Storey. Keith Dixon
STOREY
KEITH DIXON
Semiologic Ltd
Traduzione: I Edizione Tektime
Copyright Keith Dixon 2017
Ai sensi del Copyright, Designs and Patents Act 1988, Keith Dixon detiene il diritto di essere identificato come lâAutore di questa opera.
Tutti i diritti sono riservati.
Nessuna parte del libro può essere riprodotta da mimeografo, fotocopie, o nessun altro mezzo, elettronico o fisico, senza il permesso dellâautore.
Qualunque analogia con persone esistenti o esistite è puramente casuale.
Per informazioni contattare: [email protected]
Foto di copertina © David Holt sotto Licenza Creative Commons
Progetto grafico: Keith Dixon
Traduzione dallâinglese di Andrea Piancastelli
Titolo originale: Storey
I Edizione originale: Semiologic Ltd
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i primi due libri della serie Le Indagini di Sam Dyke!
CAPITOLO UNO
LA TERZA VOLTA che Paul Storey la vide fu quello che avrebbe ricordato in seguito, quando tutto andò storto.
Non lo guardò né disse nulla, almeno non inizialmente. Ma lui sapeva che lo avrebbe notato entrando. Anche in una stanza piena di gente câera qualcosa nel modo in cui lei lo ignorava â una consapevolezza programmata.
Si domandò se fosse il caso di raggiungerla, una presentazione casuale, sedersi di fronte a lei ad uno dei tavoli neri e squadrati e attaccare discorso. Vieni qui ogni giorno, vero?
⦠No, troppo ovvio. Non era lâeffetto che stava cercando. Forse non avrebbe dovuto dire niente, solo estrarre una sedia, aprire un giornale, farle un cenno col capo, fare le parole crociate.
Allora poteva pensare che la stava pedinando. Cosa non vera. Era una donna attraente e lui lâaveva solo notata â¦
Entrava da Starbucks alla stessa ora tutte le mattine, appena prima di pranzo. Abiti diversi ogni giorno ma di classe, bel taglio, gonna giusto sotto al ginocchio, camicetta aderente sul petto. Come una donna che lavora in affari ma cerca comunque un tocco di sensualità . Portava una piccola ventiquattrore marrone con fibbie dorate. Tacchi un po' alti ma non provocanti. Capelli biondi pettinati con cura, lisci, appuntati dietro alle orecchie ⦠no, un orecchio: lâorecchio che usava quando era al telefono.
Trovava sempre un tavolo vicino alla vetrina che dava su Broadgate, dopo la statua di Lady Godiva e verso Wagamama e il bar accanto. Aveva un piccolo computer che apriva e a cui dava unâocchiata, poi si fermava e osservava fuori dalla vetrina. Si mordeva il labbro inferiore. Dava un sorso al vino bianco e fermo di Starbucks. Aveva un bel corpo, fronte alta e sopracciglia arcuate che sembravano disegnate con una matita, un tocco di colore sulle palpebre. Un naso corto e dritto, ma labbra che potevano essere state lievemente aumentate. La sua pelle era perfetta.
Questa volta era stata a sedere solo per cinque minuti e già si stava rialzando, organizzando le sue cose nella borsa â chiavi, portafoglio, pacchetto di Kleenex, il resto in monete del conto pagato al barista. Stava rimettendo il computer nella ventiquattrore. Sembrava irritata, nervosa, ora ferma in piedi a fissare fuori dalla vetrina le persone di passaggio.
Poi si girò guardandolo in modo diretto.
Ora stava camminando nella sua direzione e lui non poteva muoversi. Era in trappola, a sedere su uno degli sgabelli dellâaltra vetrina, vicino allâamplificatore che emetteva Dylan.
Disse, âSe hai intenzione di fissarmi ogni giorno potresti almeno presentarti.â
âAspettavo il momento giusto. Questo non lo era.â
âChe cosa vuoi?â
âVivere un giorno alla volta senza complicazioni. Grazie dellâinteressamento.â
âDa me. Che cosa vuoi da me?â
Si stava buttando a capofitto. A lui piaceva questo. Era lâunica cosa che aveva ammirato delle donne di Londra â andavano di fretta. Significava che poteva andare alla loro velocità o rallentare. Non era sempre lui a regolare i tempi, cercando di capire a che velocità viaggiare. Bello trovare qualcuno così nella vecchia città natale.
âMi domandavo perché sei venuta quiâ, disse.
âPerché non dovrei?â
âSei vestita da ufficio. Ti sei inventata tutto. Hai un piccolo computer anonimo e uno smartphone e ti siedi in un angolo e giochi alla donna dâaffari. Dove credono che sei, le persone, quando parli con loro al telefono? Qual è lâindirizzo dellâufficio sul tuo biglietto da visita? Non posso farne a meno â mi chiedo queste cose.â
âSei uno sbirro?â
âTi sembro uno sbirro?â
Lo osservò dallâalto in basso come se non avesse mai pensato di guardarlo prima.
âPotresti esserlo. Così a prima vista.â Disse.
âAssicurazioni.â
âNelle vendite?â
âPerito. La tua casa è ridotta in cenere o si allaga, io ti dico quanto dovrebbe essere il risarcimento.â
âMa sei da Starbucks ogni giorno. Osservando donne strane e spaventandole a morte.â
âTu non sei spaventata.â
âNon lo sono? Come lo sai? Come fai a sapere comâè andare in un luogo pubblico e trovare qualcuno a fissarti ogni giorno?â
Paul alzò le spalle. âNon pensavo che fosse così ovvio. Cercavo di nasconderlo.â
âVoglio solo venire qui e prendere il mio caffè e non essere osservata. Per te va bene?â
Stava esaurendo le sue riserve, il senso di minaccia stava lasciando i suoi occhi. Lui cercò di stabilire il suo accento â una vaga cadenza scozzese, più della costa orientale che occidentale. Era così accennata che si chiese se lâaveva persa vivendo al sud. Era affascinante, ti faceva venire voglia di sentirla parlare, solo per seguire le sue tonalità .
Ora strinse la presa sulla valigetta e spostò il suo peso da un piede allâaltro. Indossava la sua solita camicetta bianca sotto alla giacca nera e a lui sembrò di intravedere un reggiseno nero. Non così professionale, dunque.
âCome ti chiami?â, disse lei.
âPaul Storey.â
âCon o senza e?â
âCon. Poche persone lo chiedono. Hai intenzione di fare ricerche su di me su Google?â
âDovrei?â
âNon lo farei. Come ti chiami?â
âNon esiste. Pensavi che fissandomi a sufficienza ti avrei chiesto di uscire?â
âMi è passato per la mente.â
âNon accadrà .â
âMessaggio ricevuto.â Abbassò la voce. âCosa succede?