L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alla psichiatria. Cesare Lombroso
dipende dall'abito di correr dietro alla forma, al suono delle cose più che alla sostanza e dalla lunga abitudine, continuata per tanti anni della giovinezza, di ingannarci e ingannare gli altri nell'apprendimento di una lingua alla quale non ci interessiamo punto; di supplire alle inutili fatiche colle arti dell'adulazione, dei falsi. Poi l'abitudine fatta si estende alla vita di studente, di dottore, di deputato, di ministro.
Ecco perchè, mancando così di una solida base, il giovine si getta in braccio alla prima novazione, anche la più errata, la più discorde dai tempi, quando questa gli ricorda la male intravveduta antichità. Chi ne dubitasse, ricordi il classicismo dei rivoluzionari dell'89 e legga Vallès: Le bachelier et l'insurgé, e vedrà quanto contribuisca quell'educazione discorde dal tempo a farne uno spostato ed un ribelle.
E da quell'educazione dipende quell'adorazione della violenza che fu il punto di partenza di tutti i nostri rivoluzionari, da Cola da Rienzi fino a Robespierre.
«..... Tutta L'educazione classica, scrive Guglielmo Ferrero (Riforma sociale, 1894), che altro è se non una glorificazione continuata della violenza, in tutte le sue forme? che comincia dalla apoteosi degli assassinii commessi da Codro o da Aristogitone, per arrivare ai regicidi di Bruto. E tutta la storia del Medio Evo, e tutta la storia moderna, e la storia stessa del nostro risorgimento, come la insegnano oggi, quasi dovunque, che altro è se non la glorificazione, fatta da un punto di vista speciale, di atti brutali e violenti? Non ha forse potuto un poeta, che tutti considerano come il rappresentante morale dell'Italia nuova, scrivere tra gli applausi generali:
«Ferro e vino voglio io...
. . . . . . . . . . . .
Il ferro per uccidere i tiranni,
Il vin per celebrarne il funeral»?
«In questo punto, tanto il vizio è profondo, tutti i partiti sono d'accordo: i clericali grideranno urrah alla pugnalata di Ravaillac; i conservatori alle fucilazioni in massa dei comunardi del 1871; i repubblicani alle bombe di Orsini; ma tutti sono d'un pensiero, nel celebrare la santità della violenza, quando torna utile ad essi. Il nuovo eroe di questi ultimi anni del secolo non è nè un grande scienziato, nè un grande artista, ma Napoleone I.
«Chi può meravigliarsi, dopo ciò, se in una società così satura di violenza, la violenza scoppia fuori di tempo in tempo, da ogni parte, in lampi e tempeste? Non si può impunemente dichiarare santa la violenza, con il sottinteso che essa debba essere applicata solo in un modo determinato; presto o tardi arriva chi trasporta il Vangelo della forza da un credo politico ad un altro.
«L'istruzione ci favorisce dunque la simulazione e la violenza—peggio ci rende inerti ed inetti e quindi mendaci—o quel che è lo stesso politicamente malvagi».
Son lieto di essere in questa stato preceduto dal grande maestro mio Taine in queste sue ultime pagine quasi monito sacro alle nostre razze latine così tenaci e gloriose di quello che è la massima loro ruina.
«La vera istruzione, la vera educazione, scrive Taine[96], si ha al contatto delle cose, alle innumerevoli impressioni sensibili e che l'uomo riceve tutto il giorno nel laboratorio, nella miniera, nel tribunale, nell'ospedale, davanti agli strumenti, al materiale, che entrano per gli orecchi, pel naso, per l'odorato, e che sordamente elaborate, si organizzano in lui per suggerirgli prima o dopo una combinazione nuova, una semplificazione, un'economia, un perfezionamento, un'invenzione. Di tutti questi contatti preziosi, di tutti questi elementi assimilabili e indispensabili, il giovane francese è privato, e appunto nell'età più feconda. Per 7 o 8 anni è chiuso in una scuola, lontano dall'esperienza personale, che gli avrebbe data una nozione giusta e reale delle cose, degli uomini, e della maniera di armeggiarsi nella vita.
«È troppo esigere dai giovani che un giorno determinato, davanti a una seggiola, siano in possesso di tutto lo scibile; infatti due mesi dopo gli esami non ne sanno più niente: ma intanto il loro vigore mentale declina; i succhi fecondi sonsi inariditi; l'uomo fatto o meglio colui che non subisce più alcun cambiamento, diviene etichettato, rassegnato a tirar in lungo, a girar indefinitamente la stessa ruota.
«Viceversa gli anglosassoni i soli in Europa, nei quali, come vedremo, ci sia la minima criminalità, non hanno le nostre innumerevoli scuole speciali; da loro, l'insegnamento non è dato dal libro, ma dalla cosa stessa. L'ingegnere per esempio si forma in una officina, e non in una scuola; il che permette a ciascuno di giungere esattamente al grado che comporta la sua intelligenza, operaio o capomastro, se non può andar più in su, ingegnere se le sue attitudini glie lo additano. Invece da noi coi tre piani dell'istruzione per l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza; colla preparazione teorica e scolastica sui banchi e sui libri, si è prolungata e si è aumentata sempre più in vista dell'esame, del grado, del diploma, del brevetto, la tensione della mente, mentre le nostre scuole non dànno mai quel corredo indispensabile che è la solidità del buon senso, della volontà, e dei nervi. Così la entrata nel mondo dello studente e i suoi primi passi nel campo d'azione pratico, non sono per lo più che una serie di cadute dolorose; sicché ne resta indolenzito, e, qualche volta, addirittura stroppiato. È una prova rude e pericolosa; l'equilibrio mentale gli si altera e corre rischio di non potersi più ristabilire; la disillusione è stata troppo rude e troppo forte».
L'istruzione è infine spesso un incentivo del male, promovendo, senza le forze di soddisfarli, nuovi bisogni, nuovi desideri, e soprattutto nelle scuole, nuovi contatti, tra gli onesti e gl'inonesti, resi vieppiù perniciosi laddove l'istruttore stesso diviene l'apostolo del male, in ispecie pei delitti di libidine, come si nota qui ed in Germania (Oettingen, o. c.).
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