Una Linea Sottile. Oreste Maria Petrillo

Una Linea Sottile - Oreste Maria Petrillo


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la buona sartoria. Qualcuno potrebbe pensare che sono un egocentrico vanitoso. Quel qualcuno avrebbe ragione. Non esito ad annodarmi compiaciuto una bellissima “Marinella’’ rosso aragosta, un piccolo piacevole ricordo che porto da Napoli in giro per il mondo.

      Laccato di tutto punto, raccolgo la mia ventiquattr’ore e prendo l’ascensore fino alla Hall. Nell’immenso salone ci sono svariati uomini che spaziano in lungo e in largo. Ognuno di loro potrebbe essere Ferrari. A passo lungo mi avvio alla receptionist per chiedere se un certo Riccardo Ferrari si è fatto vivo. La ragazza allunga una mano in direzione delle poltrone vicine all’ingresso e precisamente verso l’unica persona seduta. Lo sconosciuto si accorge che lo sto fissando e si alza.

      Ha una forma imponente e uno sguardo deciso. Da questa distanza non posso esserne sicuro, ma da come gli cade addosso il vestito, avverto che ha un bicipite grosso come la mia testa e anche il resto del corpo pare seguire lo stesso repertorio.

      È decisamente diverso da come me l’aspettavo. Credevo che avrei avuto a che fare con il solito ometto sudaticcio di mezz’età con l’aria da usuraio, un bel po’ di trippa sulla pancia e pochi capelli in testa. Questo qui mi sembra piuttosto il clone di un guerriero spartano con lancia e mantello.

      Speravo di affrontare il Pinguino invece mi trovo davanti Batman.

      È anche piuttosto sicuro di sé dall’aria che sfodera.

      È venuto per la guerra.

      Muove qualche passo e mi si fa incontro con un mezzo sorriso per stringermi la mano. Ricambio accondiscendente.

      E guerra sia.

      Le mani rimasero strette per alcuni secondi. Nessuno dei due mosse lo sguardo dagli occhi dell’altro. Abbassare lo sguardo prima dell’altro avrebbe mostrato una debolezza che un abile professionista avrebbe potuto sfruttare nelle future mosse. Questo duello occhi negli occhi fu interrotto dalla receptionist che li indirizzò nella sala riunioni prenotata dalla Smithson.

      Senza emettere un fiato si accomodarono entrambi alla scrivania ovale in legno d’acero l’uno di fronte all’altro mentre la porta alle loro spalle veniva chiusa delicatamente. Ferrari emerse da quel silenzio carico di tensione e fece un cenno della mano verso un piccolo banco su cui stazionavano bibite e snack leggeri.

      <<Prendiamo qualcosa da bere prima delle trattative. So che in Inghilterra siete amanti del thè. Non la biasimo ma io preferisco la moka>> .

      Tancredi passò lievemente una mano sulla cravatta di seta che scivolava magnificamente sul doppiopetto con un sorrisetto: <<Devo deluderla avvocato Ferrari, ma io sono napoletano come lei. E per di più odio il thè!>>

      <<Che sorpresa. Devo dire che non è rimasto molto di partenopeo in lei. Spero abbia conservato la capacità di mercanteggiare>>, disse Ferrari alzando il bricco del caffè per versarsi una generosa dose di caffeina.

      <<Se vuole avere un’idea della mia capacità di mercanteggiare dovrei mostrarle la mia busta paga>>.

      <<Se è così sediamoci e mi dimostri che non stiamo perdendo tempo. Magari non verrò pagato ad ore, ma il mio tempo è altrettanto prezioso>>.

      Tancredi allungò una mano verso la ventiquattro ore e ne tirò fuori un voluminoso fascicoletto che posò alla sinistra del tavolo mentre Ferrari finiva il suo caffè.

      <<Avvocato Tancredi, ho già passato tutto il weekend a studiare i documenti del brevetto>>.

      Tancredi alzò lievemente le sopracciglia <<E..?>>

      <<E non mi sembra il caso di farmene visionare degli altri. Credo che possiamo parlare di affari senza scartoffie. Ascolto la sua proposta>>, disse Ferrari con la granitica certezza che quello che Tancredi aveva tirato fuori dalla valigetta fosse solo un mucchio di carta.

      Tancredi accavallò le gambe congiungendo le mani. <<La mia proposta è il cinquanta per cento. Tutti felici e contenti torniamo a casa a riprendere la nostra routine>>.

      Ferrari tirò indietro la testa e scoppiò in una fragorosa risata.

      <<E io che credevo che non volesse farmi perdere tempo. Avevo sentito parlare dello humor inglese>>, Ferrari si alzò in tutta la sua massiccia statura e lento, raccolse la sua giacca. <<Se questi sono i margini della trattativa non abbiamo niente di cui discutere>>, disse avviandosi verso la porta.

      <<Fossi in lei non avrei tanta fretta>>, disse Tancredi con assoluta tranquillità.

      Ferrari si bloccò mano sul pomello.

      <<Vede, immaginavo che avrebbe trovato ridicola la proposta, ma farebbe bene a vedere cosa c’è nel fascicolo prima di andare dai suoi clienti>>.

      Ferrari lasciò andare la maniglia e si girò di nuovo verso il tavolo delle trattative.

      <<Collega, non amo particolarmente i giochetti di prestigio. Se ha qualcosa da farmi vedere lo faccia ora oppure la trattativa finisce qui>>, rispose Ferrari con aria di sfida.

      <<Non si arrabbi. Cercavo solo di aggiungere un po’ di stile alla discussione>>, frecciò Tancredi.

      Riccardo, spinto più dalla curiosità che dall’aperta sfacciataggine del suo avversario tornò a sedere.

      <<Mi faccia dare un’occhiata>>.

      Due secondi dopo, carte alla mano, emise un sibilo.

      <<Che ne dice dello humor inglese?>>, domandò Tancredi.

      <<Come diavolo li ha avuti?>>, replicò Ferrari. Riccardo aveva appena posato gli occhi sull’intero trial clinico operato dalla Salus sotto la direzione di Alvarado. Documenti che, a rigor di logica, avrebbero dovuto essere secretati dall’ufficio amministrativo.

      <<Immagino che se facessi confrontare quei risultati con quelli registrati dalla Dreddson, qualche analista ne dedurrebbe che sono identici>>. Dall’incartamento tirò fuori un foglio matricolato dalla Dreddson e Co. e lo fece ciondolare davanti al suo ospite.

      Ferrari afferrò di getto il pezzo di carta. <<Non so come chiamiate questo nelle corti britanniche, ma da noi viene chiamato furto di proprietà industriale>>, esclamò Ferrari. <<E non so se negli albi professionali inglesi ci tengano ad avere professionisti accusati di furto>>.

      Tancredi alzò vagamente le spalle. <<I dettagli delle trattative sono privati e coperti dal segreto professionale>>, rispose, <<quindi a meno che non ci tenga a seguirmi nella categoria dei radiati, terrà la bocca chiusa. In ogni caso ci siamo solo io e lei qui>>.

      Ferrari era arrabbiato per l’imprevisto, ma evitò di perdere lucidità.

      <<Avvocato finora nessuno mi ha mai minacciato, ma d’altronde le vie di come documenti o registrazioni compromettenti possano finire davanti ad una commissione sono infinite. Anche in Inghilterra. Ora, se vuole, torniamo a comportarci da gentlemen e a parlare di affari>>.

      <<Sono d’accordo>>, rispose Tancredi.

      <<Allora mi faccia una nuova proposta, seria questa volta. Anzi gliela faccio io se permette>>, continuò Ferrari.

      <<La ascolto>>.

      <<Le do quindici milioni di sterline per abbandonare la cosa per sempre. E l’unica prossima volta che vorrò vedere un avvocato inglese sarà in qualche telefilm tipo “law and order”>>.

      <<Mi sa che di avvocati inglesi ne continuerà a vedere se l’offerta non cambia>>.

      <<Quanto aveva in mente?>>, disse Ferrari agguantando di nuovo il bricco e colmando la sua tazza vuota.

      <<Beh io pensavo più a qualcosa tipo cinquanta milioni subito, più il quaranta percento sulle vendite>>, asserì Tancredi.

      A


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