E Non Vissero Felici E Contenti. Federica Cabras

E Non Vissero Felici E Contenti - Federica  Cabras


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      «E dove andrai? In cosa consiste questo impiego?»

      Per quanto gli dispiacesse, una parte di lui era sollevata: forse alla fine avrebbe finito per cederle, per donarsi a lei. Non lo voleva. Lei era giovane, bella, intelligente; lui avrebbe ucciso tutte le sue belle qualità, relegandola a una vita basata sull’arte di accontentarsi. Accontentarsi di un uomo privo di cuore, non capace di amare.

      «Alla Spoline&Co.»

      «Wow! Congratulazioni, Giorgia! È un gran studio… un traguardo notevole!»

      «Già. Ora vai, hai del lavoro da fare.» aggiunse lei, girando il volto.

      Piangeva singhiozzando; solo non vedere la sua faccia avrebbe, piano piano, lenito quel suo senso di delusione.

      Lui accolse quella sua richiesta implicita e si allontanò a gran passi. Poco dopo la vide abbracciare qualche collega e andar via. Non si avvicinò nemmeno; quella storia, troncata sul nascere, doveva smettere di esistere anche nei loro pensieri.

      «Eddie! Giorgia va via! Non l’hai nemmeno salutata! Non hai sentito? Ha un impiego alla Spoline&co. Cazzo che culo, santo cielo. È una vita che voglio passare lì,» disse Sergio sedendosi accanto a lui e lanciando una pallina da tennis contro il muro ripetutamente «ma zero che mi considerano. Secondo me usano il mio curriculum, che diligentemente faccio avere loro almeno una volta l’anno, come carta igienica. Poi arriva Giorgia che, per carità, è sveglia e quello che vuoi, ma è giovane e viene presa. Per me è perché ha un bel culo.» constatò con una punta di sessismo non indifferente.

      «Sergio, lei è brava, molto brava. Avranno visto il potenziale.»

      «Sei dalla sua parte e non dalla mia?» chiese non senza indignazione.

      «Non c’è da essere da una parte o da un’altra, cavolo. È solo questione di capire che il potenziale c’era.»

      «Perché non scherzi? Non ti esponi?»

      «Che intendi dire?» lo rintuzzò lui, scocciato.

      «Quando è arrivata abbiamo passato ore – ma che dico, ore? Giorni! – a ridere del fatto che finalmente, dopo Bessy, avessimo trovato un bel culo da veder passeggiare qua e là in ufficio. Sembra così ma questo lavoro è noioso, ti stressa. Grazie a lei bastava un’occhiata e tornava tutto a posto!»

      «E che vuoi che ti dica? Siamo adulti, Sergio.»

      «Avete fatto sesso!» capì il ragazzo.

      Ora si spiegava tutto; i progetti dopo il lavoro, i messaggi, gli sguardi. Non era amicizia.

      «Sei fuori strada, Se’»

      «E allora dimmi! Spiegati!»

       Si mise in attesa, posando la pallina e i piedi nella scrivania.

      «Ci ha provato. Spesso. Ieri sera il culmine. Era bellissima, sexy e tutto il resto. Ci siamo strappati quasi i vestiti di dosso, eravamo furie e poi…»

      «Poi?» impaziente, l’amico, lo incitò a continuare.

      «Niente. Sai come sono. Le ho detto che…»

      «Fammi indovinare. Le hai detto che alla fine ami tua moglie – malgrado sia una brutta stronza senza cuore capace di tagliare la gola a chiunque – e forse hai raccontato anche di tua figlia. Hai messo su quello sguardo e l’occasione è sparita. Ma sì, sai quale sguardo. Quell’espressione che ti esce quando sai che potresti essere felice ma decidi di non farlo, perché la vita è stata ingiusta e tu devi pagare per qualcosa che non è avvenuto per colpa tua.»

      «Stai minimizzando la situazione.»

      «Stronzate!» irruppe Sergio. «Le occasioni per essere felice non ti sono certo mancare, ingrato che non sei altro. Perché devi pagare? Perché tua figlia è morta?»

      «No! Devo pagare perché la cattiveria di Sandi l’ho voluta io!»

      «Ma per favore! Quella donna era una vipera anche quando l’hai conosciuta. Era l’arpia più maligna e bella di tutto l’universo. Ma tu eri felice e lei sembrava giovare della tua vicinanza. Per questo non l’ho ammazzata con le mie stesse mani, malgrado avessi già capito che ti avrebbe portato alla rovina.»

      «Sergio, non esagerare!»

      «Non esagerare? Tu non hai mai saputo come è morta tua figlia. Lei era lì e tu no. La bambina stava benone e poi…»

      «Smettila!» si tappò le orecchie l’uomo.

      «Non sto dicendo che è stata lei, non fraintendermi. Non so cosa sia successo, e nemmeno tu… ma nella tua testa ha sempre albergato il dubbio. Ecco perché l’avresti perdonata solo se ti avesse reso nuovamente padre!»

      «E ho sbagliato! Molto! Ne pagherò le conseguenze!»

      «Sei uno stolto, se pensi che Sandra Alti un giorno ti riprenderà tra le sue braccia… e tra le sue gambe.»

      «Sergio…»

      «No, non voglio sentirti. Svegliati, porca puttana.»

      «Mi dispiace così tanto. Sarò pronto, lo giuro. La dimenticherò. Ma non oggi e non con Giorgia.»

      «Ok, va bene. Scusa. Scusa davvero, non sono fatti miei e…»

      «No, hai torto. Sono anche fatti tuoi. D’altronde sei tu che mi hai sollevato quando volevo solo morire. Solo mi serve un po’ di tempo.»

      «Prendi il tempo che vuoi, amico. Io sarò qui.»

      Prese la sua pallina da tennis e si diresse verso la sua scrivania.

      «Se’?»

      «Dimmi.»

      «Non è morta per colpa di Sandi. Non è stata negligenza. Lo so che sembra cattiva, ma amava Ginevra. La amava quanto la amavo io.»

      «D’accordo, d’accordo.» disse, senza convinzione.

      «A dopo.»

      «Già.»

      8

      Sandi era a lavoro. Dalla sua postazione doveva assicurare almeno 90 imballaggi all’ora. Prendeva un palmare nel cui display compariva una serie di numeri e cercava gli articoli corrispondenti. Poi li metteva nella scatola e la chiudeva. Era un lavoro di concentrazione. Non ci si poteva incantare o il nastro trasportatore che portava via le scatole avrebbe segnato il ritardo e si sarebbe perso il bonus-velocità.

      Sandi amava dire che quel posto fosse un tempio del menefreghismo. Dei supervisori per chi stava sotto, è chiaro.

      «A quante scatole sei, Sa’?» domandò Lavinia.

      Lavinia aveva ventiquattro anni, era minuta e aveva un’aria divertente. Prendeva il lavoro seriamente, tuttavia ogni tanto, mentre i fatti suoi le attraversavano la testa, si scopriva a guardare il vuoto. Ecco perché non riusciva mai a prendere il bonus.

      «Lavinia, muoviti o anche oggi ti sgrideranno. Siamo solo in due, malgrado ci sia lavoro per quattro o cinque. Ma dobbiamo arrangiarci così.»

      «Speriamo che arrivi Gaetano!» mormorò, sognante.

      «Sei folle?»

      Gaetano era il supervisore di quell’ala. Comprensivo come un sociopatico, compassionevole come un pappone e bello come un attore. Ecco cos’era Gaetano. Ma se a Sandi non poteva fregare un piffero di lui e delle sue battute sarcastiche Lavinia usciva di testa ogni volta che lo vedeva.

      «A quest’ora, di solito, è già passato a insultarci.» annunciò, enfatica.

      «Ecco, infatti che poi… Ma per la miseria, parli del diavolo…»

      «E arrivo io.» concluse con tono indifferente Gaetano. «Perché stavate parlando di me?»

      «Oh, niente. Dicevamo che è un gran bel lavoro. Il lavoro dei sogni.»

      «Fanculo,


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