El sol que nunca vimos. Jaime Restrepo Cuartas

El sol que nunca vimos - Jaime Restrepo Cuartas


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a medio pulir, y al médico hay que esperarlo de su regreso del almuerzo. Al frente de la entrada hay una puerta batiente que da a una sala de procedimientos adonde está prohibida la entrada del público, y al lado, detrás de una puerta cerrada, se encuentra el consultorio. La enfermera les indaga el motivo de la consulta, frunce el ceño al escuchar a Tayel, les advierte que quizá no los puedan atender, esas cosas que cuenta no muestran que el caso sea urgente; sin embargo, les da la ficha con un número. El indio le paga mil pesos con monedas de quinientos y ella les indica dónde deben sentarse. “El médico es muy caritativo –se dirige a ellos– y no deja de atender a nadie”, se conduele al ver la angustia reflejada en la cara de Tayel.

      Justo a las dos de la tarde llega el médico con su bata blanca y el estetoscopio colgado en el cuello, mira en derredor, saluda con una sonrisa a los presentes, le da instrucciones a la enfermera y le ordena que haga pasar primero al más enfermo. Entra entonces el anciano asfixiado y Aracelly, la enfermera del lugar, lo ayuda a subir a la camilla. Sulay atisba por la puerta entreabierta, hasta que la enfermera la cierra tras de sí. “Respire hondo, respire hondo, diga treinta y tres”, se oye decir adentro. Con el anciano, Sulay siente que el médico se demora eternidades y luego lo escucha preocupado por la avanzada afección. Entonces oye cómo lo hace pasar a la sala de procedimientos y allí ve que le instala un suero y le pregunta a la enfermera si hay oxígeno. “No ha llegado todavía, doctor”, le responde Aracelly quejándose de la tardanza de ese camión destartalado que viene de San José con balas de oxígeno amarradas con cadenas y siempre llega tarde. Entonces el médico ordena que le ponga una inyección de aminofilina en el frasco de suero y la enfermera se va a cumplir el pedido.

      Luego de unos instantes de respiro, el médico mira a los que están sentados y se queda contemplando los ojos de Sulay. Su padre, viendo la dedicación, se levanta a contarle qué padecimientos tiene la muchacha. Apenas si alcanza a balbucear algo sobre cómo está decaída y tuntunienta, cuando el galeno le pone la mano en el hombro y le dice que espere un poco. “Hay otros pacientes más enfermos que ella”. Entonces toma del brazo a una de las mujeres que está sentada y carga a un niño desmadejado en su hombro. Los ojos de la mujer son en extremo saltones y parecen no caberle en las cuencas. “Siga”, le dice y desde afuera los demás escuchan el nuevo interrogatorio. “Diarrea y vómito, ¿desde cuándo?”. Es la rutina de todos los días. “Deshidratado y desnutrido”, termina diciendo. Hay que darle suero casero y cucharadas de plátano cocido. “¿Sabe hacer el suero?”, le pregunta y la mujer asiente. Tayel piensa que el plátano cada vez se cotiza más; sirve incluso como remedio. La mujer sale con la fórmula y el hijo sigue desmadejado sobre su hombro. Cuando abandonan el lugar, Sulay espera ser la próxima.

      Eso no ocurre, primero está la otra señora que ha descargado a su hija en el suelo y que la ve jugar con un cucarrón que ha caído muerto tal vez de viejo. Al levantarse, se nota que la mujer está en embarazo, y al coger la niña, esta tiene el cucarrón en su boca y ella tiene que sacárselo con los dedos. Entonces la niña llora, le han quitado el juguete. El médico la carga y la aplaca palmoteándole la espalda, mientras la mujer se acomoda el vientre y trata de dar el paso siguiente. Son dos consultas porque la niña no come bien y está más barrigona que ella. “Son los parásitos que se la están comiendo”, vaticina el médico, “hay que sacarlos”. Luego le hace la consulta prenatal, “falta como un mes”, le dice ella; “tiene que tomar vitaminas y mucha leche”, le aconseja él y sus palabras las siguen escuchando los que esperan en silencio a que les llegue su turno. “Eso sí es como difícil, doctor, por aquí la leche ni se consigue”. Sulay, mientras espera, piensa que eso le gusta de ser mujer (lo del embarazo, tener un bebé) y resopla de la impaciencia. Mientras hace cuentas del tiempo que llevan ahí sentados, las tripas le suenan del hambre y por eso le pide al papá que vaya a comprar algo, y Tayel le explica que la tienda queda lejos y ya casi va a ser su turno y él tiene que explicarle al médico las cosas; ella es tímida y no dice nada y el médico debe saber lo que le pasa. “¿Y qué es lo que me pasa?”, le pregunta ella. Tayel calla, entre otras cosas, tampoco sabe nada.

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