Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9 - Giannone Pietro


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ed una volta vi recitò una Commedia da lui composta, che fu intesa con grandissimo plauso.

      S'ascrissero parimente in quest'Accademia quasi tutti i Letterati, che si riputavano a que' tempi i migliori, come il Cavalier Giambattista Marini, Giambattista della Porta, Pietro Lasena, Francesco de Petris, il nostro Consigliere Scipione Teodoro, Giulio Cesare Capaccio, Ascanio Colelli, Tiberio del Pozzo, Anton-Maria Palomba, Giannandrea di Paolo, Paolo Marchese, Giancamillo Cacace, che fu poi Reggente, Colantonio Mamigliola, Ottavio Sbarra, e molti altri.

      A questi medesimi tempi nel Chiostro di S. Pietro a Majella ne fioriva un'altra, della quale era Principe D. Francesco Caraffa Marchese d'Anzi, e vi s'arrolarono D. Tiberio Caraffa Principe di Bisignano, Monsignor Pier Luigi Caraffa, Giammatteo Ranieri, Ottavio Caputi, Scipione Milano, ed alcuni altri.

      Ma per vizio di quest'età erano professate le lettere non da tutti con quella politezza e candore, che si vide da poi verso la fine dello stesso secolo. La nostra Giurisprudenza non mutò sembiante, ed i Professori così nelle Cattedre, come nel Foro, de' quali era il numero cresciuto, seguitavano i vestigj de' loro maggiori. La filosofia era ancor ristretta ne' Chiostri, dove s'insegnava al lor modo Scolastico. La Medicina era professata da' Galenici. Lo studio delle lingue, e spezialmente della latina, e l'erudizione era ristretta ne' Gesuiti. La Poesia, tutta trasformata, era esercitata da' stravaganti cervelli; e l'Istoria da pochi era trattata con dignità e nettezza.

      Non fu però, che in mezzo a tanti, alcuni nobili spiriti, allontanandosi da' comuni sentieri, non calcassero le vere strade, li quali a lungo andare dieder lume a' posteri di seguire le loro pedate; ma a questi tempi essendo pochi e rari non poterono far argine ad un così ampio ed impetuoso fiume. Rilusse Giambattista della Porta, cotanto noto per le opere, che ci lasciò. Pietro Lasena Avvocato ne' nostri Tribunali e letterato di profonda erudizione. Fabio Colonna celebre Filosofo e Matematico. Mario Schipani valente Medico e cotanto amico del virtuosissimo viaggiante Pietro della Valle. Costantino Sofia, al quale Lasena dedicò il suo libro de' Vergati; ed Antonio Arcudio, Sacerdote del Rito Greco, ed Arciprete di Soleto nella provincia d'Otranto, professori di lingua Greca, amendue Maestri del Lasena e Niccolò-Antonio Stelliola, Maestro del famoso M. Aurelio Severino. E se Francesco de Petris diede fuori a questi tempi quella sua sciocca Istoria Napoletana, ben vi furono alcuni valenti investigatori delle nostre memorie che la derisero, e che diedero saggi ben chiari di quanto sopra lui valessero: fra' quali non deve tralasciarsi qui privo della meritata lode Bartolommeo Chioccarello: costui, per la testimonianza, che a noi ne rende Pietro Lasena16, che fu suo grande amico, non cedeva a uomo nelle più laboriose ricerche delle nostre antichità, tanto che s'acquistò il titolo di Can bracco. Egli per lo spazio di quaranta e più anni consumò sua vita in ricercare tutti i regj Archivj di questa città: quello della Regia Zecca, l'altro grande della Regia Camera e quello de' Quinternioni; ed anche l'altro della Regia Cancelleria: vide quasi tutti li protocolli, ed atti de' Notari antichi di Napoli: le scritture de' Monasteri più antichi, e tutti gli Archivj de Monasteri famosi, e delle Città più celebri del Regno: donde per commessione datagli nel 1626 dal Duca d'Alba Vicerè, raccolse que' 18 volumi di scritture attenenti alla regal giurisdizione. Raccolta quanto laboriosa, altrettanto gloriosa e degna d'eterna ed immortal memoria, per la quale i sostenitori della regal giurisdizione si fanno scudo e difesa contra le tante intraprese degli Ecclesiastici, che non hanno altro scopo, che d'abbatterla.

      Le costui pedate seguitarono D. Ferdinando della Marra Duca della Guardia, e D. Camillo Tutini Sacerdote Napoletano, celebre ancor egli per le opere che ci lasciò. Se D. Francesco Capecelatro suo coetaneo avesse proseguito il suo lavoro, certamente avrebbe a noi lasciata una perfetta Istoria Napoletana. Ed Antonio Caracciolo Chierico Regolare Teatino diede nei suoi libri, che ci lasciò, saggi ben chiari quanto sopra questi studi intendesse. S'innalzò poi sopra tutti costoro il famoso Camillo Pellegrini Capuano, il più diligente Scrittore, ed il più savio ed acuto critico che abbiamo noi delle nostre antichità e delle nostre memorie.

      Ma ritornando al conte di Lemos, dopo avere illustrata Napoli con l'innalzamento dell'Università degli studi, non tralasciò d'adornarla l'altri edificj. A lui devono i Gesuiti la fondazione del nuovo Collegio di S. Francesco Saverio. A lui dobbiamo quella grande opera de' mulini aperti fuori le mura della città presso Porta Nolana; ed a lui deve anche il Regno d'aver resi più comodi i viaggi terrestri, con far costruire nuovi Ponti. Ma furon interrotte le speranze di ricever da lui beneficj maggiori dall'avviso, che s'ebbe d'avergli li Re Filippo destinato per successore il Duca d'Ossuna, che si trovava allora Vicerè in Sicilia. Abbandonò tosto egli il governo del Regno, e lasciato D. Francesco suo fratello in sua vece, fino all'arrivo del successore, si partì a' 8 di luglio di quest'anno 1616 alla volta di Spagna, per andare ed esercitare la carica di Presidente del supremo Consiglio d'Italia. Ci lasciò ancor egli più di 40 utili e sagge Prammatiche, le quali secondo l'ordine de' tempi s'additano nella tante volte rammentata Cronologia.

      CAPITOLO IV

      Del Governo di D. Pietro Giron Duca d'Ossuna; e delle sue spedizioni fatte nell'Adriatico contra Vineziani, ch'ebbero per lui infelicissimo fine

      Il Duca d'Ossuna, ne' principj del suo governo, mostrò un'applicazione grandissima ed una assiduità indefessa nell'ascoltare e provvedere a' bisogni del Regno, usando molto rigore perchè la giustizia fosse senza eccezion di persone rettamente amministrata, e nell'istesso tempo somma magnificenza e liberalità per cattivarsi universal applauso e benevolenza: per cattivarsi quella del Popolo fece togliere due Gabelle, poco prima per certo determinato tempo imposte; e per quietare la Corte di Spagna insospettita di ciò, diede a credere, che ciò notabilmente avrebbe giovato al Patrimonio Regale, ed alleggeriti i sudditi, e resigli più abili a soffrire le imposizioni; e per confermare questi concetti con le opere, sollecitò un donativo dal Regno d'un milione e ducentomila ducati, che mandò a presentare al Re per li bisogni della Corona.

      Ma una nuova guerra accesa in Italia per la morte di Francesco Gonzaga Duca di Mantua, della quale il Cavalier Battista Nani17 distesamente notò i successi e le cagioni, intrigò il Duca d'Ossuna in cose più difficili e gravi. Per le cagioni rapportate da questo Scrittore, Filippo III fu indotto ad entrarvi, e ad opporsi al Duca di Savoja, al quale con sopracciglio spagnuolo imperiosamente avea comandato, che restituisse tutto l'occupato in Monferrato. Li Veneziani all'incontro favorivano il Duca con forze e denari, onde nacquero i disgusti tra la Corte di Spagna con quella Repubblica. S'aggiunse ancora, che al Re Filippo, essendosi il Senato Veneto per cagion degli Uscocchi disgustato coll'Arciduca Ferdinando, fu duopo assistere all'Arciduca cotanto a lui stretto di parentela, e di sovvenirlo. Ma non perciò s'era fra la Repubblica ed il Re dichiarata aperta guerra, nè licenziati dalle loro Corti gli Ambasciadori.

      Il Duca d'Ossuna però, secondando il genio degli Spagnuoli che pubblicavano di voler movere apertamente le loro truppe contra Veneziani, nell'istesso tempo, che il Cardinal Borgia proccurava in Roma concitargli contra il Pontefice, non tralasciò quest'occasione d'ubbidire insieme a' comandi della Corte di Madrid, e di soddisfare il suo animo, che tenne sempre avverso a' Veneziani; e por opporsi al Duca di Savoja per la guerra del Monferrato, spedì al Governador di Milano replicati soccorsi, mandandovi quattro compagnie di cavalli leggieri, e sedici d'uomini d'arme, sotto scorta di D. Camillo Caracciolo Principe di Avellino, e seicento Corazze comandate da D. Marzio Caraffa Duca di Maddaloni; e per l'altra guerra, che per cagion degli Uscocchi si faceva dalla Repubblica agli Stati dell'Arciduca, armava Vascelli per infestare l'Adriatico, parte alla Repubblica sommamente gelosa. Sapeva l'Ossuna, che non poteva più nel vivo toccar i Vineziani, che col turbare il Dominio, ch'essi vantano del Mare Adriatico, infestare il commercio e romper il traffico, ancorchè da ciò ne dovessero ricevere danno i sudditi stessi del Regno, che tenevano opulente negozio nella città di Venezia; perciò fu tutto inteso, non tanto a raccoglier milizie per soccorrere il Milanese, quanto ad armar Vascelli per molestare i Vineziani; onde rotta la sicurtà de Porti, rappresagliò la nave di Pellegrino de' Rossi. Narra il Nani18, che avendo la Repubblica per mezzo del suo Ambasciador Gritti fattane di ciò doglianza colla Corte di Spagna, avesse ottenuti ordini diretti all'Ossuna di rilasciarla; ma che costui con superbissimo animo li disprezzasse, non senza sospetto di


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<p>16</p>

Lasena Dell'Antico Gin. Nap. cap. 1.

<p>17</p>

Nani Istor. Venet. lib. 1.

<p>18</p>

Nani Istor. Venet. lib. 3 Anno 1617.