Cecco d'Ascoli: racconto storico del secolo XIV. Fanfani Pietro
Fiesole, e che è insigne per tanti santi da cui fu governata, e per tanti monumenti dell'arte.
Preso commiato da quei monaci, il Duca lasciò loro, partendo, un magnifico donativo; e poi con tutta la compagnia salirono su in alto del colle, da dove si scorge tutta quanta la città; nè può descriversi lo stupore di tutti al vedere quella selva sterminata di palagj e di torri; e mentre tutti erano silenziosi, Cecco fatidicamente esclamò:
« — Firenze, sei bella e grande; e bene, parlando di te, cantò maestro Dante là dove disse che il tuo Uccellatojo aveva vinto Montemario; e bene profetizzò, che, sì come è stato vinto nel montar su, così sarà vinto nel calo; dacchè per molto e molto tempo sarai lacerata dalle maledette parti; sarai poi soggiogata alla tirannía: sarai conculcata e vilipesa dagli stranieri, e ne perderai molto del tuo splendore; sarai invidiata e derisa da altri snaturati figliuoli d'Italia; e questo ti verrà in pena del tuo fallire, e dell'odio che hai già mostrato, e che mostrerai ancor più contro i propugnatori della scienza, e della verità, per saziare la feroce rabbia dei falsi sacerdoti.[19] Ma veggo nel corso dei secoli che tu ripiglierai la presente e molto maggiore grandezza, quando la scienza avrà vinto la superstizione, quando la verità avrà illuminato il mondo, e tu avrai fatto ammenda di ogni tuo fallo, accogliendo e propagando prima fra le città italiche queste due faci dell'umana perfezione.»
Di questa apostrofe improvvisa di Cecco rimasero tutti meravigliati, e molti gli furono attorno, domandando con molta instanza che gli chiarisse di alcune parti di questa sua predizione. Ma egli, che era stato fino allora come assorto in estasi, e che ai prieghi e alle istanze di quei signori erasi come desto dal sonno, mostravasi smemorato, e in tutto nuovo alle parole che gli dicevano, accertandogli che non sapeva di che profezia parlassero, e che non ricordava di avere detto nulla a proposito di Firenze. Essi un poco il credettero, e un poco pensarono che Cecco volesse farsi beffe di loro: e si diedero ad ammirare le circostanti colline, nè si saziavano di celebrarne l'amenità e la vaghezza; dopo di che la nobile comitiva s'avviò verso Firenze, tutti, e forse più di tutti il duca e la duchessa, satisfattissimi di questa lieta giornata. Non creda ora il lettore che quello che io ho detto di Firenze e dei suoi contorni sia un abbellimento oratorio, come la profezia di Cecco. Le memorie antiche ci rappresentano Firenze quale io la descrivo, e la stessa apostrofe di Dante:
Non era vinto ancor Montemalo
Dal vostro Uccellatojo....
mostra aperto quale dovea esser Firenze in quanto a palagj e a monumenti, se, veduta dall'Uccellatojo, che è il punto dove prima scorge Firenze chi viene da Bologna, faceva più bella mostra che Roma veduta da Montemario. E che i contorni siano stati sempre amenissimi, e popolati di case e di nobili edifizj, ce lo attesta il Villani là dove dice: «Intorno alla città sei miglia avea più di abitúri ricchi e nobili, che riunendoli insieme, due Firenze avrien fatte»; ribadito dall'Ariosto due secoli dopo con questi versi:
Se dentro a un mur, sotto un medesmo nome
Fosser raccolte tue bellezze sparte,
Non ti sarian ad agguagliar due Rome.
Qual poi fosse la ricchezza e l'industria di Firenze circa que' tempi si raccoglie da un documento di pochi anni posteriore, registrato dal Pagnini nella Decima, dove si legge che vi erano 280 botteghe di arte di lana dentro la città, 83 botteghe d'arte di seta, magnifiche e di gran pregio, che facevano drappi di seta, e broccati d'oro e d'argento, e dammaschi e velluti e rasi; e queste botteghe aveano la seta dalle galeazze medesime fiorentine, senza aver bisogno di capitare alle mani de' veneziani e de' genovesi; aveva 33 banchi grossi che cambiavano e facevano mercanzia per levante, per ponente, per Bruggia, per Londra, per tutto il mondo.[20]
Ma io mi accorgo, e non vorrei che il lettore avesse a dire: te ne sei accorto un po' tardi, che l'affezione alla mia città mi porta un poco lontano dal proposito; e senza indugio ripiglio il filo del racconto.
CAPITOLO IX. LA SCOMUNICA.
Castruccio dal canto suo non rimaneva punto d'infestare i fiorentini, anzi imbaldanziva sempre più, essendosi unito a lui contro Firenze il vescovo d'Arezzo; ambedue i quali, benchè avessero promesso al legato del papa di venire agli accordi, tenevanlo in parole. Laonde bisognò cominciare a pensare di opporsi loro con le armi; al quale effetto il Duca, affine di apparecchiarsi alla guerra, di sua propria autorità mise un'imposta di 60 mila fiorini d'oro a tutti i cittadini potenti, la quale bisognò pagare su due piedi. Il legato dall'altra parte cercava d'indebolire Castruccio e il vescovo Tarlati con le armi spirituali; e il dì 30 di agosto, con grande solennità, pubblicò aspri processi contro Castruccio e contro il vescovo, minacciando che fra due giorni avrebbe solennemente scomunicato ambidue nella piazza di Santa Croce, come fece veramente. A tal solenne cerimonia volle essere il duca con la duchessa e tutta sua gente; vi furono anche infiniti e fiorentini e forestieri.
E come tanto se ne era parlato i giorni innanzi, così anche la Bice si raccomandò a suo padre che ve la conducesse, mostrandosi vaga di vedere il legato del papa e il duca con tutta la sua corte; ma in cuore pensando solo al suo Guglielmo, il quale aveala sollecitata celatamente che facesse di esservi, e che egli pur vi sarebbe così e così. Nè quel buon vecchio di Geri le volle questa volta disdire, avendo caro anch'egli di veder quella cerimonia, dove si fulminava il più acerbo nemico del nome fiorentino; e non pensando nemmen per sogno che col duca fosse venuto in Firenze Guglielmo: e di fatto ve la condusse. Geri con la figliuola erano in un punto della piazza non molto lontano da dove era il duca con la duchessa, e dove per conseguenza era anche Guglielmo.
Assettatosi il duca e la duchessa con tutta la corte nel luogo loro assegnato, cominciò senza indugio la cerimonia, che qui non è fuor di proposito il descrivere. Nel mezzo della piazza era stato rizzato un altare posticcio, dinanzi a cui sul faldistorio sedeva il legato del papa, parato di ammitto, stola, piviale violetto e mitra semplice, assistito da dodici preti con le pellicce, tutti, anche il legato, con candele accese in mano; e quivi pronunziò la scomunica contro Castruccio in questa forma:
«Perchè Castruccio degli Antelminelli, istigato dal diavolo, non dubita di perseguitare santa Chiesa e la parte guelfa, disertare i beni di lei, e violentemente opprimere i poverelli di Cristo; per questo, solleciti noi, che per la nostra pastoral negligenza non ruini quello, di che siamo tenuti a rendere stretto conto nel tremendo giudizio finale, secondo la terribile minaccia di Dio stesso, là dove dice: Se non denunzierai all'empio la sua empietà, ricercherò da te il sangue di lui; lo ammonimmo la prima, la seconda, la terza e la quarta fiata, per convincere la sua malizia, e richiamarlo all'emenda, alla satisfazione ed alla penitenza, con riprensioni paternamente amorevoli. Egli nondimeno, lo sciagurato!, dispregiando le salutari ammonizioni della chiesa di Dio, cui tanto offese, enfiato dallo spirito di superbia, è ritroso contro di lei. Ci informano pertanto i precetti divini e apostolici, come sono da trattare siffatti prevaricatori, posciachè il Signore dice: Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizza; e tu lo taglia e lo getta via. E l'Apostolo dice: Cacciate il tristo di tra voi. E Giovanni, il discepolo prediletto di Cristo, ci vieta fino di salutare tal uomo nefario, dicendo: Nol ricevete in casa, nè gli dite buon giorno; perchè chi il saluta comunica con le sue triste opere.
«Adempiendo per tanto i precetti divini ed apostolici, questo membro putrefatto ed insanabile, che più non patisce medicina, amputiamolo col ferro della scomunica dal corpo della Chiesa, acciocchè da tanto pestifero morbo non siano contaminate le altre membra di esso. Laonde, perchè dispregia le ammonizioni nostre, e le spesse esortazioni; perchè, invitato tre volte all'emenda e alla penitenza, non si diè cura di venire; perchè non riconobbe il peccato suo, nè lo confessò, nè mise innanzi veruna scusa per suoi messi, nè chiese perdonanza; ma, indurandogli il cuore il diavolo, sta pertinace nella malizia sua, per ciò, per giudizio di Dio onnipotente, del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, e del beato Pietro principe degli apostoli, e di tutti i santi; come altresì per l'autorità della mediocrità nostra, e della nostra podestà di legare e di sciogliere in cielo ed in terra, concedutaci da Dio stesso; Castruccio Antelminelli separiamo dalla percezione del sacro corpo e sangue di nostro Signore, e dalla compagnia di tutti i cristiani, e lo discacciamo