Sotto La Luna Del Satiro. Rebekah Lewis
è un beota.» A volte bisognava dire le cose come stavano.
La ninfa fece un verso di disgusto e iniziò a scendere dall’albero, scostando occasionalmente l’orlo del vestito, quando le si impigliava nei piedi. «Sì, tecnicamente lo è. Vorrei ricordarti, però, che tu stesso sei nato in Beozia. Non fa alcuna differenza. Beota. Arcadico. Sono solo parole, usate per definirvi e dividervi.»
Dafne saltò a terra e gli si avvicinò. «Tu hai formato un legame con Pan perché sei suo amico e gli altri perché sono stati colpiti dalla sua metà della maledizione. Lo stesso vale per coloro che stanno dalla parte di Dioniso. Come voi, non possono evitarlo, ma non esiste una parte buona e una cattiva a priori. Sono le azioni dei singoli individui a contare. Le corna non servono ad altro che a distinguere fisicamente chi si trovava da un lato e chi dall’altro, in quel momento e in quel luogo tanto infausti. Melancton avrebbe voluto seguire Pan. Aveva pianificato di raggiungerlo, ma Apollo non lo ha permesso.»
Dafne stette faccia a faccia con Ariston, guardandolo con aria di sfida. La sua mascella era serrata e il satiro riusciva a distinguere l’impercettibile pulsare di un nervo sulla sua guancia. Era davvero bella. Apollo doveva averle dato dell’ambrosia, si rese conto Ariston, rendendola immortale, perché non era invecchiata di un giorno. La vicinanza della ninfa scatenò la maledizione dei satiri, che iniziò ad assumere il controllo dei suoi pensieri, accendendo in lui un desiderio irrazionale. Strinse i pugni e fece un passo indietro. L’odore di lei, come di fiori di campo in una calda giornata d’estate, gli assalì i sensi. Ariston la desiderava. Perlomeno, il suo corpo. Lui voleva solo liberarsi della maledizione. Sebbene Dafne fosse bella, non provava niente per lei.
Come no. Pensa a come sarebbe averla sotto di te, mentre si dimena per il piacere che le procuri.
Disgustato da se stesso, Ariston si allontanò ulteriormente, quasi inciampando nei suoi piedi. Dafne stava giocando a un gioco pericoloso, avvicinandosi a lui quando il suo autocontrollo era tanto fragile.
«Non credo di capire come mai dovrebbe importare ad Apollo.» Intrecciò le mani dietro alla schiena, per evitare di allungarle verso di lei e attirarla a sé. Come avrebbe fatto a controllarsi vicino a una ninfa e aspettare la Luna del Satiro? Riusciva a stento a trattenersi dall’attaccare Dafne sul posto. Dentro, era furioso. Non poteva averla, non poteva porre fine alla maledizione. Non poteva tornare a essere normale. Eppure, Ariston non l’avrebbe costretta. Si rifiutava di diventare il mostro che il suo aspetto suggeriva. Doveva essere più forte. Pan gli aveva insegnato che l’unico modo per restare ancorato alla propria umanità era reprimere i propri istinti il più spesso possibile.
Ma, per gli dèi, il sesso, le sensazioni. Non si stancava mai. Avrebbe potuto continuare…
No. Non pensarci. Distolse di scatto lo sguardo dal suo seno, premuto contro la stoffa setosa dell’abito. Se anche Dafne avesse notato il suo sguardo lascivo, scelse di ignorarlo. Le sue labbra si stavano muovendo, ma Ariston riusciva a sentire solo il battito del proprio cuore in lontananza ed era estremamente consapevole di quanto fosse duro sotto la cintola. Sbatté rapidamente le palpebre e scosse la testa. Cosa stava dicendo?
«–ti ho detto più di quanto avrei dovuto. Non posso perderlo.»
Fingendo di aver compreso ogni parola, Ariston rispose: «Lo prenderò in considerazione, ma sappi che non avrei altra scelta che seguire il mio istinto, se dovesse darmi una ragione per non fidarmi».
«Capito.» Dafne alzò la testa, mentre la pioggia martellante lasciava il posto a una pioggerellina leggera. Le nuvole si allontanarono dal sole abbastanza a lungo perché potesse illuminare la foresta, mettendo in risalto il delicato pallore eburneo della sua pelle. «Si sta facendo tardi e Apollo verrà a cercarmi prima che cali la notte. Devo andare e condurlo lontano da te.» Si sporse verso di lui e sussurrò con fare cospiratorio: «Ho visto cosa nascondi in quella borsa. Apollo abuserebbe di una tale magia». Detto ciò, Dafne svanì, ma Ariston sentì un dolce tocco sulla guancia, come lo sfiorare lieve di un petalo contro la pelle. Una voce gentile gli sussurrò all’orecchio: «Non arrenderti mai, Ariston. Troverai la tua ninfa, un giorno. Non oggi, ma un giorno. L’ho vista ed è molto bella. Proteggila».
«Proteggerla da cosa? Da chi?»
Nessuna risposta. Se non altro, aveva smesso finalmente di piovere.
Capitolo uno
Presente
L’acquazzone aggredì la tenda, che in teoria avrebbe dovuto essere resistente all’acqua, e Lily maledisse per la milionesima volta l’esistenza stessa di Donovan. Non solo era riuscita a fare accidentalmente un buco nella tenda cercando di piantarla da sola, ma Donovan l’aveva abbandonata nel bel mezzo dei Monti Blue Ridge. Avrebbe usato scotch a volontà per chiudere lo strappo e risolvere il problema della perdita, ma ovviamente il nastro adesivo era nello zaino di lui. Così come la mappa. Aveva perso la bussola e il suo cellulare era caduto in una pozzanghera di fango e non si accendeva più.
La ciliegina sulla torta in quel campeggio infernale? Lo stesso che le avrebbero dovuto rimborsare una volta consegnate le foto scattate nella natura? Un lavoro freelance apparentemente fantastico. Te lo puoi scordare. Non sarebbe mai riuscita a tornare per farsi pagare. Probabilmente, non sarebbe nemmeno riuscita ad andarsene da quelle montagne.
Era stata scaricata quella mattina stessa. Non poteva farlo prima dell’escursione o aspettare che fossero tornati a casa. No, Donovan aveva deciso di lasciarla nel bel mezzo della foresta, a piedi, con solo due giorni di provviste. Forse lo aveva fatto perché sapeva che Lily sarebbe stata scoperta subito se lo avesse ucciso, visto che molte persone sapevano dove fossero e quando sarebbero dovuti tornare. Al contrario, se fosse rientrato senza di lei, avrebbe potuto tenere nascosta la sua assenza per qualche giorno.
Ecco a voi Donovan, uno straordinario guastafeste. Quanto avrebbe voluto torcergli quel collo ossuto. Non sarebbe stato neanche necessario ucciderlo – Lily voleva solo vederlo soffrire. Non che fosse una donna violenta, ma argh!
Svitando il tappo della borraccia, domandò: «Che tipo di uomo abbandona una donna nel bel mezzo di una maledetta foresta?» Le risposero l’ululato del vento e la pioggia. Un gran tonfo proveniente dal tetto della tenda la fece sobbalzare e la borraccia le cadde sui piedi.
«Ahia!»
Il liquido tiepido le colò fra le dita, formando una pozza ai piedi del suo sacco a pelo. Sospirando con impazienza, riavvitò il tappo della borraccia e la lanciò sullo zaino. Non era rimasta molta acqua, avrebbe dovuto riempirla il mattino seguente con la pioggia accumulatasi nella tazza che aveva lasciato fuori e nella padella che aveva messo sotto il buco nella tenda.
Un’altra serie di tonfi colpì il nylon come una tempesta di sassi. Una pallina di ghiaccio delle dimensioni di una monetina attraversò lo strappo e cadde nella padella con uno schianto. Lily si spostò verso il centro della tenda, allontanandosi dai lati per evitare che un chicco di grandine particolarmente odioso la colpisse alla nuca. Ci mancava solo che subisse un trauma cranico a causa di una palla di cannone in miniatura fatta di ghiaccio.
Il meteorologo che aveva dato cielo limpido per tutto il fine settimana avrebbe di sicuro ricevuto lettere di protesta da parte di Lily, quando sarebbe riuscita a tornare a casa. Curiosamente, però, il tempo sembrava peggiorare di pari passo con il suo umore. È ridicolo. Hai avuto una giornataccia, è normale pensare che il clima peggiori per farti un dispetto. Dopo aver spento la lanterna per non consumare la batteria, Lily guardò le ombre degli alberi ondeggiare attraverso l’apertura di plastica trasparente al lato della tenda, che lasciava entrare abbastanza luce da spaventarla a morte. Si disse di non pensare a ogni horror che avesse a che fare con il campeggio. Non lo avrebbe fatto. No.
Invece ci pensò, eccome. A ogni singolo film: The Blair Witch Project, Wrong Turn, diamine, persino a Venerdì 13 e ai lupi mannari e a tutte le altre creature mai create. Immaginò addirittura le giganti formiche assassine in bianco e nero di Assalto alla terra trascinarla via nella notte fino al loro formicaio, sebbene non c’entrasse nulla con il campeggio,