E Non Vissero Felici E Contenti. Federica Cabras

E Non Vissero Felici E Contenti - Federica  Cabras


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malizia. E per lui sarebbe stato fin troppo facile abbandonarsi a lei, totalmente e irrazionalmente. Era un uomo, non un santo, ed era fatto di carne, ossa e cuore – un cuore che non batteva più da tempo ma che non era ancora morto.

      «Eddie, ascolta. Io so che stai attraversando un momento difficile, con tua moglie. Ne parlano tutti, qui in ufficio. Voglio farti sapere che» disse con sensualità «io per te ci sono. Ci sono sempre.» Era il giorno dell’Immacolata, e lei si era recata in studio per finire una pratica con lui. Erano solo loro, in un edificio enorme. E lui l’aveva desiderata così ardentemente che fu un tormento alzarsi e scappare da lei con una scusa. Prima però aveva appoggiato le labbra sulla pelle candida del suo collo, ringraziandola.

      Eccoli, i dannati vuoti spazio-temporali dove lui perdeva capacità di giudizio e percezione della realtà. Tornò in sé e digitò un messaggio.

      “Sì, dai. A stasera. In ufficio. Porto la cena io.”

      “A stasera, bye mon amour. Pensami.”

      E nemmeno sapeva quanto lui l’avrebbe ascoltata. Mise le cuffie nelle orecchie e riprese una marcia veloce.

      4

      Sandi uscì all’ora di pranzo. Sarebbe andata a mangiare da una sua amica; avrebbe potuto persino trattenersi fino a cena: suo marito era fuori per lavoro, e sarebbe stato carino passare una serata tra amiche.

      Passò dal negozio e comprò un paio di regali. Olivia aveva quattro figli, due femmine e due maschi, e i soldi non erano troppi, in quella casa. Sapeva, quindi, che i bambini sarebbero stati entusiasti di ricevere un pensierino. Per lei e l’amica invece prese una bottiglia di liquore alla mandorla; sperava aiutasse a lenire le sofferenze di due vite infelici. Quando bussò al portone malconcio, vecchio e con le vernice verde parzialmente scrostata era quasi l’una. Olivia aprì alla porta con un paio di occhiali grossi e scuri. Era una bella giornata di sole, sì, ma dentro casa le tapparelle lievemente spostate verso il basso creavano un’atmosfera cupa.

      «Che diavolo accade, Olivia?» chiese con il cuore a mille Sandi.

      «Oh, cara mia. Nulla di grave. L’ho sbattuto fuori di casa, tranquilla.»

      «Ma… io… Io non capisco.» asserì confusamente Sandi, con un tono che andava dal rammarico alla desolazione.

      «Oh, piccola, entra, ti spiegherò.»

      Sandi varcò l’entrata, si tolse il cappotto e la guardò. Aspettava, cauta, che l’amica si sbilanciasse. I bambini giocavano in un’altra stanza.

      «Oh, Sandi. So che con Eddie vanno male le cose. Ma non metterti con un uomo come Dario.»

      «Ti ha picchiata?»

      «Tra le altre cose…» mormorò, sconfortata Olivia. Era una combattente, una a cui non la si fa sotto il naso. Ma quella volta era triste, abbattuta.

      «Ieri, dopo aver chiamato te, abbiamo fatto una cenetta romantica. Volevo dirgli una cosa. Una cosa importante, sì.»

      «Sei incinta, vero?»

      «Assolutamente sì. Credimi che non so come sia potuto accadere. Sono stata attenta come non mai. Ma è accaduto. Per tutto il mese ho avuto nausee, dolori allo stomaco, fiacchezza. Ho attribuito il tutto al ferro, non sto mangiando abbastanza carne. Poi ho fatto il test. E ho scoperto che, no, non era proprio la carne il problema. O meglio, era un pezzo di carne sì…» aggiunse, maliziosa. Riusciva a scherzare anche ora, in un momento drammatico, e triste, e disperato.

      «E quindi?»

      «Si è incazzato! Come una iena, oserei dire. Si è alzato dal tavolo e mi ha detto: “Non hai intenzione di smetterla di sfornare marmocchi come fanno le coniglie?”. Allora gli ho detto che non mi ero certo montata sopra da sola, per rimanere incinta. Ho visto un lampo d’odio nei suoi occhi ed è corso verso Matthias. L’ha preso e ha gridato: “Credi che io non sappia che questo non è figlio mio? Pensi che non abbia scoperto che te la fai con un altro?” Ovviamente era una scusa. Proprio Matthias, che è la sua copia sputata. Il bimbo ha urlato, lui l’ha schiaffeggiato… poi ha preso Linda. Anche per lei ha detto la stessa cosa; detto fra noi, Linda davvero non sembra figlia sua. Che Dio mi benedica, io nemmeno ci penso ad altri uomini. È già tanto se penso a lui mentre, con le gambe aperte, attendo che abbia finito per potermi dedicare alle mie faccende. Lei ha urlato, ha pianto e si è divincolata. Lui l’ha lanciata – lanciata nel vero senso della parola, che l’Inferno lo inghiotta – per terra. Io mi sono fiondata, l’ho colpito. Ma lui me le ha ridate. Poi ha detto: “Cresci i tuoi stronzetti da sola, me ne vado!” e io l’ho lasciato andare. Guarda…»

      Indicò con un indice mangiucchiato la finestra che dava sul retro. Un falò bruciava, scintillante.

      «Cosa bruci, Olivia?»

      «I suoi fottutissimi impestati vestiti.» disse, soddisfatta. «Gli ho detto al telefono, a quel bastardo figlio di puttana, che lo sto aspettando a braccia aperte. E gli ho detto anche che se torna gli sfondo la testa con una mazza di baseball e lo seppellisco in giardino, per concimare i miei fiori. Che il suo corpo putrefatto alimenterà le mie rose. Ecco cosa gli ho detto. E che se tocca i bambini se ne pentirà amaramente.»

      «Lui che ti ha detto?» si informò Sandi.

      «Nulla, che credi? Mi ha presa alla lettera. Sa che non mento e che non ho paura. Io quel cervello bacato glielo tiro fuori dal cranio davvero, se torna. Ah, mi ha detto che anche lui ha un occhio nero. Gli ho fatto un occhio nero, capito? E cosa vuole? Un rimborso? Un mazzo di rose? Un paio di frasi di scuse? Bastardo stronzo.»

      «Ah, be’. Sono felice che tu sia così.»

      «Così come?»

      «Così forte, Olivia. Così decisa.»

      «Oh, io non sono né forte né decisa in questo momento. Io sono triste e amareggiata: non sono stata capace di difendere i miei figli, Sandi. Linda ha un livido nella gamba sinistra, e Matthias è nervoso, agitato. Gli altri due hanno solo guardato. Samuele se l’è vista brutta: è un guerriero, stava partendo per difendere la sorella; Dana non si è mossa, e dalla paura si è fatta la pipì nei pantaloni. Sono riuscita tardi a calmarla. Mi hanno chiesto se devono chiamarlo papà, ma ero troppo arrabbiata. Non sgridarmi. Gli ho detto che non devono chiamarlo proprio.»

      «Oddio, e ora il bambino che aspetti… Come farai?»

      «Oh, farò dolcezza. Ne ho sfornati altri quattro. Un quinto non sarà certo un problema. Che poi, detto fra noi, io ho chiuso con gli uomini.»

      «Ah, ben fatto. Stasera non puoi berne, allora.» domandò Sandi, indicando la bottiglia di liquore.

      «Oh no scordatelo. Io berrò succo d’ananas, ma tu puoi bere. Quando arrivi qui con una bottiglia vuoi ubriacarti per forza, non ti toglierò questo diritto. Mi piaci da morire, quando sei ubriaca. Non sei fredda e distaccata come al solito. Sei sveglia, attiva, espansiva. Sarà divertente.» sentenziò, infine.

      Poi chiamò a raccolta i suoi bambini e insieme mangiarono pasta al forno, fettine di tacchino e tiramisù.

      Sandi notò una tristezza nei loro occhi giovani che non aveva mai visto. La piccola Dana aveva gli occhi gonfi e rossi. E tremava, mentre con la manina chiara prendeva il cucchiaino con una piccola porzione di dolce. Lei la guardò e le sorrise, poco convinta. La bambina non rispose.

      «Vi sono piaciuti i giochini, bimbi?» domandò per svegliarli da quel torpore e dalla delusione che sanno mostrare solo i bambini quando le certezze crollano come una casa malconcia sotto un uragano.

      «Sì, ci sono piaciuti, zia.» affermò Samuele.

      Con il camion – quel bellissimo camion verde e rosso – avrebbe certamente giocato di lì a poco anche se quella storia era ancora così vivida, e dolorosa, e pungente nella sua mente.

      «Oh, forza bambini! Dite qualcosa alla zia. Raccontatele di quel cartone, come diavolo si chiama…» si perse Olivia.

      Niente, proprio non lo ricordava.


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