L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alla psichiatria. Cesare Lombroso

L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alla psichiatria - Cesare Lombroso


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del delitto.

       Dinka e Moï.

       INDICE DELLE MATERIE

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      Benché questo sia veramente il III volume dell'opera che ora esce in una nuova edizione, ho voluto farne preceder l'uscita, perchè ne contiene le applicazioni più pratiche, e perché risponde coi fatti, com'è mio costume, alle accuse di coloro che non avevano fra le mani le due prime edizioni complete dell'Uomo delinquente, nè l'Incremento al delitto od i 17 volumi dell'Archivio di Psichiatria ed Antropologia criminale—alle accuse, cioè, di non indagare abbastanza le cause economiche e sociali del delitto e di non saper suggerirvi alcun rimedio, ribadendo, quasi vittima consacrata, il criminale per sempre al suo destino e l'umanità alle sue ribalderie; quasi che coloro, che blateravano tanto contro noi in proposito, avessero saputo cavare dai loro sdrusciti sistemi qualche migliore provvedimento che non fossero le torture del carcere, della ammonizione, della sorveglianza e della deportazione o istituti, che applicati in massa senza discriminazione, si ritorcevano contro la piaga e ne allargavano i margini. Ora per i miopi e anche per coloro che, come ben voi dite, fanno i miopi per non vedere, un volume di 700 pagine che di questo solo si occupa sarà sufficiente risposta; e benchè il lavoro compìto in 30 anni avesse sempre avuto di mira questo scopo supremo, attingendo anzi alle stesse forme fatali del delitto i mezzi per neutralizzarlo, vo lieto che i nuovi suggerimenti, prendendo un aspetto speciale in uno speciale volume, fissino il carattere pratico di questa intrapresa, e, finendo colla visione sia pur lontana ed audace della simbiosi, mostrino come nemmeno più la troppo disumana per quanto necessaria severità Si può rimproverare alla nuova scuola.

      A voi, poi, ho voluto dedicare questo volume con cui chiudo i miei studi sulla degenerazione umana—come all'amico più sincero nella triste corsa della vita scientifica—e come a colui che più di tutti ha cavato frutti fecondi dalle nuove dottrine, che ho tentato introdurre nel mondo scientifico.

      Torino, Luglio 1896.

      C. Lombroso.

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      Non vi è delitto che non abbia radice in molteplici cause: che se queste molte volte s'intrecciano e si fondono l'una coll'altra, ciò non ci impedisce dal considerarle, obbedendo ad una necessità scolastica o di linguaggio, una per una, come si pratica per tutti i fenomeni umani, a cui quasi mai si può assegnare una causa sola, scevra di concomitanze. Nessuno dubita, ormai, che il colèra, il tifo, la tubercolosi s'originino da cause specifiche; ma pure, chi può negare che, oltre queste, vi influiscano tante circostanze—meteoriche, igieniche, individuali, psichiche, da lasciare, sulle prime, nel dubbio della influenza specifica anche i più provetti osservatori?

      1. Temperature eccessive.—Importantissime fra le cause determinanti d'ogni atto biologico sono le meteoriche: precipua fra queste è l'azione del calore: così la Drosera Rotundifolia, esposta all'acqua a 43°,3″ s'incurva e si fa più sensibile all'azione delle sostanze azotate (Darwin, Piante insettivore): ma a grande temperatura a 54°,4′ non presenta più alcuna flessione, i suoi tentacoli temporariamente si paralizzano; lasciati, poi, nell'acqua fredda si ritendono.

      La statistica e la fisiologia dimostrarono che una grande parte delle funzioni nostre è influenzata dal calore[1].

      Quindi si capisce quanto influisca il calore eccessivo sulla psiche umana.

      La storia non segnala alcun esempio d'una regione tropicale, in cui il popolo siasi sottratto alla servitù; nessun esempio, in cui il caldo eccessivo non abbia dato luogo ad un'abbondanza di nutrimento, e l'abbondanza della nutrizione ad una distribuzione ineguale in principio della ricchezza, e in seguito del potere politico e sociale.

      Fra le nazioni soggette a queste condizioni il popolo non conta nulla, non ha controllo nè voce nel governo del paese.—Se vi ebbero rivoluzioni nel governo, tutte furono di palazzo, giammai di popolo che non vi annetteva alcuna importanza (Buckle, op. cit., I, 195-196).

      Il Buckle fra le altre ne trova una ragione sulla minore resistenza che acquista l'uomo alla lotta avendo minor bisogno di combustibile, di vestiario e di cibo; da questa maggiore facilità l'uomo è tratto all'inerzia, alla Tapas, al Keff, allo Joga, agli ascetismi della Tebaide. L'inerzia, resa necessaria dal caldo eccessivo, ed ispirata dal sentimento abituale di debolezza, rende l'economia più soggetta alle spasmodie, favorisce le tendenze alla pigra contemplazione, all'esagerata ammirazione, e quindi al fanatismo religioso e dispotico; di qui lo esagerato libertinaggio che si alterna coll'eccessiva superstizione, come l'assolutismo più duro colla sfrenata anarchia.

      Nei paesi freddi la resistenza alla vita sarebbe maggiore, per la maggior difficoltà dell'alimento, del vestiario e del riscaldamento, ma appunto per questo vi è minore l'idealità e l'instabilità; il freddo eccessivo rende l'immaginazione assai più lenta e meno irritabili e meno mutevoli gli animi; d'altronde dovendo l'uomo supplire con molto combustibile ed enormi dosi d'alimento carbonioso al difetto di calore, consuma forze che vanno a detrimento della vitalità individuale e sociale.

      Da ciò, e dall'azione diretta depressiva sui centri nervosi, si originano la maggior calma e dolcezza degli animi. Il dottor Rink ci dipinge certo tribù degli Esquimesi così pacifiche e calme, da mancare perfino delle parole corrispondenti all'idea di rissa o di litigio: la più grande reazione alle offese è in esse il silenzio (R. Britanniq., 1876); e Larrey vide, sotto i geli di Russia, diventare deboli e perfino vigliacchi, quei soldati, che prima nè pericoli, nè ferite, nè fame avevano fiaccato mai.

      Il Bove narra che nei Tschiucki, a -40°, non si notavano mai liti, nè violenze, nè delitti; essi sedevano apatici e amorosi fra loro.

      L'ardito viaggiatore polare Preyer notò come a -40° la sua volontà fosse paralizzata, i sensi ottusi, la parola inceppata (Petermann, Mitth., 1876).

      Ed eccoci spiegato perchè non solo la semibarbara e dispotica Russia, ma anche le liberalissime terre Scandinave siano state, almeno anni fa, sì poco rivoluzionarie e ambedue quasi allo stesso livello (V. mio Delitto politico e le rivoluzioni, parte I).

      2. Azione termica moderata.—L'azione termica che, viceversa, spinge più alle ribellioni ed ai delitti è il calore relativamente moderato. Ciò ci viene riconfermato dalle osservazioni sulla psicologia dei popoli meridionali che ci dimostrano tendenze all'instabilità, alla prevalenza dell'individuo sugli enti sociali, sul comune e lo stato, sia perchè il calore stesso eccita i centri nervosi a guisa degli alcoolici, senza giungere mai al grado di provocarvi l'inerzia, sia perchè, senza annichilarli completamente, ne scema i bisogni aumentando la produzione agricola, e diminuendo le esigenze di cibo, di vestiario e di alcoolici: nel gergo Parmigiano il sole è detto il Padre dei mal vestiti.

      Daudet, il quale ha fatto tutto un romanzo (Numa Roumestan) per dipingere l'influenza grande dei nostri climi meridionali sulle tendenze morali, scrive: «Il meridionale non ama i liquori: si sente ebbro dalla nascita: il sole, il vento gli distillano un terribile alcool naturale, di cui tutti quelli che nascono laggiù sentono gli effetti... Gli uni han solo quel caloruccio che scioglie la lingua ed i gesti, raddoppia l'audacia, fa vedere azzurro per tutto: fa dire delle menzogne: altri giungono al delirio cieco.... E qual è il meridionale che non abbia sentito le momentanee prostrazioni degli attossicati, quell'abbattimento di tutto l'essere, che succede alla


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