Lucifero. Mario Rapisardi

Lucifero - Mario Rapisardi


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mosse in giro.

       Ed esclamò:—L'infernal regno è sciolto;

       Il mio regno è la terra!—

       Ecco il subietto

       Del canto mio. Classico o no, ne affido

       L'occulto senso a voi, vergin consesso

       D'oculati Aristarchi. A voi diè Giove

       La diva Arte in governo e i mal concessi

       Talami de le Muse; e se agl'incerti

       Occhi vostri si niega il delicato

       De le Grazie sorriso e la suave

       De le sacre fanciulle ispiratrici

       Candida voluttà, dolce vi sia

       Star su la soglia a noverar gli ardenti

       Amplessi e i baci insazïati, ond'hanno

       Suon di celesti melodie le chiuse.

       Odorate cortine, ed immortale

       Vita in terra gli eletti: in simil guisa

       Sta su la porta dei gelosi arèmi

       La fida turba dei scemati servi,

       Mentre il figlio d'Osmàn deliba il fiore

       De le belle Circasse. Alto e solenne

       Officio è il vostro, e non indarno io chiamo

       Il vostro nume auspice a me: voi soli

       Le riposte misure e voi sapete

       Le leggi e il rito, onde s'ottien l'impero

       De l'occulte bellezze, e qual più giova

       Tener modo e governo in sul tentato

       Mare de l'Arte, e quando ed in qual guisa

       Toccar si dee la tuba o la chitarra,

       E metter l'ali al dorso e dar di sproni

       Al Pegaso spumante, o nel tenace

       Fren moderarne a tempo i perigliosi

       Impeti giovanili, ed a che segno

       E con che industria è depredar concesso

       Del Meonio le carte, o del Tebano.

       Pèra colui, che al necessario giogo

       Prova sottrar la temeraria nuca,

       E va a ruzzar licenzïoso, come

       Selvatico puledro, per li campi

       De la sfrenata fantasia! L'immensa

       Ira vostra ei subisca, e tutto a un punto

       Perda il pazzo sudor, per cui tenea

       Seder primo in Parnasso. Armati ed irti

       D'alfabetiche cifre, unitamente

       Sorgete, e contro a lui, contro a lui solo

       Tutti dal sapïente arco scoccate

       I rettorici strali; onde il meschino,

       Travagliato da l'onta e dal rimorso,

       Egro ed insano a riparar s'affretti

       Fra le mura d'un chiostro. O, se più degno

       Sia di spregio che d'ira, alta, pesante

       Sul suo capo ostinato onda si aggrevi

       Di silenzio e d'oblio. Gelide e mute

       Gli sfileran dinanzi ad una ad una

       Le sdegnose gazzette; indifferenti

       Si chiuderan su la sua faccia smorta

       D'Acadèmo le sale; e allor che, stanco

       D'urlar strambotti contro al secol ladro,

       Povero e solo abbraccerà la morte,

       Non fia che le supreme ore gli allegri

       L'aureo rabesco d'un qual sia diploma.

       Saldo così su cardini d'acciaro

       Il tron vostro si gira, e vita e nome

       Dal cieco umano folleggiar traete.

       Tal ne l'algide stalle, in fra le zampe

       D'ardimentoso corridor, ritrova

       Cibo e sollazzo il piceo scarabèo;

       E, quando fra le storte ànche ghermisce

       Il picciol globo del dorato fimo,

       L'ali spiega da terra, e s'alza a sghembo

       A emular de l'audace aquila il volo.

       S'incarnò adunque il mio Demonio. In terra

       Sorrideva l'aprile; entro al suo petto

       Sorrideva l'amor. Sopra la cima

       Del Caucaso famoso, onde s'appella

       La giapetica stirpe, egli fu visto

       Venir come in un sogno, e star d'incontro

       A l'aurora nascente. Un invisibile

       Spirto, qual di canora aura, fremea

       Per le fibre del mondo, e più lucenti

       Dava al ciel gli astri ed a la terra i fiori:

       Gli dan nome d'amor l'anime accese

       Dei parlanti mortali; ed ei su tutte

       Anime impera, e solo e senza legge

       Il mar penetra e i monti e la selvaggia

       Cute degli olmi e il petto aspro del tigre,

       Chè spirto è desso, e qual raggio di sole

       Splende e s'agita in tutto, e l'alme e il tutto

       Con secreta armonia mesce e ritempra.

       Era per l'aria un fluttüar d'ardenti

       Atomi mobilissimi di luce,

       Una confusa, fluvïal fragranza

       Di sconosciuti balsami, e suave

       Musica di parole e di concenti

       Misterïosi. Un'irrequieta e nuova

       Delizïosa voluttà di sensi

       Vaganti per immenso ètera, come

       Rondini in cerca di lontani lidi,

       Una dolcezza non provata mai

       Di lagrime e di sogni, al primo arrivo,

       Sentì l'Eroe nel petto; e lo stupito.

       Sguardo volgendo per la vasta luce,

       Muto restò, di giovinetto a modo,

       Che raggiante di vita alfin ritrova

       La sognata beltà dei suoi vent'anni.

       Ma, poi che in lui l'alto stupor primiero

       Al fier proposto e a la ragion diè loco,

       L'incredul'occhio ai firmamenti spinse,

       —E, dove sei, sclamò, tu che presumi

       Regnar l'anime eterno? Alzati, e pugna!

       L'uman genio ti sfidai—

       Il pugno strinse

       Superbamente, eresse il fronte, e stette

       Il fulmine aspettando, o la risposta.

       Tacito intanto dal soggetto mare

       S'apre l'indifferente occhio del sole

       Su le cose create, e si ridesta

       Giù per le valli intorno e la pianura

       Il lieto suon de le fatiche umane.

       —Sorgi, la terra è tua, proruppe allora

       L'inclito Pellegrin, sorgi, o gagliarda

       Possa de l'uomo! Assai d'ombre e di sogni

       Preda al mondo tu fosti; e dal terreno

       Pugno di fango, onde t'han detto uscito,

      


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