati di persone Ecclesiastiche e Religiose. Fu preso temperamento, che il Nunzio per delegazione della Sede Appostolica insieme con un Ministro del Re, che fu D. Pietro di Vera, giudicassero la causa de' Preti e de' Frati, e che a rispetto delle molte ed esecrande eresie, delle quali erano imputati, procedesse il Vicario Generale della Diocesi, con l'intervento di Benedetto Mandini Vescovo di Caserta.

      I Frati furono aspramente tormentati; ma il Ponzio in mezzo de' tormenti non lasciossi scappar di bocca nè pure una sola parola. Fu tormentato ancora il Campanella, di cui si legge una sua lunga deposizione fatta nel mese di febbrajo del nuovo anno 1600, nella quale, a guisa di fanatico e di forsennato, sia per malizia, sia per lo terrore, ora affermando, ora negando, tutto s'intriga e s'inviluppa: gli riuscì, per tante cose strane ed inette che gli usciron di bocca, farsi creder pazzo, onde fu condennato a perpetuo carcere, dal quale a lungo andare pure seppe co' suoi imbrogli uscirne; onde finalmente ricovratosi in Francia finì in Parigi i giorni suoi nell'anno 16392.

      I secolari sottoposti a' Tribunali del Re furono sentenziati secondo i delitti, de' quali erano convinti: il Consigliere Marcantonio di Ponte fu destinato Commessarie alle loro cause, e molti con crudelissima morte pagarono la pena della loro ribalderia. Maurizio Rinaldo essendo stato condennato alle forche, mentr'era per giustiziarsi avanti il largo del Castel Nuovo, disse, che per disgravio di sua coscienza dovea rivelare alcune cose di somma importanza; il Vicerè fece trattener la giustizia, e lo fece condurre in Vicaria, dove fece una lunghissima deposizione, nella quale minutamente espose l'ordine tenuto in questa congiura, e svelò maggior numero di congiurati, la quale ratificò anche ne' tormenti, e poco da poi portato di nuovo al patibolo, avanti la piazza del Castel Nuovo lasciò su le forche ignominiosamente la vita.

      Così dileguossi questo turbine, ma non per ciò, tornato che fu il Vicerè da Roma, ov'erasi portato in quest'anno del Giubileo, per render ubbidienza al Pontefice Clemente VIII in nome del Re, fu libero da nuovi timori del Turco; poichè Amurath Rays nel mese d'agosto del medesimo anno comparve con sei vascelli nelle marine di Calabria, e posta a terra la sua gente a' lidi della Scalea, meditava dar il sacco a quella Terra e luoghi circostanti; ma fattasegli valida resistenza da D. Francesco Spinelli Principe della Scalea, ancor che fugasse que' barbari, vi lasciò egli però miseramente la vita.

      Fu spettatore il Conte da poi di quella comedia, che un impostore volle rappresentare in Napoli sotto la maschera di D. Sebastiano Re di Portogallo, di cui nel precedente libro fu brevemente narrata la favola. Ed avendo la Contessa di Lemos moglie del Vicerè invogliato il Re a far un viaggio per Italia per vedere il Regno di Napoli; dandone Filippo speranza, il Conte riputando il Palagio regale di Napoli edificato da D. Pietro di Toledo, troppo angusto per un tant'Ospite, e per una così numerosa e splendida Corte, pensò d'edificarne un altro più maestoso e magnifico, ed ottenutosene assenso dal Re, ne fece fare il disegno dal celebre Architetto Fontana. Così cominciossi la fabbrica della nuova abitazione de' nostri Vicerè, la quale continuata da poi con non minor magnificenza da D. Francesco di Castro suo figliuolo, s'ammira ora per uno delli più stupendi e magnifici edificj di Europa, sufficiente a ricevere non uno, ma più Principi e Corti regali.

      Non si tralasciò ancora da Spagna, in tempo del suo governo, premere il Regno con nuovi donativi; onde ragunatosi un Parlamento generale in S. Lorenzo, nel quale, come Sindico, intervenne Alfonso di Gennaro nobile della piazza di Porto, si fece al Re un donativo d'un milione e ducentomila ducati, oltre di venticinquemila altri donati al Vicerè.

      Ma poco da poi infermatosi il Conte, fu il male così pertinace, che sempre più avanzandosi, finalmente a' 19 d'ottobre di quest'anno 1601 gli tolse la vita. Fu il suo cadavere con magnifico accompagnamento trasportato nella Chiesa della Croce de' Frati Minori, dove gli furon celebrate pompose esequie. Governò egli il Regno due anni e tre mesi, nel qual tempo promulgò diciassette Prammatiche tutte savie e prudenti, per le quali si emendano molti abusi ne' Tribunali, e si danno altri salutari provvedimenti, che possono vedersi nella tante volte accennata Cronologia, prefissa nel primo tomo delle nostre Prammatiche.

      Lasciò morendo, in vigor di regal carta venutagli mentr'era infermo, per Luogotenente del Regno D. Francesco di Castro suo figliuolo, giovane di 23 anni, ma maturo di senno e di prudenza, il quale lo governò insino ad aprile del 1603, nel qual tempo pubblicò diece savie Prammatiche, ed ebbe pure ad accorrere alle scorrerie del Bassà Cicala, il quale nel 1602 pose le sue genti in terra alle marine del Regno, e saccheggiò Reggio3. Cedè egli il governo al Conte di Benavente, eletto da Filippo per nostro Vicerè, di cui ora bisogna brevemente ragionare.

      CAPITOLO II

      Del Governo di D. Giovanni Alfonso Pimentel d'Errera Conte di Benavente; e delle contese, ch'ebbe con gli Ecclesiastici per la Bolla di Papa Gregorio XIV, intorno all'immunità delle Chiese

      Giunto che fu il Conte in Napoli a' 6 aprile di quest'anno 1603 mostrò un'applicazion continuata alla retta amministrazione della giustizia, e vedendo rilasciata la disciplina, riprese il rigore, e con serietà attese ad emendare gli abusi de' Tribunali, a sollecitar le cause criminali, ordinando di più, che tutti i processi, che marciavano ne' Tribunali delle province venissero in Napoli, dove sollecitamente fossero spediti i rei, o con morte, o col remo, o con altri castighi a proporzione de' delitti, de' quali erano convinti. Fu rigido e severo in punir i delinquenti, e sovente non faceva valer loro il refugio alle Chiese, cotanto era cresciuto il numero de' ribaldi, siccome tuttavia cresceva quello delle Chiese, onde con facilità si ponevano in salvo: ciò che accese nuove contese con Roma


Скачать книгу

<p>2</p>

Toppi Biblioth. pag. 295.

<p>3</p>

Thuan. tom. 3 lib. 127 p. 971.