L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi


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Questi però, simulando di leggere, osservava attentissimo gli atti ed ascoltava i detti dei convocati, e a tal fine adoperava l'udito, che la natura gli aveva concesso maraviglioso, e la strana facoltà di potere in due punti diversi indirizzare nel momento stesso il raggio visuale degli occhi. Vide i Palleschi ossequiosi volgersi agli Arrabbiati, e questi con mali modi e peggio parole ributtarli e restringerli insieme; — notò i Palleschi e gli Ottimati rimanersi ristretti alcun tempo, ricambiarsi la favella, ma alla perfine dividersi per istudio degli ultimi a malgrado dei primi: non gli sfuggì il corpulento Bartolini fare ad ognuno e restituire saluti, e non pertanto schivati i colloquii rimanersi solo: nè il Carduccio sfuggì al Bartolino; acuti entrambi, entrambi speculatori sottilissimi degli uomini, ingegnosi, amanti di libertà; ma il Bartolino per ingiurie ricevute, quindi facile a piegare il Carduccio per ambizione e come cosa propria, quindi istrumento di libertà capacissimo e fedele. Poichè lo scopo di averli adunati per tentare se potessero mescolarsi il gonfaloniere conobbe perduto, egli, depositando sulla tavola il fascio delle lettere, quasi avesse terminato di leggerle, dirigendo la parola ai convocati, così cominciò:

      «Male nuove, messeri. Il dominio per la massima parte perduto; la rimanente, secondo i rapporti dei commissari, travagliata dai partigiani dei Medici, vacilla nella nostra devozione: — pericoli maggiori dentro: l'erario vuoto.»

      «Se per lo addietro», rispose tempestando Bernardo da Castiglione, fosse stato creduto a me e agli altri che sono del mio animo, forse in questo giorno noi non avremmo a consultare se si debba perdere o non perdere questa libertà; perchè se ci fossimo vendicati arditamente contro alle case, contro alla vita e contro alla roba dei nemici nostri e traditori della patria, noi non avremmo oggi tanta paura di loro in questi travagli, nè il Papa, confidato in questi perversi cittadini, avrebbe mosso la guerra per rimettere sè e loro nell'antica tirannide[120].»

      E l'Arrabbiato guardava bieco i cittadini palleschi.

      «Cotesti vostri modi», riprese Ludovico Capponi, «messere Bernardo, ci avrebbero dato tirannide nuova, peggiore dell'antica: rammentate che ai forti piacciono i consigli magnanimi, ai deboli i crudeli. Procedendo come abbiamo fatto fin qui, ci rimane sicura speranza di accordi pei quali, sfuggita la guerra, conserviamo libertà onestamente moderata ai tempi, ai costumi ed alle voglie degli uomini possibile.»

      «Libertà da Giulio dei Medici voi non vi potete attendere neppure moderatamente onesta! Sperate piuttosto mille fiorini in prestanza dal giudeo senza pagargli l'usura. Ah! Ludovico, sul letto dove si fanno cotesti sogni, si alzano le forche per cortinaggio, e pende un bel capestro per tendina.»

       «Patteggiando, messere Bernardo, restiamo intieri, abbiamo forza e possiamo costringere a tenere i patti; — vinti poi, dispersi, spenti, nelle sostanze rovinati, empiremo le terre d'Italia di pianti inutili e le più volte derisi.»

      «E chi vi ha detto, Ludovico, di esulare per Italia! i Saguntini non esularono; — non esularono i Cartaginesi; — non esularono i Sanniti, — non i Giudei; e intorno alla prima parte del vostro discorso, io vo' che sappiate dieci battaglie perdute non pareggiare il danno di sei mesi di tirannide.

      «E quale sarebbe il parere vostro, onorando messere Zanobi?» domandò all'improvviso il gonfaloniere guardando fissamente il Bartolino.

      E questi spedito rispose:

      «Vi dirò, magnifico messere gonfaloniere, le opinioni di per sè stesse non valgano nulla; — tutte buone, tutte cattive: e' bisogna prima disaminare per bene i fatti; e questo, come vedete, spetta a voi: — se davvero il dominio è perduto, la fede dei cittadini e soldati vacillante, la pecunia nulla, accorderei salvando parte di quello che altrimenti mi toccherebbe a perdere intiero; se poi non per anche giungemmo a tanto estremo, non precipiterei nulla per godere il benefizio del tempo ad aspettare le nuove dei Luterani e dei Turchi.»

      «Queste risposte sanno di oracoli. — Dei due fatti bisogna supporre uno: — così non verremo a capo di nulla», — mormorava a mezza voce il Carduccio; e il Bartolino, tornato alla primiera impassibilità, fingeva non intendere parola.

      «La fede dei cittadini vacillante?» favellava pieno di passione Iacopo Nardi. «Sì, ma di pochi tristi. Le casse vuote? Sì, perchè non volete prendere il danaro dove si trova, ed invece lasciate adoperarlo ai nostri danni. Almeno volgetevi alla carità del popolo: i ricchi non hanno viscere, e il popolo vi porterà il suo ultimo soldo, il suo ultimo figliuolo...»

      «In fè di Dio io non so chi mi tenga le mani che non te le cacci nei capelli e non ti renda più mondo dello zuccone di campanile[121]»

      «Silenzio, donna! Abbiate rispetto al palazzo dei Signori.»

      «Senti! O che li tolgo in dispregio io? Ma fammi almeno contenta di dire a messere Francesco da parte mia che ho da parlargli.»

      «E chi siete voi?»

      «Io mi chiamo monna Ghita e sono setaiuola conosciuta per tutto Borgo San Friano.»

      «Or bene, monna Ghita, aspettate.»

      «Aspettate! — Ella è una parola cotesta; ma noi poveri lavoranti non siamo mica come voi altri signori soldati, che ve ne state il giorno intero a baloccarvi con la partigiana in su le spalle mentre v'è chi pensa a infornarvi il pane e a mescervi il vino: a noi tocca guadagnarcelo menando le mani da mattina a sera; e tante volte non basta. Prima dell'assedio un'ora o due non guastava; ora poi il vivere è così caro che, non l'ora, il minuto assottiglia il vivere: non sapete voi che il grano costa sette lire lo staio quando se ne trova, e il vino dieci fiorini d'oro il barile? Ma voi non sapete nulla, perchè non li comprate... — Corto — andate o non andate ad avvertire messer Francesco?»

      .... Io dunque ve l'ho condotto, e vi prego a volerlo accettare,... Cap. VII, pag. 176.

      «Buona donna, andatevi con Dio: — vi par egli che il magnifico gonfaloniere possa lasciare la consulta per ascoltare una femminuccia qual siete voi.»

      «Soldato, tu se' forestiero e servo: se tu fussi de' nostri, sapresti qui non si conoscere femminucce nè madonne, il grande contare meno del popolano; se il grande vuol tenere gli uffici, essergli forza ascriversi alla matricola delle arti: — la mia famiglia appartiene all'arte di Por Santa Maria, come quella di messere Francesco Carducci: ambedue abbiamo traffico di seta; egli la compra in balle, io gliela incanno, gliel'addoppio e gliene fo matasse... eppure intrambi eguali di condizione.»

      Siffatto colloquio discorso con voce concitata le più volte sdegnosa, nella stanza antecedente alla sala dove stavano a consulta il gonfaloniere e gli altri cittadini, sospese i ragionamenti di loro; e quale più qual meno si mostrava curioso di conoscere la cagione della pressa singolare che faceva la donna. Onde il gonfaloniere, quella vaghezza leggendo sul volto ai circostanti, senza aspettare di esserne sollecitato chiamò la guardia e le ordinava lasciasse passare.

      E subito dopo comparve arditamente una donna di sembianze strane; alta della persona, magra, adusta dal sole sicchè sembrava di colore del rame. I muscoli del collo grossi e protuberanti, le vene turgide, le labra vermiglie e, comunque tacessero, agitate; le narici ansose, gli occhi fulgidissimi e perpetuamente volgentisi da un lato all'altro; i contorni del volto squadrati, la faccia ossuta. Moveva le braccia a guisa di remi; e considerando le mani forti e l'unghie adunche di che andavano fornite non era da reputarsi di poco momento la minaccia fatta al soldato. — Entrò, come dissi, audace nel sembiante e negli atti; ma tosto che si vide in mezzo a quel consesso, declinò lo sguardo e si rimase muta e vergognosa. Per lo che il Carduccio, motteggiando, amorevolmente le domandava: «Ora via, monna Ghita, lasciaste voi per avventura la lingua al beccaio?»

      «Messer no, bensì credeva che il soldato mentisse il consesso, nè mi aspettava trovarmi al cospetto di tanti magnifici che vanno per la maggiore...»

      «E non andate anche voi per la maggiore? Il vostro nome non è egli scritto nella matricola dell'arte della seta?»

      «Oh! per l'arte, dite bene; ma infine dei conti a me pare che tutte le disparità mettano capo a queste sole due: avere e non avere... E nondimeno io parlerò, e questi signori mi scuseranno: e se non mi vorranno scusare,


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