Cecco d'Ascoli: racconto storico del secolo XIV. Fanfani Pietro

Cecco d'Ascoli: racconto storico del secolo XIV - Fanfani Pietro


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Questi mercanti fiorentini, rispose il duca, restano facilmente abbagliati dalla maestà regale. Non trovò modo di rispondere. Ora bisogna senza indugio dar forma alla cosa, e a te ne commetto la cura; fa che la signoría mi sia confermata per 10 anni, e che i 200 mila fiorini si portino a 400,000.

      — I grandi e i potenti sono per noi: ed io farò il rimanente.

      — Parmi più savio consiglio tenere col popolo: esso mi diede la signoría, esso me la confermi; e tu lusingalo quanto più puoi. Tieni per altro bene edificati anche i grandi: insomma usa tutte le arti, purchè il voler mio si faccia; e dove queste non giovino, non rifuggir dalla forza, e corri la terra per mia.

      — Riposate sulla mia fede. — E dette queste parole, Gualtieri, chiesto ed ottenuto commiato, partì.

      Non era passato molto tempo che i Fiorentini avevano fatto in tutto e per tutto la volontà del duca, tanto erano oppressi i loro animi, un poco dalle patite sciagure, e un poco dalla paura delle forze del duca d'Atene. Anzi andossi anche più in là; i grandi e i potenti si erano radunati insieme per dare a Carlo la signoría libera e senza termine; non mica per amore o per fede che avessero a lui, nè che a loro piacesse tal signoría, ma solo per disfare il popolo e gli ordini di giustizia. E la cosa avrebbe avuto effetto, se al duca non fosse piaciuto di tenersi piuttosto col popolo che altrimenti.

       Indice

      Ma per procedere con ordine nel mio racconto, sarà bene informare il lettore, chi fosse quel Guglielmo che si incontrò con la Bice Cavalcanti dinanzi alla duchessa, e perchè i due giovani, vedendosi a quel mo' all'improvviso, rimasero così sopraffatti. Guglielmo d'Artese, gentilissimo cavaliere provenzale, era stato a Firenze nel tempo della prima signoría di Roberto re di Napoli, la quale terminò nel 1322. Giovanissimo allora, ricco, e di alta progenie, bello e di bella maniera quanto altro giovane ci fosse al suo tempo, era cercato e accarezzato da tutti; e quella fanciulla che avesse potuto gloriarsi del suo amore, sarebbe stata dalle compagne reputata felicissima di tutto il mondo. Altero e disdegnoso per natura; e forse spregiatore in cuor suo di quei Fiorentini, buoni solo a mercanteggiare, e che la libertà loro appigionavano ora a questo ora a quell'altro signore, poco curavasi più d'una dimostrazione che di un'altra, ed agognava solo allo splendore ed agli onori della corte angioina; e forse aveva lasciato a quella corte la donna del cuor suo, ed a lei sola pensava.

      Occorse caso per altro che egli una volta accettò di far parte di una splendida cavalcata che alcuni grandi avevano ordinato, per andare poi a sontuoso convito in una villa de' Cavalcanti a poche miglia dalla città: in questa occasione vide la Bice; e preso da subito amore a quella maravigliosa bellezza, ed avutane corrispondenza, pose ogni cura a piacerle, e ben tosto fu diventato un altro uomo, nè più qua o più là pensava di lei, che riamollo di puro, ma di ardentissimo amore. Se non che bisognava farlo celatamente, perchè il padre di lei era avversissimo a tale amore, e fremeva al solo pensiero che la sua Bice dovesse ire sposa ad un cavaliere straniero.

      Cessata nel 22 la signoría del re Roberto, Guglielmo fu obbligato di ritornare alla corte; nè si può dire quanto fosse dolorosa a' due amanti questa separazione. Promise l'uno all'altro fede inviolabile ed amore costante: promise Guglielmo che le avrebbe fatto pervenire novelle di sè ogni volta che il destro se ne porgeva; ma, qual se ne fosse la cagione, dopo il primo anno la Bice non seppe più nulla di Guglielmo; della qual cosa la povera fanciulla se ne accorò tanto, che non fu più mai lieta. Sicchè può facilmente indovinare il lettore qual debba essere stato il cuore di ambedue, ritrovandosi inaspettatamente, dopo cinque anni, l'uno sì presso all'altro; e può con pari facilità immaginarsi qual tempesta di pensieri dovesse tormentare il cuore di essi, tornati che furono alla quiete delle loro case. La povera Bice ne rimase smemorata per parecchie ore, ed a fatica potè celare il suo turbamento a Geri suo padre, uomo assai risentito, e che sarebbe montato su tutte le furie, benchè alla figliuola volesse un bene dell'anima, se avesse saputo il fatto. Il trovarsi per altro così vicino il suo diletto, che erale paruto sempre più bello; quello sguardo suo così amoroso; il modo di quella sua esclamazione, gli rimisero la quiete e le speranza nel cuore; e dove fino allora aveva tenuto quel giovane per infedele e dimentico di lei, ora a tutt'altra cagione si studiava di recare il suo lungo silenzio, e solamente stava dubbiosa e timida del come poterlo vedere d'allora innanzi e parlargli.

      Guglielmo dall'altra parte non istava punto meglio della Bice: l'aveva creduta infedele, perchè mai, se non una volta sola, avevagli scritto. Ito negli ultimi due anni a corte di papa in Avignone, ed in altre nobili ambasceríe, sempre portava seco il rammarico del perduto amore, nè poteva consolarsene; e come giunse in Firenze, tremavagli il cuore o di trovarla maritata, o forse anco morta, come qualche volta eragli balenato alla mente. Ed anch'egli, quando fu tornato in sè dallo smarrimento che lo colse a piè della duchessa, si riconfortò del vederla, non pur viva, ma tuttora fanciulla (sapendo che tutte fanciulle dovevano essere le presentatrici dei fiori); e gli parve altresì di poter indovinare che sempre l'amava, tanto teneri furono i pochi sguardi ch'ella potè dargli, e tanto abbondanti le lacrime che poi versava; le quali non potevano essere di chi avesselo tradito, perchè i traditori non piangono.

      Ma perchè la duchessa andò stizzosamente nelle sue stanze? Ecco un'altra curiosità del lettore; ed eccomi a tosto levargliela. La duchessa si accorse subito che i due giovani dovevano amarsi fin da quando Guglielmo era stato l'ultima volta a Firenze: egli era bello, gentile e prode in arme: non lo avrebbe detto neanco a se stessa, nè gliene avrebbe fatto segno veruno, a costo della vita, perchè mai avrebbe mancato di fede al duca; ma essa lo amava in cuor suo; e in quel punto sentì fiera gelosía, e sdegno ad un tempo, che sì nobile e gentil cavaliere avesse posto il suo cuore in sì basso luogo, come, secondo lei, era la figliuola d'uno di questi mercanti fiorentini: e pensò fin d'allora di attraversare con tutte le sue forze tal cosa. Il giovane, da talune parole tronche, e da qualche atto involontario, non che avesse conosciuto, ma eragli parso d'intravedere come la duchessa nol vedea di mal'occhio; ma bene era lunge dal darsene per inteso, leale come egli era verso il suo signore: anzi, anche per ciò non gli rincrebbe che fosse avvenuto dinanzi a lei quanto avvenne con la Bice, sperando che il saperlo amante di un'altra le caverebbe dal cuore ogni pensiero di amore se pur ce l'avesse avuto; e non pensò ad altro, se non a trovar modo di poter vedere la sua donna.

      La prima cosa aveva cercato d'informarsi che cosa fosse avvenuto di una fida cameriera, consapevole del loro amore mentre egli stette in Firenze; ma seppe esser morta: poche, anzi niuna conoscenza familiare aveva in città, nè sapeva qual via tenere per giungere agli intenti suoi; quando gli corse alla mente Dino del Garbo, che, per averlo curato anni addietro, avea con lui molta dimestichezza, ed era parimenti tutto di casa Cavalcanti. Non mise tempo in mezzo; ed in meno che non si dice fu a casa Dino, il quale, vedutolo, gli fece meravigliosa festa. Ma Guglielmo senza altre parole:

      — Maestro, sono alla mercè vostra; mi salvaste altra volta, salvatemi adesso.

      — Cosa ch'io possa, bel cavaliere; che vi piace?

      — Non cerco ajuto dall'arte vostra; ma dal vostro affetto e dal vostro consiglio.

      — E l'una cosa e l'altra son tutte vostre: parlate.

      — Sono innamorato, e vengo da voi per soccorso.

      — Qui, figliuolo, nè l'arte mia, nè l'affetto, nè il consiglio ci possono nulla; e dall'altra parte io spero che non vorrete farmi Prenze Galeotto, soggiunse ridendo maestro Dino.

      — Oh, maestro, è troppa la riverenza in che vi tengo, e il grato animo che mi vi lega, da formare così vile pensiero di voi... Ma voi siete famigliare ed amico dei Cavalcanti...

      — Intendo, cavaliere, dove volete riuscire. Fin da quando vi curai del vostro malore mi accorsi del vostro amore per la Bice de' Cavalcanti; e dopo che foste partito, ne presi certezza dal modo che essa teneva, dalla grave mestizia che la occupò, e da certe parole tronche di M. Geri, il quale per altro non me ne disse mai nulla direttamente.

      — Come! la Bice si accorò del mio partire, e ne fu sempre dolente?

      — Non


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