Lucifero. Mario Rapisardi

Lucifero - Mario Rapisardi


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       Mario Rapisardi

      Lucifero

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066072735

       I

       CANTO SECONDO.

       CANTO TERZO.

       CANTO QUARTO.

       CANTO QUINTO.

       CANTO SESTO.

       CANTO SETTIMO.

       CANTO OTTAVO.

       CANTO NONO.

       CANTO DECIMO.

       CANTO UNDECIMO.

       CANTO DUODECIMO.

       CANTO TREDICESIMO.

       CANTO QUATTORDICESIMO.

       CANTO QUINDICESIMO.

       Indice

      ARGOMENTO.

      Silenzio di Dio.—I suoi ministri imprecano.—Gli uomini ridono. Lucifero s'incarna.—Proposizione del poema, ed apostrofe ai critici.—Avvenimento dell'Eroe sul Caucaso, da dove eccita gli uomini alle finali battaglie del pensiero.—S'incontra in Prometeo, che cerca da prima dissuaderlo dall'impresa, ch'egli crede inutile e disperata; commosso indi dalle ardite parole di lui, lo prega a volergli narrare la sua storia.—L'Eroe si dispone al racconto.

      Dio tacea da gran tempo. Ai consueti

       Balli moveano in ciel gli astri, e con dura

       Infallibile norma albe ed occasi

       Il monotono Sol dava a la terra.

       Reddían le nevi a biancheggiar le spalle

       Del tremante dicembre; april venia

       Col suo manto di fiori; arida e stanca

       Movea la bionda està giù da' falciati

       Campi a cercar le vive onde marine;

       E, coronato il crin d'edra e di poma,

       Scendea l'autunno a ruzzar vispo e snello

       Fra l'accolte alpigiane, e pigiar l'uve

       Nei colmi fianchi dei capaci tini.

       Tutto seguía così l'alte, immutate

       Leggi de la Natura, e nullo in terra

       Creato obietto, o in ciel, l'arduo sentiva

       Strano silenzio del mai visto Iddio.

       Abbandonati e solitarî intanto

       Giacean per le infrequenti aule divine

       I marmorei Celesti; e per le fredde

       Vòlte il sacerdotal canto e la prece

       Qual vano si perdea grido, che inalza

       Da la rupe solinga il cacciatore,

       Se mira dileguar giù ne la valle

       Tra 'l sonante canneto il salvo augello.

       Da fiero gel, da sacro orror comprese

       Fur l'alme vostre allor, pallidi e negri

       Zelatori de l'are; e quando ai vani

       Scrigni balzar vedeste arido e magro

       L'obolo di san Pietro, e oziose e tristi

       Tornar dal mondo, qual gregge digiuno,

       Le scornate Indulgenze, orridamente

       Su le madide tempie alto rizzârsi,

       Come ad istrice, i crini, ed agitato

       Tre volte e quattro tentennò il tricorno

       Su la sacra tonsura. Un grido, un urlo

       Cupo s'alzò dai congiurati petti:

       —La fede muore! O Dio, fulmina e sperdi

       Gl'increduli mortali!—

       Alcun non arse

       A la prece crudel fulmine in terra;

       E i mortali rideano.

       Udì quel riso

       Lucifero, e balzò. Sedeangli intorno

       Il silenzio e la morte; oscure e fredde

       Strisciavan su la sua fronte immortale

       Strane larve di sfingi e di chimere,

       Ed ei, solo com'era, in mezzo a tanta

       Morte la luce e l'armonia sentiva.

       —Qui in eterno starò? Favola indegna

       Senz'opra e senz'amore, io, che del cielo

       Per istinto d'amor spregiai la vita?

       No, si torni a la terra! Un nuovo io sento

       Spirto d'amor, che mi discorre il petto:

       Santo auspicio è l'amor. L'ultima prova

       Tentiam; l'ora è propizia: assai già sono

       Su la terra i miei fidi; uom fatto anch'io

       Amerò, soffrirò; correrò il breve

       Travaglioso cammin d'un uom mortale,

       E, redento da l'opre e da l'amore,

       Recherò a l'uom salute e morte a Dio.—

       Così l'Eroe parlava, e i circostanti

       Baratri tenebrosi si agitavano,

       Come per improvviso urto di vento

       Il sen cupo del mar. L'ali di gufo,

       Il piè forcuto e la bovina fronte

       Mutò d'un tratto il favoloso iddio;

       E dai lombi gagliardi e da le spalle

       Le fuliggini tèrse e la stillante

       Cispa dagli occhi affumigati ed orbi,

       Tutt'uomo apparve, e radïò dal volto

       La superba beltà d'un dio mortale.

       Tramutato così, dal piceo trono

      


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